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Le imprese femminili scommettono sulla ripresa anche al Sud

L’energia delle imprese rosa guida l’uscita dalla crisi. Le aziende femminile crescono più della media del sistema imprenditoriale, soprattutto nelle aree metropolitane del Sud – Reggio Calabria, Catania e Palermo sono le regine delle nuove imprese rosa – in ambiti fino a qualche anno fa presidio esclusivo, o quasi, di imprese al maschile e trovano nella cooperazione il loro habitat economico preferito. È quanto emerge da “Donne al lavoro, la scelta di fare l’impresa”, il focus Censis – Confcooperative.

Su un totale di 6 milioni e 74 mila imprese registrate, il 21,8% (1,32 milioni) è guidato da donne. Fra il 2014 e il 2016 l’incremento delle imprese femminili è stato dell’1,5%, il triplo rispetto alla crescita del sistema imprenditoriale che non è andato oltre lo 0,5%.

Tra il 2014 e il 2016 a fare la differenza sono i dati relativi a settori tipicamente maschili, nell’area dell’energia e nelle costruzioni infatti, la crescita è stata del 2,6%, settore quest’ultimo dove i dati complessivi mostrano una diminuzione delle imprese del 2,1%.

Se si restringe il campo ai settori fondamentali del made in Italy, e cioè moda, turismo e agroalimentare, le imprese femminili confermano una presenza crescente con un tasso dell’1% fra il 2014 e il 2016, leggermente superiore a quanto si registra sul totale delle imprese appartenenti ai settori del made in Italy. Nel dettaglio, si colloca abbondantemente sopra all’1% la parte di imprese femminili impegnate nel turismo (+5,1%, ma raggiunge l’11,5% nelle attività di accoglienza), nei servizi per la ristorazione (+4,4%) e nell’industria alimentare (+4,0%).

Le imprese rosa nascono soprattutto nelle regioni centrali (+2,0%), al Sud (+1,8%), mentre il Nord Ovest e il Nord Est presentano incrementi più contenuti (1% circa). Le regioni a più alto tasso di crescita sono il Lazio e la Calabria (entrambe con un +3,1%), mentre, all’opposto, Piemonte, Val d’Aosta, Friuli Venezia Giulia, Liguria e Marche segnalano una dinamica negativa.

«Le donne – dice Maurizio Gardini presidente di Confcooperative – hanno avuto il talento di trasformare fattori di svantaggio, tra pregiudizi e retaggi culturali, in elementi di competitività, riuscendo ad anticipare i fattori di novità del mercato, tanto che la ripresa è trainata dalle imprese femminili che crescono dell’1,5% rispetto a una media dello 0,5%. Nelle cooperative, fanno meglio. Perché 1 su 3 è a guida femminile, è donna il 58% degli occupati e la governance rosa si attesta al 26%. Le donne hanno trovato nelle cooperative le imprese che più si prestano a essere ascensore sociale ed economico perché sono le imprese che coniugano meglio di altre vita e lavoro. La conciliazione resta il prerequisito per accrescere la presenza delle donne nelle imprese e nel mondo del lavoro».

In termini di stock, la quota più elevata di imprese femminili è attribuibile al Mezzogiorno, dove hanno sede 476mila aziende, pari al 23,7% del totale. Se si prendono in considerazioni le 14 città metropolitane, al primo posto per tasso di femminilizzazione nel 2016 si colloca Reggio Calabria con il 24,2%, seguita da Catania con il 23,6% e da Palermo con il 23,4%. Roma e Milano sono sotto il valore nazionale, ma presentano gli stock più elevati: Roma è prossima alle 100mila unità, mentre Milano supera le 60mila imprese. In totale circa 464mila imprese femminili si concentrano nelle aree metropolitane, poco più di 1/3 dei numeri nazionali.

Rilevante è il numero di imprese femminili guidate da straniere, in particolare nel tessile- abbigliamento con il 27,2% sul totale delle aziende rosa attive nel settore.

Più considerevole è invece il contributo alla crescita del numero delle imprese che proviene dalle imprese cooperative femminili che crescono del 4,1% in due anni (superando la soglia delle 30mila unità nel 2016) e portano al 21,1% la quota delle cooperative femminili sul totale delle cooperative. Circa il 40% dell’incremento osservato è riconducibile al contributo delle cooperative guidate da donne.

Le 39.500 cooperative aderenti all’Alleanza fatturano 150 miliardi di euro e occupano un milione e 150mila addetti, pari al 90% dell’occupazione cooperativa in Italia.  Di queste 1 su 3 è a guida femminile, le donne coprono una quota pari al 58% sul totale dell’occupazione, mentre la governance è donna per il 26%.

Le donne anticipano le trasformazioni nel lavoro. Fallita la ricerca del “posto di lavoro”, mettersi in proprio diventa la strada più percorribile, grazie anche agli sviluppi delle tecnologie della comunicazione e ai costi decrescenti nell’avvio di un’attività imprenditoriale o autonoma. È forse all’interno di questo milieu culturale e comportamentale che si è assistito, negli ultimi anni, a una maggiore intraprendenza delle donne nel mercato del lavoro, nonostante la crisi abbia prodotto effetti pesanti sull’occupazione e sulle opportunità di inserimento nel lavoro.

