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La crescente centralità del welfare contrattuale

La contrattazione collettiva ha dimostrato un elevato tasso di resilienza durante tutta la dura recessione economica ed occupazionale vissuta dal nostro paese e nei cambiamenti strutturali che questa ha comportato. Essa non solo ha accompagnato in chiave difensiva la estesa gestione delle crisi, ma si sta riposizionando su nuovi obiettivi e campi d’azione.

Non vi è dubbio che in questo non facile post crisi la contrattazione collettiva è chiamata a coniugare in modo più stretto competitività delle imprese e condizioni di lavoro delle persone. Il cammino è stretto, contrattare in un’epoca caratterizzata dalla deflazione, da bassa crescita e da produttività stagnante è davvero difficile anche per il più tenace e creativo sindacalista. Eppure la contrattazione sta trovando nuove vie attraverso le quali combinare risultati per i lavoratori con esigenze delle imprese.

Il welfare contrattuale sembra essere uno dei principali terreni di questa nuova stagione. Per più motivi: un numero crescente di imprese vuole scommettere nel coinvolgimento diretto e nel benessere del lavoratore come fattore di crescita e di maggiore produttività; i lavoratori tendono ad apprezzare maggiormente soluzioni contrattuali che incidono direttamente sulle tutele, sulle condizioni dei bisogni familiari e su un più equilibrato bilanciamento tra vita e lavoro; le normative fiscali stanno tendendo a meglio incentivare e alleggerire dal peso del fisco misure di welfare definito dalle parti in sede contrattuale.

Non a caso tra i molti aggettivi con i quali oggi si può declinare la nuova offerta di welfare è bene privilegiare il dato “contrattuale”. Proprio perché le recenti modifiche del TUIR hanno capovolto le logiche preesistenti. Dal privilegiare le forme di erogazione unilaterale il Testo Unico delle imposte, modificato in base al dialogo stretto tra sindacato contrattuale e governo nella stagione delle riforme, oggi premia e incentiva il welfare aziendale definito tramite la contrattazione tra le parti. 

 

La crescente centralità del welfare contrattato nella contrattazione collettiva è dimostrata da più dati e più fattori. 

La Cisl, tramite il proprio osservatorio OCSEL dedicato proprio all’analisi della contrattazione di secondo livello, ha recentemente indicato con chiarezza le tendenze di accelerazione nella contrattazione del welfare in azienda. Nel terzo rapporto pubblicato nella tarda primavera di quest’anno e basato sull’analisi di 2.094 accordi aziendali realizzati nel biennio 2015-2016 si evidenzia come il welfare contrattuale risulti essere il tema con il maggiore incremento rispetto alla contrattazione realizzata nel solo biennio precedente (2013-2014) passando dal 10% al 20% nel numero di accordi interessati.

Grafico 9- Frequenza delle materie oggetto di contrattazione –  

(%  a confronto sul  totale degli accordi sottoscritti nei relativi anni)

Non solo. Il Ministero del Lavoro rendiconta mensilmente il numero di accordi realizzati dal maggio 2016 all’insegna delle normative che hanno permesso la detassazione dei premi variabili di produttività e, nel contempo, la possibile traduzione in misure di welfare di parte dei premi da parte dei lavoratori interessati. Ebbene gli ultimi dati di novembre 2017 ci dicono che su 14.556 accordi aziendali che hanno contratto salario per obiettivi ben 4.764 di questi (ovvero il 32,7% di questi) hanno previsto soluzioni di welfare. E se teniamo conto del fatto che il welfare viene soprattutto contratto nelle aziende medio-grandi (sia per una cultura aziendale e di relazioni sindacali più matura e partecipativa sia perché più facilmente adottabile in quelle dimensioni), siamo di fronte al fatto che nel giro di un paio d’anni la maggioranza dei lavoratori al centro di rinnovi contrattuali decentrati hanno a disposizione pacchetti in questa direzione.

Molta strada e in poco tempo è stata fatta da quando fino a pochi anni fa la stampa dava con clamore notizia (a partire dal caso Luxottica) del welfare contrattato come di una innovazione assoluta e imprevista.

Lo sviluppo è quindi rapido e proprio per questo ha bisogno di essere guidato e orientato dal sindacato confederale. 

