Le scelte, effettuate a fine giugno dalla parte del Consiglio europeo riservata ai Paesi dell’euro area (Euro summit), hanno avuto scarsa eco perché schiacciate dall’aspro confronto sui flussi migratori interni ed esterni all’Unione europea. Tali scelte sono state, del resto, riassunte in una paginetta di conclusioni prive di effetti immediati. Eppure, come abbiamo sottolineato in un lavoro della Luiss-SEP (Bastasin – Messori, 16 luglio 2018), esse hanno prodotto una combinazione di rinvìi e impegni che rischia di soffocare le principali ipotesi di riforma della governance europea e di ripristinare uno stallo destinato a indebolire la già fragile situazione italiana. L’elenco delle iniziative, disegnate dalle istituzioni europee a fine 2017, era promettente: progressi nell’unificazione dei mercati finanziari europei, crescente armonizzazione delle politiche fiscali nazionali, e così via. L’Euro summit dello scorso giugno si è, invece, limitato a: fissare date precise (fine 2018) per le proposte di allargamento dei compiti del meccanismo salva-Stati, volti anche a definire schemi per la ristrutturazione dei debiti pubblici degli stati membri in difficoltà; posporre a date indefinite ogni discussione di merito sugli strumenti bancari di condivisione dei rischi (intervento comune di ultima istanza nel caso di crisi bancarie; costruzione di uno schema comune di garanzia dei depositi bancari). L’Euro summit ha inoltre confinato sullo sfondo la proposta francese di creazione di un bilancio riservato all’euro area e ha così ribadito il predominio degli interventi di riduzione dei rischi rispetto a quelli di condivisione dei rischi. Combinandosi con l’accresciuta incertezza politico-istituzionale dovuta ai programmi del governo italiano e all’indebolimento della leadership tedesca, questo predominio tende però a depotenziare il coordinamento fiscale europeo per affidarsi al controllo e alle sanzioni del mercato. La storia recente dell’euro area mostra che il ricorso alla disciplina del mercato produce situazioni di stallo e di instabilità per gli stati membri più fragili. Invece di isolarsi, l’Italia avrebbe perciò convenienza a superare la contrapposizione fra riduzione e condivisione dei rischi e a riaprire l’agenda delineata dalla Commissione europea nel dicembre 2017.
Per perseguire tale fine, il governo italiano ha una strada aperta: appoggiare la Francia di Macron nella richiesta di un bilancio per l’euro area che renderebbe disponibili fondi finanziari per realizzare efficienti investimenti pubblici e avviare un’efficace convergenza fra le economie degli stati membri. Questa opzione è, però, credibile se soddisfa almeno due condizioni: la realizzazione di quegli aggiustamenti e di quelle riforme nazionali, che sono richieste per attenuare i più gravi problemi aperti (innanzitutto, la sostenibilità del nostro debito pubblico) e per accrescere l’efficienza del nostro sistema economico; la selezione di quelle opzioni politiche che possono armonizzarsi con le posizioni francesi e tedesche di medio-lungo termine. Purtroppo, il governo italiano pare orientato a non soddisfare tali condizioni. Il conseguente stallo dell’euro area ridurrà la capacità dell’Unione europea di contenere le pressioni dell’amministrazione statunitense e di difendere il proprio modello economico-sociale. Esso peserà soprattutto sui paesi più fragili come l’Italia che saranno sottoposti alle destabilizzanti sanzioni dei mercati.
*Marcello Messori insegna Economia alla Luiss ed è direttore della Luiss School of European Political Economy. Studia i problemi economico-finanziari dell’area euro e dell’Italia
da La Repubblica del 21 luglio 2018