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Salari in Crisi: l’emergenza continua

Quasi un italiano su quattro è a rischio di povertà o esclusione sociale. Questo il dato allarmante dell’Istat che ci fornisce una fotografia drammatica dell’Italia. Un paese che si sta impoverendo sempre di più, a partire dai salari.

In Italia il salario lordo annuale medio nel 2024, sulla base dei dati OCSE, è stato pari a 31.700 euro annui, equivalente a 2.438 euro lordi mensili; il netto, nello stesso anno, è stato di 1.780 euro.

Se esaminiamo, invece, la retribuzione contrattuale media lorda certificata dall’Istat per il 2024, esclusi i dirigenti, essa è di 28.711 euro, pari a circa 2.200 euro lordi mensili; il netto arriva a 1.540 euro mensili.

Confrontando questi dati col 2010, sempre secondo l’OCSE, a parità di potere d’acquisto, il lavoratore a tempo pieno guadagnava all’epoca 33.536 euro lordi annui: basta fare una banale sottrazione per scoprire che, oggi, il salario reale lordo annuo vale circa 1.800 euro in meno di 15 anni fa. 

Il salario netto media mensile a gennaio 2025, per mantenere il valore reale del 2010, dovrebbe essere di circa 1.900 euro netti. Ma, come è evidente, così non é.

La statistica ci racconta la realtà della vita quotidiana delle famiglie italiane e di chi lavora. 

Se vogliamo aggiungere ulteriori elementi di valutazione, esaminiamo l’ultimo rapporto Istat del maggio 2024 che ha preso in esame la dinamica delle retribuzioni, sia contrattuali che di fatto, nel triennio 2021-23, mettendo in evidenza come l’inflazione si sia attestata al 17,3% e le retribuzioni siano cresciute del 4,7%, con un crollo dei salari nel triennio pari al 12,6%. Una perdita così pesante non ha precedenti nella storia degli ultimi 50 anni. Questi dati, insieme al quadro generale delle dinamiche delle retribuzioni in rapporto all’inflazione, alla produttività e al rinnovo dei contratti, fanno parte del Rapporto della Fondazione di Vittorio.  In questi dati emerge in tutta la sua criticità l’emergenza salariale italiana. 

Chi ha pagato e sta pagando il costo reale delle crisi multiple degli ultimi tre anni è il mondo del lavoro, insieme ai pensionati. Le basse retribuzione, poi, sono appannaggio dei giovani e delle donne. 

Un importante ruolo positivo è affidato alla contrattazione che rappresenta un argine e, nel corso degli ultimi tre anni, la situazione è migliorata per effetto dei rinnovi contrattuali. Le stime ISTAT di dicembre 2024, grazie al rinnovo di importanti contratti nazionali e ai conguagli previsti, indicano una crescita dei salari contrattuali del 3,1%.

I Contratti nazionali continuano a rappresentare il punto più avanzato nel nostro sistema di relazioni industriali, nel quale l’efficacia dell’azione sindacale e i suoi risultati si misurano concretamente nella quantità degli aumenti salariali in rapporto all’ inflazione reale. Resta comunque la perdita salariale nel periodo ’21-’24 di 10, 6 punti percentuali.

Certo, va registrato come dato su cui riflettere, a parità di modello contrattuale, almeno nel privato, che i salari nell’industria tengono bene il rapporto con le dinamiche inflattive. Così non è per commercio e servizi, settori nei quali cinque anni di ritardo nei tempi di rinnovo, come 

È capitato, pesano tantissimo. 

Proprio in questi settori, compreso ristorazione e turismo, si annida il lavoro povero. Non è un caso che nel turismo e nella ristorazione la retribuzione media oraria di fatto sia il 30% in meno rispetto  a quella di altri settori. Così è per i 3,5 milioni di dipendenti pubblici, per i quali, dal blocco contrattuale del 2011, deciso dal Governo Monti, alla politica del Governo Meloni che, col 18% di inflazione, programma aumenti per il rinnovo dei Contratti del 5,8%, realizzando così la riduzione di circa 12 punti di perdita salariale.

Questi numeri ci aiutano a capire come non basti rinnovare i contratti, ma come questi vadano rinnovati entro le loro scadenze. I tempi dei rinnovi sono fondamentali per tutelare il salario reale: da questo punto di vista sarebbe necessario che il Governo adottasse una misura di detassazione degli aumenti salariali quando questi rinnovi contrattuali avvengano alla loro scadenza naturale, come da tempo richiesto dai sindacati. 

Altrettanto importante, ai fini della tutela del salario reale, è il recupero dell’inflazione reale e non più di quella depurata dal costo dall’energia. In verità sarebbe necessario aumentare i salari oltre l’inflazione, redistribuendo una quota di produttività nei Contratti nazionali.

La perdita cumulata di salario reale nel periodo 2021-24 è stimata in 8.482 euro; gli sgravi contributivi e fiscali, chiesti unitariamente dai Sindacati Confederali sin dall’epoca del Governo Draghi, hanno ridotto la perdita cumulata a 5.700 euro. Soldi persi e non recuperabili che hanno pesato e pesano sui bilanci delle famiglie italiane. 

Eppure, la narrazione del Governo Meloni è opposta alla realtà. L’esecutivo sostiene di avere agito per sostenere il lavoro e i redditi più bassi. Il risultato è questo: il lavoro dipendente ha una perdita salariale superiore ai 5mila euro in quattro anni .

La realtà ci dice che, se il quadro non cambia, sulla base delle previsioni del Governo Meloni contenute nel piano strutturale di Bilancio presentato a Bruxelles, la perdita salariale cumulata dei lavoratori dal 2021 al 2029 sarà pari a 16.384 euro. 

Si perderanno, mediamente, altri 2000 euro ogni anno da qui al 2029. Perdite salariali non recuperabili che si aggiungono alle precedenti.

Negli ultimi anni, qualunque sondaggio o ricerca rende evidente che, per la stragrande maggioranza degli Italiani, l’emergenza salariale é in cima alle preoccupazioni. Eppure, chi ha potere decisionale sembra non occuparsene. Quando si parla di un mondo del lavoro senza rappresentanza politica, o che rinuncia ad andare a votare, pesa, e non poco, la questione salariale.

Insomma, è indispensabile rimettere al centro dell’agenda politica l’emergenza salariale e la lotta alle diseguaglianze.  

La proposta di introdurre un salario minimo legale nel nostro Paese parte dal presupposto di migliorare le condizioni economiche dei lavoratori delle categorie più basse o non tutelate dalla contrattazione collettiva. Ovviamente l’introduzione di questo istituto non risolve tutti i problemi. Sappiamo bene che una variabile essenziale che produce il lavoro povero, oltre alla bassa retribuzione oraria, è il numero di ore lavorate oltre alla precarietà dell’occupazione.

E’ dunque importante adottare un approccio globale di promozione del lavoro di qualità. Approccio fondato su una contrattazione che preveda retribuzioni adeguate, lavoro stabile, contrasto agli infortuni e alle morti sul lavoro e governo dei nuovi processi produttivi che derivano dalla digitalizzazione e dall’intelligenza artificiale.

Cesare Damiano, già Ministro del Lavoro e Presidente dell’Associazione Lavoro&Welfare

Agostino Megale, già Segretario nazionale CGIL

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