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Salvarsi per altri 40 anni

Sono passate solo poche ore dall’accorato grido di allarme di Mario Draghi sullo stato degli accordi di Parigi sul clima, che António Guterres, dichiara: “Siamo sull’orlo dell’abisso”. Poche settimane fa, subito dopo la pubblicazione del sesto report dell’Ipcc sul riscaldamento globale, sempre Guterres aveva detto: “È un codice rosso per l’umanità“. Se non fosse per il suo ruolo e per la serietà del problema di cui tratta, si sarebbe tentati di etichettare entrambe le dichiarazioni come le esternazioni di un incurabile catastrofista.

In realtà, provenendo dal segretario delle Nazioni Unite ed essendo molto simili al tenore delle affermazioni del nostro presidente del Consiglio (meno ricche di metafore ma altrettanto tormentate), queste dichiarazioni sono l’indicazione di come il reale stato di salute del nostro Pianeta stia diventando, sebbene fra altalenanti vicende, il temadominante nel dibattito politico. È l’unica nota positiva. Per il resto, il ritardo con il quale avviene questa conversione e i decenni trascorsi invano trattando indagini, modelli e rigorosi studi scientifici come se si trattasse soltanto di opinioni discutibili, sono un imperdonabile errore per il quale speriamo di non dover pagare un prezzo troppo alto.

Ma da cosa dipende l’urgenza che si legge nelle ultime dichiarazioni di Draghi e Guterres? Dal fatto che nulla di quello che abbiamo fatto o proposto finora per limitare le emissioni di CO2 e contrastare, quindi, il riscaldamento globale, ha avuto alcun effetto visibile. Al contrario, se si controllano i tassi di crescita annuali della CO2 negli ultimi decenni ci si accorge che non solo non diminuisce o rallenta la sua crescita, bensì continua ad aumentare con velocità sempre maggiore. Fra il 1991 e il 2000 aumentava di una parte per milione (ppm) per anno, fra il 2001 e il 2010 di 1,5 ppm per anno e, infine, fra il 2011 e il 2020 di un po’ meno di 2 ppm per anno. Non esattamente quanto ci si augurava di vedere. Per un uomo come il nostro presidente del Consiglio, abituato a comprendere i numeri, questa sequenza deve apparire per quello che è: una catastrofe; l’evidenza conclusiva che le soluzioni prospettate non funzionano o non sono attuabili. Cambia poco, il risultato è un aumento sempre più veloce della CO2 nell’atmosfera con il conseguente sempre più veloce riscaldamento del Pianeta.

Ma come mai tutto ciò che si è tentato fino ad oggi si è dimostrato così inefficace? Credo si possa ricondurre a due cause concomitanti. La prima è considerare la transizione ecologica come una “opportunità economica”. Non si fa altro che parlarne: le grandi opportunità economiche legate alla transizione ecologica. Non soltanto da noi in Italia. L’idea che rimediare al disastro ambientale sia una occasione di crescita economica a me sembra irragionevole. Non ci vedo molta differenza con l’idea che le guerre siano una miniera di opportunità. I danni implicano spese, non guadagni.

Finché non saremo pronti a pagare – non a guadagnare – per rimediare ai danni cha abbiamo prodotto, la CO2, che non si occupa di economia, continuerà a crescere nell’atmosfera. L’altro motivo è più immediato: ogni soluzione proposta per risolvere il problema del riscaldamento globale, punta alla diminuzione delle emissioni di CO2, non alla diminuzione della sua concentrazione nell’atmosfera. C’è una bella differenza.

Da una parte la riduzione delle emissioni limita il flusso di nuova CO2, dall’altra, la riduzione della concentrazione dovrebbe puntare a ridurne la quantità totale nell’atmosfera. Eppure la soluzione per diminuire la concentrazione di CO2 esiste ed è semplice: piantare alberi. Non pochi: ne dovremmo piantare mille miliardi. Ma non è davvero un’impresa impossibile.

I costi sarebbero irrilevanti rispetto ai benefici e ci permetterebbero di vedere qualcosa che al momento possiamo soltanto sognare: la diminuzione della quantità totale di CO2 nell’atmosfera. Non è una soluzione definitiva, sia chiaro. Si tratta della mascherina da indossare in attesa di scoprire il vaccino. Ma intanto guadagneremmo 40-50 anni di tempo. Ed è proprio il tempo che manca a preoccupare Draghi e Guterres.

 

*da Repubblica 23/09/2021

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