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L’alternanza sia autonoma dall’attuale modello produttivo

Vi porto i saluti ed i ringraziamenti di Francesco Sinopoli, Segretario Generale della Federazione dei lavoratori della cultura della CGIL (FLC CGIL), per l’invito a questa iniziativa a cui non può partecipare a causa di urgenti e imprevisti impegni familiari. Vorrei anch’io ringraziare gli organizzatori di questa iniziativa che ci permette, non solo di fare il punto sull’applicazione dell’alternanza scuola lavoro (Asl) cosi come prevista dalla L.107 (buona scuola), ma soprattutto di affrontare e discutere le prospettive di sviluppo del nostro paese dentro la crisi e nella prospettiva della quarta rivoluzione industriale.

Sembra banale dirlo, per fortuna lo hanno sottolineato alcuni interventi che mi hanno preceduto, ma appare riduttivo parlare dell’Asl cosi come proposta dalla buona scuola in questo scenario di cambiamenti epocali per tutto il mondo produttivo.

I tempi del dibattito non permettono oggi il necessario approfondimento e vi rimando per alcuni temi alla lettura del libro “ Istruzione e lavoro: una freccia senza bersaglio “ che io e Gigi Caramia abbiamo pubblicato per Edizioni Conoscenza e mi riservo solo alcune osservazioni di carattere generale sui temi che ritengo utili alla discussione odierna. 

Il contesto e la consapevolezza. Siamo in una fase politica, sociale ed economica particolarmente delicata, non solo perché la crisi globale e le ricette neo liberiste  hanno  connotato e connotano pesantemente  questa fase della vita economica e sociale del nostro paese, ma perché alle difficoltà di una politica economica disastrosa si sommano le contraddizioni  e le angosce che ci prospetta la  quarta rivoluzione industriale. 

Noi, diversamente dalla maggioranza dei paesi europei, siamo arrivati solo ora ad affrontare gli aspetti di questa grande trasformazione. Senza un vero coinvolgimento delle rappresentanze del mondo del lavoro e senza una vera prospettiva di sviluppo del paese.

Abbiamo difficoltà a cogliere gli aspetti di questa trasformazione in atto che cambierà radicalmente il sistema produttivo attraverso  la connessione , l’integrazione e interoperabilità dei  mezzi di produzione. Una sfida epocale che non può essere affrontata, come proposto da Industria 4.0, attraverso la solita distribuzione di incentivi a pioggia e con le  politiche cieche di detassazione  generalizzata. Scelte politiche deboli e inadeguate, legate più  al rendiconto elettorale ravvicinato che alle prospettive del paese e delle prossime generazioni.

Invece noi crediamo sia indispensabile concordare le linee direttrici di un orizzonte di interventi   che, partendo da una vera politica industriale 4.0, metta in interconnessione le politiche industriali e le politiche di sviluppo con un potenziato sistema d’istruzione e formazione e ricerca all’altezza della sfida che dobbiamo affrontare.

Non basta la L.107 e non bastano le norme approvate dal governo sugli strumenti che dovrebbero garantire un rapporto coerente con le leggi (Job Act, in primis) che hanno modificato il mercato del lavoro. 

 I dati su Asl, Apprendistato, sperimentazione duale, stage e tirocini fino agli ultimi su  Garanzia giovani confrontati con quelli relativi alla disoccupazione giovanile e alla dispersione scolastica, certificano l’inadeguatezza di un ’intero progetto politico .

Non puo’ bastare nemmeno il semplice potenziamento dell’istruzione tecnico professionale come propone il presidente Prodi che guarda all’esperienza degli anni 60-70 dove la scuola veniva riorientata sulle nuove esigenze di un mercato del lavoro che rispondeva alle esigenze di uno sviluppo industriale che stava cambiando il profilo socio economico del paese

Io, per età e per provenienza territoriale, ho vissuto quella stagione, nella quale i diplomati degli istituti tecnici e professionali diventavano i quadri intermedi (e la spina dorsale) delle industrie di Porto Marghera.  