Le donne imprenditrici in Italia nel 2016 sono pari a 51mila contro i 184mila imprenditori uomini. Nel 2007, anno immediatamente precedente al manifestarsi della crisi, le donne alla guida di imprese erano 64mila, gli uomini 253mila. Il saldo negativo in entrambi i casi è evidente, ma se si osservano i dati più recenti si registra un tendenziale ripresa delle donne dal 2015, che anticipa di un anno la crescita degli imprenditori uomini avvenuta nel 2016. I numeri indice con base uguale a 100 nel 2007 confermano per le donne il rimbalzo dopo il 2014 e il consolidamento nel 2016.

La Lunga Recessione ha definitivamente mutato il tradizionale quadro di contesto del lavoro, all’interno del quale si andavano a collocare in maniera coerente processi come l’inserimento al lavoro, la carriera professionale, l’applicazione operativa delle competenze acquisite. Per avere una rappresentazione fedele delle trasformazioni che oggi interessano il lavoro, bisogna sintonizzarsi sulle scelte che le donne stanno compiendo per trovare un’occupazione.

A fronte di un tasso di occupazione che ancora diverge per quasi 20 punti percentuali rispetto agli uomini (66,9% di questi ultimi contro il 48,5% delle donne a maggio di quest’anno), emergono invece fenomeni che attestano una forte volontà di partecipazione e di inserimento da parte della componente femminile.

Sarebbe un errore derubricare questi fenomeni come di derive di femminilizzazione di alcune professioni in declino o di insediamento in determinati segmenti marginali delle attività economiche; il nuovo protagonismo femminile appare invece motivato – come scelta obbligata e come aspirazione – da una spinta all’iniziativa personale e alla voglia di fare in proprio.

L’andamento dei lavoratori in proprio mostra chiaramente la “perdita” di circa 400mila posizioni lavorative, prevalentemente concentrata nella componente maschile. Anche in questo caso, i numeri indice riescono a rappresentare efficacemente la dinamica prodottasi nel corso dei dieci anni osservati e mostrano un andamento negativo più contenuto per le donne rispetto agli uomini, con una differenza per le prime di circa dieci punti, mentre per i secondi la distanza raggiunge i dodici punti.

La vera sorpresa la riserva l’andamento dell’occupazione nelle libere professioni. In questo segmento la crescita delle donne è continua nei dieci anni (a esclusione del 2009) e consistente nonostante la crisi. Il saldo positivo totale, a fine periodo, è di 259mila professionisti, di cui 170mila sono attribuiti alle donne e i restanti 89mila agli uomini. L’incremento porta le professioniste al 5,1% delle occupate contro il 3,5% del 2007; il numero indice nel 2016 è 154,2 per le donne, contro il 110,9 degli uomini.

Considerando nell’insieme la performance decennale dei tre segmenti principali dell’occupazione indipendente (imprenditori, lavoratori in proprio e liberi professionisti), è evidente la tenuta della componente femminile, che cresce nonostante tutto di 71mila occupate, mentre quella maschile accusa un ridimensionamento di oltre 300mila unità.

L’investimento in capitale umano realizzato negli ultimi decenni dalle donne ha fatto salire al 53,5%  la quota delle laureate tra le occupate, sette punti percentuali in più rispetto agli uomini (46,5%). L’anno del “sorpasso” risale ormai a dieci anni fa: nel 2016 la forbice si è attestata intorno alle 336mila laureate donne in più, per uno stock complessivo che nel primo trimestre di quest’anno ha raggiunto i 2milioni 766mila donne con titolo di studio terziario, contro i 2 milioni 328mila uomini laureati.

Nella sezione speciale del Registro delle imprese riservata alle start-up innovative si contavano, al primo trimestre 2017, 918 imprese a prevalenza femminile su un totale di 6.880, pari al 13,3% sul totale. Produzione di software, consulenza informatica, ricerca e sviluppo e servizi ICT sono fra i principali ambiti di attività prescelti dalle imprese guidate da donne.

Nelle recenti iniziative dedicate alla creazione di impresa e gestiti da Invitalia – Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa, su 2.184 nuove imprese finanziate nel 2016, il 43% (940) è costituito da imprese femminili. Inoltre il 91% delle imprese finanziate e guidate da donne ha sede nel Mezzogiorno, avendo le diverse iniziative di finanziamento e agevolazione diretto la propria azione soprattutto nelle regioni meridionali.

Fra questi programmi un peso rilevante è svolto da Smart & Start, che finanzia le start up innovative. A giugno di quest’anno il numero delle imprese finanziate ha raggiunto la quota di 761, con 242 milioni di euro in investimenti attivati e 230 milioni di agevolazioni concesse. L’occupazione generata da queste aziende supera le 3.600 unità. Fra i settori innovativi quello delle web technologies copre il 45% delle imprese, mentre gli altri settori come bioscienze, smart cities ed energia si aggirano intorno al 10%.

Nel profilo degli startupper domina la componente maschile, con il 75,5% sul totale, lasciando alle donne il restante 24,5%. Ma è significativo che questa quota salga al 31,4% nel segmento più giovane degli startupper, mentre, fatto 100 il totale delle donne presenti nelle start up, la classe fino a 36 anni presenta una quota del 46,7%; fra gli uomini la percentuale dei più giovani si ferma al 36,4%.

 (*) INFOIMPRESA, 14 luglio 2017

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