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Una best practice sull’ apprendistato

Rappresento l’Enel da un profilo un po’ diverso rispetto a quello dell’alternanza scuola-lavoro, poiché il nostro è un progetto che è tutto centrato sull’apprendistato, anche se spesso si parla delle due cose in maniera un po’ sovrapposta. 

L’esperienza di Enel nasce da un grande utilizzo dell’apprendistato professionalizzante, che esiste da molti anni, che nel nostro contratto collettivo è disciplinato rispetto ai profili operativi. Questo è forse l’unico contratto rimasto a causa mista: nel nostro ordinamento non ci sono più contratti di formazione- lavoro né contratti di inserimento; l’apprendistato è quello che ha ancora la formazione nella causa giustificativa del contratto e pertanto prevede un preciso obbligo di formazione con un profilo e un progetto formativo insieme al rapporto di  lavoro. 

È molto adatto per tutti i jobs e profili professionali che richiedono un grosso investimento in formazione, e questo noi  lo abbiamo raccomandato a molte altre grandi imprese che, come noi, hanno dei profili industriali di reti e di impianti. Per formare un tecnico che sia davvero autonomo ci mettiamo 36 mesi. Quando assumiamo, e adesso assumiamo tutti i neo-diplomati negli istituti industriali ad indirizzo elettronico e elettrotecnico, utilizziamo il contratto di apprendistato e abbiamo comunque bisogno di 36 mesi di accompagnamento nei nostri centri di formazione con i nostri tutor per far si che i giovani abbiano una capacità di lavoro autonoma. 

Dal 2007, da quando abbiamo introdotto nel contratto collettivo l’apprendistato professionalizzante nei vari profili, abbiamo assunto circa 8.000 giovani in 10 anni e per questo ci siamo attrezzati con centri operativi e centri formativi.  Forti di questa esperienza, avendo riscontrato che anche nei migliori neo diplomati le soft skills erano comunque da sviluppare e noi dovevamo lavorarci per tre anni, nel 2013, ancora prima che ci fossero sia la “Buona scuola” che la riforma del “Job act”, abbiamo fatto una scommessa. 

La sfida è stata quella di lavorare con le scuole, in particolare negli ultimi due anni degli istituti tecnici-industriali di elettronica e elettrotecnica. Con i sindacati abbiamo costruito un accordo, addirittura anticipatore del decreto ministeriale uscito nel giugno 2014, che prevedesse che in un rapporto di apprendistato, quindi in un vero e proprio rapporto di lavoro, i ragazzi, nelle aree geografiche dove noi poi pensavamo di poterli assumere dopo tre anni, fossero assunti part-time dal quarto anno. 

Il progetto prevede infatti un giorno a settimana in azienda e il resto a scuola, con i programmi curvati, grazie al supporto dei tecnici del MIUR,  in modo da sostituire l’attività di laboratorio con l’attività in azienda; durante l’estate tra il quarto e quinto anno il lavoro training on job a tempo pieno;  per poi arrivare a un esame di maturità più pieno e più complesso, perché alla fine tutto è finalizzato al conseguimento del diploma. La prima maturità l’abbiamo avuta l’anno scorso con i ragazzi del primo ciclo e abbiamo lavorato molto anche qui con il Ministero che ci ha consentito di valorizzare nella terza prova l’esperienza fatta in azienda. Talmente è stata positiva l’esperienza, sia per i ragazzi e per le scuole, sia per i nostri tecnici sul territorio, che abbiamo deciso di trasformare il Progetto in Programma strutturato; l’abbiamo confermato con altre 7 classi a settembre 2016 e adesso ne stiamo facendo partire altre due in Abruzzo per l’anno scolastico 2017-2018. 

Abbiamo avuto anche un monitoraggio congiunto da parte dell’ ex ISFOL (adesso INAPP) insieme al MIUR. Con questo monitoraggio è stata fatta una verifica sul campo, anche con una logica di impact assessment, per  verificare il risultato dell’integrazione della cultura del lavoro nel processo educativo e ci hanno dato ragione anche i risultati degli esami di maturità. I ragazzi, a maggior ragione quando hanno anche un rapporto di lavoro e diventano colleghi o nel nostro caso hanno un inquadramento, hanno gli istituti di previdenza, di sanità integrativa. Sono quindi lavoratori e studenti insieme e i ragazzi crescono e maturano in maniera diversa. I professori quando li hanno ripresi dopo il training on the job d’estate hanno trovato delle persone diverse, hanno trovato dei giovani molto più maturi, molto più consapevoli, abituati a lavorare con gli altri, ad assumersi le responsabilità e a prendere delle decisioni. 

