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La sfida dell’accoglienza diffusa e dell’integrazione

Il fenomeno migratorio interroga in modo crescente il nostro paese così come tutti gli altri paesi europei sulla necessità, e poi sulla effettiva capacità, di fornire delle risposte sia in termini di accoglienza che di integrazione effettiva dentro un quadro definito di approcci e di regole condivise al fine di far fronte ad un trend che assume connotazioni strutturali.

Secondo le Nazioni Unite infatti solamente nel 2013 oltre 232 milioni di persone, ovvero 3,2% della popolazione mondiale, ha attraversato le frontiere del proprio Paese di origine alla ricerca di rifugio politico, lavoro, condizioni economiche e climatiche più “ospitali”. Uno studio ancora più recente del McKinsey Global Institute “People on the move: global migration’s impact and opportunity” conferma, nel 2015, il numero di migranti in crescita, raggiungendo quota 247 milioni di persone.

Non eravamo preparati, nessuno di noi lo era, ad una accelerazione così repentina e continua di queste ondate migratorie che modificano così velocemente la struttura delle popolazione degli stati europei tant’è che solo ora ci si comincia a confrontare, sia a livello europeo che nazionale, sugli impatti prodotti, ad esempio, sui servizi pubblici locali e sui sistemi di welfare territoriale, sull’incremento dei tassi di povertà educativa e di dispersione scolastica, sulla tenuta dei conti pubblici, sull’opportunità di politiche d’integrazione più efficaci, sul coinvolgimento delle stesse rappresentanze dei migranti nei processi che facilitano un’effettiva integrazione dentro un quadro di legalità e di cittadinanza.

 E come spesso accade, nei paesi che faticano a competere ed a crescere come l’Italia, l’accoglienza, ed ancor di più l’integrazione, possono essere percepite dall’opinione pubblica come una sorta di sottrazione ai nostri giovani. E’ una percezione comprensibile, dovuta ad una situazione di disagio rispetto all’incertezza del futuro ed alle difficoltà di occupazione dei nostri amici, figli, parenti che il Paese intero vive e che canalizza anche in questo modo, a prescindere se poi nel concreto vi sia un’opportunità sottratta o meno ai nostri giovani.

A tal proposito, è accaduto proprio qualche giorno fa che un cooperatore sociale napoletano aderente alla nostra rete postasse, anche con un certo orgoglio che tutti abbiamo condiviso, una foto di un migrante prima accolto e poi assunto in un’attività della cooperativa sociale. In men che non si dica ci è capitato di leggere post di conoscenti che chiedevano come mai quella scelta; e se quel posto di lavoro non potesse essere occupato da un italiano magari proveniente da una delle zone degradate di quella città meridionale come ad esempio la Sanità o i Quartieri Spagnoli. E qui sta il punto. In quegli stessi luoghi citati esistono già e sono operanti esperienze molto note che danno lavoro a giovani italiani. 

Certo si può fare di più, forse sono gocce nel mare, ma il dato del lavoro nella cooperazione sociale in Italia (oltre 300.000 occupati) mostra una molteplicità di risposte a molteplici bisogni, tra cui anche, e non solo, quelli dei migranti. Così come molti lavori non sono più appetibili, per diverse ragioni non sempre imputabili ai giovani o agli italiani, se non da parte dei migranti.

 

 

Approfondendo il fenomeno da un altro angolo di visuale, le statistiche testimoniano l’importanza di affrontare i flussi migratori cambiando approccio, cercando di superare la logica dell’invasione incontrollata e puntando a gestire e regolamentare meglio i percorsi di ingresso nel nostro Paese (e in Europa). Se però l’accoglienza, soprattutto la prima accoglienza, va data a tutti, l’effettiva integrazione dipende ovviamente sia dalla volontà di integrarsi sia dalla capacità di far integrare e ha anche un suo punto di equilibrio, anche rispetto entità dei flussi, che va monitorato e possibilmente governato, tenendo però in considerazione anche i nuovi lavori o i rinnovati lavori nei quali i migranti possono impegnarsi, talvolta più e meglio di noi italiani. 