Se dobbiamo definire con un ulteriore aggettivo il welfare che vogliamo, oltre a volerlo come “contrattuale” lo vogliamo anche come “integrativo”. Il welfare generato dalla contrattazione deve integrarsi con il welfare pubblico e non adottare modelli che disincentivino o minino le prospettive del welfare pubblico. La popolazione italiana, per vari fattori non da ultimo quelli demografici, ha bisogni di welfare crescente con risorse pubbliche, quando va bene, costanti. La spesa privata che le famiglie (lavoratori in testa) sostengono per ricorrere a forme private di welfare (che sia il dentista, la badante o la visita specialistica non convenzionata) è in crescita. 

Il welfare contrattuale ha quindi un proprio spazio utile per integrare l’accesso ai servizi di cura e di sostegno alle persone che lavorano e alle loro famiglie. Uno rapporto equilibrato e sinergico tra welfare pubblico e welfare contrattuale è possibile e va perseguito.

Anche la contrattazione collettiva nazionale si sta caratterizzando fortemente in questa direzione. Si sta completando ormai la platea di CCNL che dopo la costituzione di fondi di previdenza complementare ha visto anche la realizzazione di fondi di sanità integrativa. Con questi è stato praticamente generalizzato l’accesso per i lavoratori ad una platea di prestazioni a basso costo e di rimborsi per il ricorso a cure o visite. Il welfare contrattuale aziendale quindi si sta sempre più specializzando nel rispondere a quei delicati e decisivi bisogni di carattere più sociale (sostegno e   servizi per la cura dei figli, per il diritto allo studio, per il trasporto pubblico, ecc.) caratterizzandosi spesso con un forte rapporto con il territorio. Alcuni recenti rinnovi di CCNL (quello dei metalmeccanici ma più recentemente anche quello delle telecomunicazioni) hanno infine adottato soluzioni economiche in voucher-welfare. Come si è già detto, la bassa inflazione ha molto ristretto i margini di erogazioni salariali monetarie e queste soluzioni hanno permesso (anche per le convenienze fiscali) di massimizzare il beneficio per i lavoratori mantenendo compatibilità di costo necessarie.

Insomma la sensazione è che questa stagione non sarà una parentesi. Difficile che si possa tornare indietro. Nella maggioranza dei casi diverse indagini testimoniano buoni o elevati tassi di soddisfazione dei lavoratori di fronte ai pacchetti messi a disposizione dalla contrattazione. Non è solo questione di incentivi e di modifiche al TUIR dunque, anche se questi hanno costituito un prezioso volano moltiplicatore per diffondere le soluzioni di welfare.

Ma una buona analisi preventiva dei bisogni della popolazione lavorativa interessata è spesso indispensabile e maggiormente capace di generare soluzioni apprezzate. I cicli di vita delle persone che lavorano e le propensioni delle stesse sono sempre più articolate. Non esiste più né l’operaio massa né bisogni uguali per tutti. Personalizzare i servizi e le soluzioni è il fattore vincente dei pacchetti di welfare che incontrano maggiore apprezzamento nella contrattazione e tra i lavoratori.

Cambia e si evolve in questo senso il mestiere del sindacalista. Molto più sofisticato ora e destinato a basarsi su competenze nuove. Se nella contrattazione tradizionale l’accordo scritto (magari dopo le frequenti maratone di trattativa notturna) conteneva tutti i dispositivi normativi, e una volta firmato permetteva il riposo dei protagonisti, ora con gli accordi di welfare conta molto di più come ci si arriva e come vengono gestiti. Conoscere nei dettagli gli aspetti normativi e fiscali, saper confrontarsi e trattare con i fornitori di welfare, costruire analisi dei bisogni dei lavoratori che non dipendono solo dall’azienda sono solo alcune delle nuove competenze richieste.

Il welfare contrattuale è quindi destinato a crescere e a diffondersi. Serve certamente una continua riflessione sindacale sul percorso che lo stesso sta avendo. Soprattutto per mantenere le forti caratteristiche sociali e di senso che lo stesso può portare con sé. Se fino ad oggi si è puntato ad una sua diffusione quantitativa e a rendere popolare e conosciuto lo strumento, è già il tempo di valutarne le conseguenze e correggerne alcune tendenze.

