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Sbloccare i licenziamenti senza lasciare soli i lavoratori

Siamo in attesa della riscrittura del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) da parte del Governo Draghi. Sarebbe una sorpresa grande se fosse pieno di lacune e genericità come i due testi del precedente Governo. Non dovremo aspettare molto. Aprile è alle porte e deroghe e rinvii non solo non sono in vista, ma sarebbero controproducenti per l’Italia, la sua credibilità, le sue urgenti necessità.

Come sta dimostrando per la lotta alla pandemia, il Governo non può più rinviare decisioni pesanti. Deve prendere di petto temi come la giustizia, la fiscalità, l’efficienza della Pubblica Amministrazione, il sostegno della parità di genere in tutti i progetti. Essi sono strettamente interconnessi alla qualità e alla quantità degli interventi sull’economia reale, per collocare l’Italia a fianco di Germania e Francia nel guidare un nuovo modello europeo di sviluppo sostenibile. La maggioranza parlamentare che  sostiene il Governo, non ha molti spazi per giocare ai distinguo, per ricorrere al rinvio delle questioni, per non rimuovere uno status quo insostenibile in molti settori produttivi. E questo soprattutto se dalla società civile cresce una pressione omogenea finalizzata a chiedere una svolta di riformismo vero. 

In questo contesto, il mondo del lavoro, le sue organizzazioni di rappresentanza hanno una speciale occasione di dimostrarsi più lungimiranti del mondo della politica che complessivamente vive di troppo congiunturalismo. La questione lavoro dovrà essere concretamente centrale nel PNRR. Sono pagine che devono essere ancora scritte. Finora ha tenuto banco soltanto la questione del blocco dei licenziamenti. Un fermo immagine che, se ha evitato che si riempissero le piazze di disoccupati esasperati sommandosi così alla tragica saturazione degli ospedali, nulla dice su ciò che occorre fare per il futuro. Certo, non si brancola nel buio, ma le carte sono ancora coperte.

Il fronte imprenditoriale, a partire dalla Confindustria, sembra essere tranquillizzato dall’esenzione di oneri retributivi e previdenziali a carico delle aziende che dichiarano eccedenze di personale. In questi mesi ha   sostenuto che vorrebbe un progressivo alleggerimento del blocco dei licenziamenti, ma non chiarisce come potrebbe avvenire senza creare conflitto sociale. Ha soltanto chiesto che se ne discuta congiuntamente fra tutti gli interessati e questo è solo un gesto di buona volontà. Invece, ha dato molta importanza alla previsione di consistenti finanziamenti per gli ITS e quindi alla formazione tecnici-professionale dei giovani, inserita nei PNRR precedenti e non si può non essere d’accordo.

Nei prossimi mesi, però, il mercato del lavoro sarà sempre più pieno di giovani in cerca di primo impiego. Un generale sblocco dei licenziamenti provocherebbe un parallelo flusso di giovani e adulti già occupati ma divenuti dei senza lavoro. Le condizioni per un conflitto tra poveri sono tutte sul piatto. Depotenziarle è responsabilità di tutti i soggetti sociali e politici; nessuno può sottrarsi.

Tutto passa per un’intesa seria e praticabile su come svuotare il più rapidamente possibile il bacino della disoccupazione adulta. Non c’è più tempo per attendere chi fa la prima mossa ed è auspicabile che le organizzazioni sindacali più rappresentative, incalzino Governo e imprenditori con proposte all’altezza della sfida che la situazione lancia in modo e spessore inediti. Infatti, non basta dire più formazione, più riqualificazione, più investimenti che guardano al futuro, più fisco leggero sulle buste paga e sulle aziende. Tutto giusto, tutto necessario, ma insufficiente.  Bisogna che chiunque possa comprendere non solo cosa serve, ma come si può realizzare un processo che non lasci soli i malcapitati che perdono il lavoro o non lo trovano.

E’ da escludere che si possa chiedere alle aziende che hanno esuberi o che chiudono i battenti di farsi carico della riqualificazione e del ricollocamento dei lavoratori. In Germania, il vanto delle parti sociali di considerare il licenziamento un atto residuale, quasi inesistente, dipende dalla vivacità del loro mercato del lavoro ma soprattutto dall’ossatura produttiva, che è formata da medie e grandi aziende. Questo vantaggio l’Italia non ce l’ha, sia per ragioni culturali, sia per lo scarso valore che si è dato finora alla formazione, sia per la fragilità delle strutture produttive di beni e servizi. 

Bisogna battere altre strade per essere efficaci. La prima è quella di avere una legislazione di favore per la contrattazione di riduzioni dell’orario di lavoro, a misura delle singole aziende. Essa va intesa come spesa d’ investimento per l’occupazione. Anche altri Stati si stanno muovendo così nei loro Piani. Le aziende che attuano questa misura non devono perdere competitività e quindi per un certo periodo di tempo dovranno godere di contributi adeguati. Non tutte le aziende potranno risolvere con questo intervento il problema degli esuberi, ma in parte aiuterebbe ad attenuarlo.   

La seconda strada da imboccare è quella che il regime del blocco del licenziamento deve riguardare tutti i lavoratori che accettano di frequentare corsi di riqualificazione professionale. Chi non volesse riqualificarsi, sarebbe tutelato con le vigenti misure sulla disoccupazione. Per tutto il periodo di formazione e per un congruo periodo successivo per la ricerca del lavoro, il lavoratore resta a carico dell’azienda e beneficia della cassa integrazione straordinaria o della cassa Covid 19. 

Per il successo del processo di mobilità da un posto di lavoro ad un altro, è necessario che, in deroga dell’attuale ordinamento, un ente nazionale trilaterale, con diramazioni territoriali, prenda in carico il lavoratore che si forma e che cerca lavoro, certifichi che ciò avviene, crea collaborazioni con strutture pubbliche e private capaci di assicurare riqualificazione e nuove allocazioni.Da ultimo – non per ordine di importanza – è necessario promuovere una serie di misure di sostegno all’occupazione femminile, che non riguarda solo la riqualificazione professionale, la formazione tecnica, ma soprattutto la rapida messa in campo di strutture e servizi in grado di liberare il tempo delle donne e delle famiglie, a partire dagli asili e dagli asili nido con orari flessibili e dai servizi di cura per la persona.

In questo modo, nessuno verrebbe lasciato solo. Nello stesso tempo, ognuno sarebbe responsabilizzato per la migliore riuscita di un progetto di mantenimento di quella coesione sociale che è la condizione principale per una transizione produttiva e sociale di spettacolare complessità ma anche di straordinaria potenzialità. Questo Paese è pieno ancora di situazioni di rendita di posizione. Soltanto un ampio fronte riformista potrà traghettarlo verso l’Europa e verso uno spread piccolo piccolo. Non può essere soltanto impegno del Governo, deve trovare nella società civile chi pone le condizioni giuste, chi propone lo scambio ragionevole per sconfiggere conservatorismi e corporativismi.      

 

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