Quello che emerge però è che ci vuole un grosso impegno da parte dell’azienda. Noi l’abbiamo vissuto ed è quello che stiamo cercando di dire a tutte le altre aziende che adesso ci stanno venendo dietro: si tratta di una logica di investimento. A nostro avviso, l’impresa si deve mettere nell’ottica di investire nel rapporto con la scuole e nel rapporto con i giovani, perché è un grosso vantaggio. Non solo si viene in contatto precocemente con giovani digitalizzati e con un approccio sicuramente innovativo alle cose e ai problemi, ma si riesce, almeno nel nostro caso, ad avere un percorso pre-assuntivo. Dopo i due anni di lavoro con la scuola noi abbiamo un altro anno di apprendistato professionalizzante, per i ragazzi che decidono di proseguire e sono valutati idonei dall’azienda. Perché tornando al discorso della funzione dell’orientamento, noi abbiamo avuto 5 ragazzi bravissimi che sono passati con 100 all’esame di maturità e hanno deciso di iscriversi all’Università. Noi saremmo stati contenti di assumerli, e l’avremmo fatto, ma il loro percorso era universitario. Magari li assumeremo come ingegneri, visto che comunque all’università   acquisiranno un bagaglio diverso e più completo. 

Alcune altre caratteristiche del nostro progetto: l’arricchimento è reciproco, la cultura della valutazione scolastica e aziendale si può integrare, i tutor aziendali e scolastici possono lavorare insieme, anche se  sono due mondi che non si conoscono molto. Nelle scuole più abituate c’è stato negli anni un contatto maggiore, però l’azienda ha delle logiche di valutazione e attenzione ai comportamenti diverse da quelle scolastiche. 

Noi abbiamo cercato di rispettare al massimo l’autonomia degli insegnanti, non solo quelli di indirizzo ma anche degli altri, e sul territorio, sia nelle sette realtà dove abbiamo iniziato, sia nelle altre sette dove siamo adesso, si sono create delle sinergie davvero proficue con i nostri colleghi. Noi abbiamo infatti dei colleghi responsabili del personale che si sono occupati del progetto insieme a tutor aziendali. 

Questi colleghi hanno partecipato ai consigli di classe, il consiglio di classe ha preso le nostre schede di valutazione per integrare la valutazione del ragazzo. Noi siamo sempre stati molto chiari, sia al livello di responsabili del personale sia dei tecnici, sul fatto che i ragazzi dovessero andare bene in tutte le materie. Perché se è vero che i ragazzi si impegnano di più al lavoro – perché la motivazione è forte e poi nel nostro caso hanno un rapporto di lavoro quindi hanno anche una retribuzione commisurata alle ore che fanno in azienda – è anche vero che il progetto è finalizzato al conseguimento del diploma e cioè un’integrazione fra il lavoro e il processo educativo. 

Le sinergie sono state proficue: noi abbiamo avuto ottimi riscontri da tutti i presidi. Il MIUR alla fine dell’anno scorso ha fatto un decreto per la modellizzazione di questa esperienza, sia per le scuole che hanno lavorato con noi che con ENI (perché poi anche ENI dall’anno successivo si è lanciata in un’esperienza un po’ diversa dalla nostra perché è più incentrata sull’alternanza che sull’apprendistato). 

Questa esperienza di modellizzazione è interessante proprio perché attraverso le scuole capofila, c’è stato il coinvolgimento delle associazioni d’imprese territoriali di altre scuole; sono 11 progetti territoriali che si avvalgono anche del contributo delle università e dei sindacati quindi nella cabina di regia ci sono CGIL, CISL e UIL, c’è Confindustria, c’è il Ministero del Lavoro. 

L’obiettivo è estendere la nostra esperienza anche alle piccole-medie imprese che ovviamente non hanno i nostri mezzi né di formazione interna né di capacità di progettazione. Recentemente all’Università di Bergamo, che è una delle università con il centro ADAPT che più si interessa di questi temi, sono venuta a conoscenza in concreto di un progetto territoriale dell’Emilia Romagna attraverso la Dallara che è una delle imprese più motivate da questo punto di vista. Questa impresa ha coinvolto i propri fornitori, insieme a un istituto tecnico di Fornovo sul Taro in cui proprio a settembre ci sarà la prima classe in apprendistato scuola-lavoro misto: una classe dell’istituto capofila, formata da ragazzi che hanno però rapporti di lavoro in aziende diverse, in questo caso quindi sia nella Dallara, sia nei suoi fornitori. 

Questo è quello che noi avevamo in mente quando ci siamo lanciati in questo progetto sperando che si rivelasse un buon investimento per l’azienda,perché ovviamente noi come grande azienda abbiamo la possibilità di dare un contributo, che però non è risolutivo rispetto alla situazione della disoccupazione giovanile. 

Stiamo quindi lavorando con il sistema confindustriale e siamo molto orgogliosi del fatto che il 26 di giugno Confindustria ha presentato un “position paper” su alternanza, apprendistato e orientamento al lavoro  dove il nostro modello viene generalizzato e l’apprendistato duale negli ultimi due anni della scuola, viene descritto come una via molto positiva, che può prefigurare anche una prosecuzione versol’ITS o la “laurea industriale”, che potrebbero creare profili sempre più adatti alle esigenze delle imprese di vari settori.

 (*) Relazioni industriali ENEL

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