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Il tasso di mancata partecipazione al lavoro

Con questo indicatore si punta a tenere conto anche degli effetti di scoraggiamento, che pesano nel mercato del lavoro. In effetti il tradizionale tasso di disoccupazione fornisce una rappresentazione sottostimata della gravità del problema, perché tiene conto solo di coloro che hanno svolto un’azione di ricerca di lavoro, nelle ultime quattro settimane prima dell’intervista. Il tasso di mancata partecipazione al lavoro, invece, considera anche tutti coloro che sono disponibili a lavorare, anche se nel concreto non svolgono una delle azioni di ricerca, che la statistica ufficiale, sulla base degli standard internazionali, ritiene necessarie per con igurare una persona come in cerca di occupazione.

L’indicatore del tasso di mancata partecipazione al lavoro coglie, infatti, le forze di lavoro potenziali, cioè coloro che sono disponibili a lavorare, ma non cercano lavoro (oppure cercano lavoro, ma non sono immediatamente disponibili). L’indicatore somma ai disoccupati “ufficiali” le forze di lavoro potenziali e rapporta tale somma alla popolazione attiva, ivi comprendendo anche le forze di lavoro potenziali. Esso si presta bene a misurare l’offerta di lavoro insoddisfatta.

Nel corso del 2016, in molte regioni italiane si è avuta una riduzione del tasso di mancata partecipazione al lavoro. Il grafico mostra che in tutti i territori nella media dell’anno ci si collocava, però, ancora molto al di sopra dei livelli registrati nel 2007, prima dello scoppio della crisi. L’offerta di lavoro insoddisfatta, ovvero le persone che vorrebbero lavorare ma non ne hanno l’opportunità, è molto differenziata a livello regionale.

Il livello più contenuto nella media del 2016 è quello del Trentino Alto Adige, pari all’8 per cento. Segue il Veneto coll’11.4 per cento, l’Emilia Romagna, 11.8 per cento e poi la Lombardia con il 12.3 per cento. Questi dati ci dicono che nelle regioni meglio collocate abbiamo un potenziale di capitale umano non utilizzato prossimo o anche superiore al 10 per cento del totale. Più vicini al 15 per cento sono invece la Valle d’Aosta (12.9 per cento), il Friuli Venezia Giulia (13.6 per cento), la Toscana, prima fra le regioni dell’Italia centrale con il 14.5 per cento, il Piemonte (14.8 per cento) e la Liguria (15.1 per cento).


 

 

Agli estremi opposti si collocano, invece, la Calabria che ha avuto nella media del 2016 un tasso di mancata partecipazione al lavoro del 42.4 per cento, ovvero più di cinque volte il dato del Trentino Alto Adige. In Calabria nel 2007 il tasso era 31.2 per cento e, quindi, da allora è cresciuto di oltre undici punti. Una condizione non troppo dissimile è quella della Sicilia (41.8 per cento nel 2016 e 31.4 per cento nel 2007) e della Campania (rispettivamente 39.2 per cento e 31.6 per cento). Seguono con posizioni appena migliori la Puglia (34.8 per cento nel 2016), la Sardegna (31 per cento), la Basilicata (28.7 per cento), il Molise (26.7 per cento) e l’Abruzzo (22.2 per cento).

Nella fascia tra il 15 e il 20 per cento si trovano, dunque, le altre regioni dell’Italia Centrale, come il Lazio (19.3 per cento), le Marche (16.6 per cento) e l’Umbria (16.3 per cento).

E’ interessante notare che nel corso del 2016 i miglioramenti maggiori nell’utilizzo delle forze di lavoro potenziali si sono collocati soprattutto in alcune regioni; il calo più rilevante nel tasso di mancata partecipazione al lavoro si è avuto in Emilia Romagna e poi in Lombardia, nel Veneto, nel Lazio e in alcune regioni del Sud, come Campania e Puglia; tra le regioni con minore popolazione si segnalano anche il Molise, il Trentino Alto Adige e la Valle d’Aosta.

Al contrario, la Liguria e la Sicilia hanno avuto un peggioramento nel tasso di mancata partecipazione al lavoro con valori nel 2016 superiori a quanto registrato nel 2015. In queste aree la tendenza è confermata, e anzi rafforzata, rapportando i valori dell’ultimo trimestre 2016 con quelli dello stesso periodo del 2015. Anche altre regioni hanno dati a ine anno tendenzialmente peggiori rispetto a quelli di un anno prima; si tratta, oltre a quelle già indicate, dell’Abruzzo, la Calabria, le Marche e soprattutto, Piemonte e Friuli Venezia Giulia.

 

 (*) da Il barometro CISL del benessere, bollettino n.5, giugno 2017

 

 

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