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Se la frattura e’ tattica, l’intesa si trova, se è strategica……

Non è la prima stagione di “divisioni” sindacali. La storia, recente o non solo, ha visto le grandi organizzazioni sindacali confederali, ma anche di categoria, avere idee diverse su singole vertenze, rinnovi contrattuali e relazioni con le istituzioni e i governi, anche a livello locale. In alcuni casi la divisione ha prodotto lacerazioni e ferite profonde che solo il tempo ha lentamente rimarginato.

Nel caso delle diverse valutazioni sull’esito del recente, lungo, confronto con gli ultimi 2 Governi sulle questioni previdenziali siamo di fronte ad una divisione, a mio avviso, originale e, sinceramente, poco comprensibile.

Il dato che emerge in particolare è proprio una diversa analisi del cosiddetto “contesto”. Quadro politico, quadro finanziario e di bilancio, quadro delle priorità e delle materie oggetto del confronto stesso.

Il quadro politico, e cioè l’essere di fonte ad un Governo, erede di un Parlamento che esprime una maggioranza non frutto di scelta maggioritaria degli elettori (costante che ha caratterizzato i governi Letta, Renzi e Gentiloni) e, soprattutto (insieme al Parlamento) a fine legislatura e non è, questa, una variabile indipendente per una parte sociale che si relaziona con questo tipo di controparte.

Il quadro finanziario soffre, inevitabilmente, di questa caratteristica: una manovra “modesta” in termini di risorse, in gran parte condizionata dalle clausole di salvaguardia per evitare l’aumento dell’Iva e che ha prodotto una flessibilità modesta e che permette, inevitabilmente, solo un intervento per poco più di 5 miliardi.  Solo un Governo forte politicamente e autorevole in termini di prospettiva avrebbe potuto, come sollecitato anche da noi, “battere i pugni” sui tavoli a Bruxelles per ottenere quella flessibilità necessaria a promuovere politiche espansive. Ma così non è stato e difficilmente avrebbe potuto essere al contrario di quello che, comunque, è avvenuto negli ultimi 2 anni con le manovre 2016 e 2017.

Infine le scelte sulle priorità. In un quadro di relativo “budget” a disposizione si poteva scegliere la strada di provare a condizionare le scelte di politica economica indirizzando ciò che era a disposizione verso una scelta netta (crescita, sviluppo, lavoro, inclusione ??) oppure dare continuità a ciò che era stato convenuto ed in parte ottenuto anche attraverso condivisioni formali o sostanziali con i Governi: previdenza, lavoro e protezione sociale, lotta alla povertà e contratti per il pubblico impiego. La UIL ha scelto questa seconda strada e in conseguenza abbiamo contribuito a far compiere scelte che rispondessero, almeno in parte, a questa impostazione. Troviamo, quindi, nelle proposta di legge di Bilancio innanzitutto le risorse per il rinnovo dei contratti pubblici, l’allargamento della platea che otterrà, in toto o in parte, gli 80 Euro, maggiore flessibilità nell’utilizzo della cassa Integrazione, investimenti (ancora troppo pochi) nelle politiche attive, interventi per sostenere la formazione 4.0, implementazione degli strumenti per il contrasto alla povertà. In questo quadro la vera divergenza che si è manifestata non è quindi sul merito del confronto, in particolare sulla previdenza, ma proprio sulla filosofia degli interventi.

Sostenere, come legittimamente fa la Cgil, che si è intervenuti attraverso “deroghe” per modificare la legge Fornero può essere vero ma, con altrettanta chiarezza è necessario dire che, a nostro avviso, in quel quadro che ho provato a descrivere, era l’unica cosa possibile. Abbiamo operato su questo tema, da tempo, con la filosofia “che i lavori non sono tutti uguali” e che, conseguentemente andavano messe in campo soluzioni articolate, graduali, serie per rispondere a quelle persone che vivono condizioni di fortissimo disagio (a volte al limite del dramma individuale e familiare) o perché hanno perso il lavoro, finito gli ammortizzatori e hanno una età lontana da quella del pensionamento o, come ormai chiaro, svolgono attività psico – fisiche insostenibili.

Quindi una scelta realistica che ha caratterizzato il lungo confronto tra le parti, probabilmente anche con errori ma che ha prodotto un risultato sindacalmente positivo, frutto anche della costanza con cui siamo stati al tavolo.

Se dietro questa divisione ci sia anche una divisione più profonda in termini di cultura “politica” è presto per dirlo. Certamente lo scenario nei prossimi anni, dal punto di vista della riscrittura dei bisogni della nostra società e di chi ci vive, è in profonda evoluzione a partire dalle questioni demografiche, dell’invecchiamento della popolazione, dei flussi migratori, della domanda di assistenza (in senso lato) e del rapporto tra questi grandi cambiamenti e la questione lavoro. Innanzitutto  dal punto di vista strettamente statistico su come impatta, sul sistema previdenziale e del welfare,  il tema  “tasso di occupazione” (quante persone lavorano, OGGI, per sostenere la sanità e le  pensioni  in essere) ma anche di come la sostenibilità del nostro sistema di protezione sarà messa in salvaguardia a meno che non si ipotizzi una radicale trasformazione dei principi che fino ad oggi lo hanno caratterizzato: un sistema sostanzialmente mutualistico assicurativo esteso e sostenuto da una legislazione di sostegno”. Fuori da questo recinto, indubbiamente fortemente a rischio se non si fa crescere rapidamente il numero dei contribuenti (imprese e lavoratori) e per evitare che cresca solo il “costo” dei contributi (scelta, questa insostenibile per l’impatto sul reddito delle persone e sulla competitività delle imprese) ci sarebbe solo il ricorso alla fiscalità generale. In un paese dove la patologica, ed assolutamente da contrastare, propensione all’evasione o elusione fiscale  è a livelli insostenibili ipotizzare che il costo dell’allargamento del welfare possa fondarsi su un allargamento della spesa pubblica ci sembra arduo anche perché, in un quadro di competizione globale, il Paese, e credo anche le parti sociali debbono porsi, insieme alla battaglia per una politica Europea che promuova investimenti e crescita,  la questione più ampia e complessa dell’aumento della ricchezza prodotta, della crescita quantitativa e soprattutto qualitativa dell’occupazione vera precondizione, questa, per costruire una sostenibilità del nostro welfare. Se la divisione di impostazione che si è manifestata durante il confronto con il Governo sulla previdenza è stata causata da valutazioni temporanee o tattiche, la  frattura crediamo sia ricomponibile. Se, al contrario, essa ha radici più profonde il confronto sarà, inevitabilmente più complicato. Ma per la Uil la ricerca di condivisione tra le grandi organizzazioni sindacali rimane fondamentale.

 (*) Segretario Confederale UIL

 

 

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