Oggi lo scenario è oggettivamente molto diverso. Il rapporto Kinsey sostiene che l’automazione sostituirà l’uomo nel 49% dei lavori e che spariranno il 5% delle professioni . Oggi sappiamo di non conoscere il 25% delle professioni che ci saranno nei prossimi 15 anni. Uno scenario inedito e angosciante che dovrebbe allertare le forze sane del Paese per costruire una vera proposta politica.  

Ma ci sembra che il governo con l’Asl punta invece sulla iperspecializzazione dei ragazzi in azienda, indipendentemente dalla rapida obsolescenza delle conoscenze tecniche. La forte accelerazione delle conoscenze tecniche si deve affrontare attraverso l’aumento della scolarizzazione generale (fino a 18 anni) e con gli investimenti su scuola, università e formazione. 

Dobbiamo puntare sull’integrazione della cultura umanistica e tecnica e sullo sviluppo dei nuovi saperi, investendo anche  sulla formazione e sul riconoscimento economico dei docenti. Se si vuole davvero puntare (Europa2020) su una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, serve la partecipazione di tutti per riaprire un dibattito nel Paese.

In questo dibattito è certamente importante il contributo che  può venire dalle esperienze di qualità consolidate come Enel,  Ducati e Lamborghini ma anche dalle esperienze di alternanza precedenti la L.107. e da quelle sperimentazioni territoriali che hanno saputo intrecciare i percorsi d’ istruzione e formazione  ((Poli, Ifts e Its ). 

Come non possiamo dimenticare le denunce arrivate dal monitoraggio Uds sull’alternanza (alcune assunte alle cronache giudiziarie) e di quello effettuato lo scorso anno da Cgil, Flc e Fondazione Di Vittorio che segnalano le difficoltà di programmazione dell’alternanza per un milione di ragazzi per l’utilizzo del monte ore obbligatorio (200 ore per i licei e 400 per gli istituti tecnici e professionali), in un paese con  storie e tradizioni produttive molto diverse.

Del resto non possiamo dimenticare che solo 5.000  imprese ( in tutto il paese) si sono iscritte al registro delle imprese previsto dalla “buona scuola” e che il tessuto produttivo del paese è costituito per il 95% da piccole e piccolissime imprese con scarsa capacita di innovazione e ricerca e con scarsa propensione alla formazione.

Per affrontare la sfida della quarta rivoluzione industriale dobbiamo lavorare per una maggiore e diversa integrazione tra istruzione e mondo del lavoro, attraverso il rafforzamento della ricerca e dell’innovazione per potenziare anche  la cultura della formazione delle imprese italiane, sapendo che la socializzazione dei saperi e la formazione continua sono  fondamentali per garantire uno sviluppo innovativo. 

In questo contesto appare evidente, come abbiamo sempre detto, come l’alternanza della” buona scuola” risulti essere uno strumento arretrato e inadeguato per affrontare il nuovo rapporto che va costruito tra il mondo del lavoro e il mondo dell’istruzione. Non abbiamo bisogno di alternanza obbligatoria centrata sulle necessità di un’impresa che non sa e non vuole fare formazione e che mortifica la qualità della metodologia didattica;    al centro di qualsiasi politica ci deve essere la formazione dei nostri ragazzi con l’elevamento dei livelli d’istruzione per tutti. 

La Flc sostiene da sempre che sapere e lavoro devono interagire positivamente per promuovere uno sviluppo economico e occupazionale centrato sulla qualità e l’innovazione, ma anche capace di garantire i diritti di cittadinanza di tutti per  difendere e migliorare il nostro modello di società.

A maggior ragione oggi, di fronte alle sfide della quarta rivoluzione industriale, dobbiamo operare ricordando quello che diceva il Libro Bianco di Delors nel 1993 “La conoscenza è la chiave decisiva per tenere insieme competitività e coesione sociale nella rilettura complessiva del rapporto tra Stato e Mercato in cui diventano decisivi gli investimenti in istruzione , formazione , ricerca e cultura”.

 (*) Segretario nazionale della FLC-CGIL

 

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