La cooperazione sociale si è impegnata fin da subito, poiché operava già nei servizi sociali, a garantire accoglienza alle persone migranti in piccoli e medi centri. Ciò ha contribuito ad assicurare, soprattutto in collegamento con i Comuni e le Prefetture, una tenuta sociale in quei territori che hanno dovuto per primi fronteggiare l’emergenza. Si pensi che solo in Sicilia sono state ospitate migliaia di persone (minori, vittime di tratta, migranti maggiorenni etc.) in grandi centri, ma anche nelle nostre piccole e medie strutture.

Ma al contempo, la cooperazione sociale ha realizzato molteplici attività di inserimento lavorativo in svariati settori, come ad esempio l’agricoltura sociale, il calzaturiero, il tessile anche talvolta formando personale specializzato poi assunto dal mondo del profit. Proprio per l’impegno crescente delle aderenti, come Alleanza delle Cooperative Sociali, abbiamo proposto e poi sottoscritto con il Ministero dell’Interno e con l’Anci “La Carta per la Buona Accoglienza delle Persone Migranti”.

La Carta, sottoscritta nel maggio del 2016, intende offrire soluzioni congiunte per governare il fenomeno migratorio coniugando il rispetto della legalità con i diritti delle persone, convinti che questo sia contemporaneamente nell’interesse del Paese, del suo futuro, e delle persone migranti. La Carta prevede la valorizzazione dei percorsi di accoglienza diffusa, promuovendo il superamento, ove possibile, dei centri di accoglienza collettivi e straordinari. Inoltre la Carta definisce un livello minimo di servizi che devono essere previsti dalle strutture che accolgono le persone migranti. Tali strutture stanno sottoscrivendo la Carta presso le prefetture locali che andranno a comporre delle liste di aderenti con standard di qualità condivisi e certi.

L’accoglienza, infatti, non si deve esaurire meramente nell’organizzazione di dormitori o nel fornire coperte o vestiario. La differenza si realizza proprio puntando con forza su interventi mirati rendono efficace l’integrazione come la mediazione culturale, i corsi di lingua italiana, la certificazione delle competenze, l’accompagnamento alla conoscenza del territorio, il coinvolgimento del territorio – istituzioni locali e società civile – e un investimento in borse lavoro e tirocini. Infine, una buona accoglienza è quella che è in grado di dedicare un’attenzione particolare alle tematiche di genere e quindi alle specificità connesse all’accoglienza e all’integrazione delle donne migranti.

L’importanza della collaborazione tra la cooperazione sociale e le Istituzioni Nazionali e Locali è determinante nel creare un legame tra ospitante e ospitato, tra chi si organizza per accogliere e chi viene accolto. Con una sorta di patto locale, le persone migranti vengono coinvolte nell’erogazione di servizi utili per i Comuni che li ospitano, diventano protagonisti di un’integrazione attiva e positiva.

Allo stesso modo l’accoglienza diffusa e il contatto con il terzo settore permette una mappatura e valorizzazione delle competenze delle persone migranti, accompagnandole alla formazione e alla ricerca di un’occupazione che colma un gap tra domanda e offerta di lavoro presente in tanti settori produttivi dell’Italia.

E’ partendo da queste premesse che  alla luce delle importanti novità normative previste dalla riforma del terzo settore e dal nuovo codice degli appalti il Ministero dell’Interno, l’Anci e l’Alleanza delle Cooperative Italiane del Settore Sociale che rappresenta oltre il 90% della cooperazione impegnata nel welfare con oltre 9.000 tra cooperative sociali e consorzi e 330mila persone occupate, stanno lavorando per impegnarsi a definire un modello di accoglienza e integrazione dei migranti a misura di persona in grado di coniugare solidarietà e legalità, efficienza e trasparenza.

Certo non tutto ruota intorno alla cooperazione sociale, ma nel nostro piccolo stiamo costruendo con le nostre aderenti questi percorsi che speriamo possano contribuire a risolvere, per quanto possiamo, le problematiche che investono noi italiani ed i nostri migranti che ospitiamo.

 

 *Vincenzo De Bernardo direttore Federsolidarietà – Confcooperative,

**Valerio Pellirossi funzionario Federsolidarietà – Confcooperative

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