C’è anzitutto un problema di estensione e di accessibilità, soprattutto per le PMI e le microaziende, così diffuse e centrali nel sistema economico italiano. L’accesso al welfare ha costi di gestione e di organizzazione che queste spesso non si possono permettere. Non possiamo limitarne l’accesso alle sole grandi imprese strutturate. Tocca alla bilateralità, già esistente e strutturata in settori storici come edilizia, artigianato, commercio e agricoltura, dimostrare la capacità di rigenerarsi e di provvedere ad adottare soluzioni di welfare accessibili e su misura per i lavoratori di questi piccoli mondi produttivi.

Il welfare a cui dobbiamo puntare deve essere inclusivo nei confronti di tutti i lavoratori e non solo contrattato per gli assunti a tempo indeterminato. Nell’economia italiana il 15% dell’occupazione è non standard o a termine (in certi settori questa percentuale si moltiplica) e non dobbiamo creare ulteriori distanze nelle protezioni contrattuali tra fissi e flessibili. Contrattare un welfare inclusivo per tutti i lavoratori, meglio se “portabile” in un mercato del lavoro dove sempre più persone cambieranno lavoro è una delle sfide del futuro. Dobbiamo evitare che perdendo un lavoro si perda molto di più anche in tema di welfare. Bene hanno negoziato in questo senso già alcune categorie che hanno previsto di mantenere le prestazioni dei fondi sanitari anche per chi perde un posto di lavoro per qualsiasi ragione (per 12 mesi i metalmeccanici, per 18 mesi gli alimentaristi).

Il welfare che vogliamo deve mantenere la propria base mutualistica e non tramutarsi in un puro consumo individuale di prestazioni. Se è vero che dare accesso a piattaforme di servizi personalizzabili aumenta l’appetibilità del welfare, il sindacato deve puntare ad includere nei pacchetti prestazioni di protezione sociale che coprano eventi problematici (quali ad esempio lunghe malattie o bisogni particolari) in chiave solidale. E’ questo il modo con cui un secolo fa le casse di mutuo soccorso sono nate aiutando la nascita del sindacato, è questo il senso del welfare da mantenere.

Un welfare incentrato maggiormente su una rete di servizi qualificati e meno su rimborsi di fatture presentate dai lavoratori è un orizzonte a cui tendere. Ciò permetterebbe di creare nei territori reti di servizi dedicati ai bisogni delle persone. Allargando la qualità degli stessi, applicando buone retribuzioni e contratti (in settori come quello dei servizi alla persona dove questi sono spesso evasi o oggetto di dumping), sostenendo una buona economia a partire dallo sviluppo del terzo settore.

Serve immaginare un welfare per fasce di popolazione lavorativa particolari. Da un lato i giovani, che raramente hanno bisogni sociali o di assistenza, ma che devono invece nel nostro paese aumentare le occasioni di autonomia personale. Se non vogliamo che i giovani lavoratori usino il welfare contrattato solo verso servizi come la palestra o l’abbonamento alla pay-tv abbiamo il compito di sforzarci a costruire un welfare dedicato. Analogo discorso vale per i lavoratori di origine straniera, che in alcuni settori quali edilizia o agricoltura costituiscono una componente rilevantissima dei lavoratori. Si tratta di una popolazione che ha un diverso modo di accedere ai servizi e di gestire le reti in rapporto ai bisogni. Serve una riflessione per coinvolgere in modo adatto e proprio gli stessi verso forme di welfare che rispondano meglio a bisogni diretti.

Se vogliamo costruire un welfare integrato con quello pubblico dobbiamo lavorare per un maggiore dialogo tra pubblico e privato. Essere integrativi vuol dire partire da dove il pubblico non arriva per estendere in cooperazione servizi e prestazioni. Il confronto con le Regioni potrà rivelarsi un asse fecondo. Le regioni italiane hanno l’85% dei loro bilanci dedicati a sanità e welfare. Confrontarsi e negoziare con le stesse come il welfare contrattuale può fornire servizi e prestazioni integrative è possibile e può far bene a tutta la tenuta del welfare state.

C’è molta strada da percorrere per costruire dalle recenti esperienze una stagione di cambiamento per le relazioni sindacali e per i sistemi di protezione dei lavoratori. Sicuramente il cambiamento è già arrivato. Aver legato incentivi e sgravi alla contrattazione del welfare tra le parti è stata una scelta non scontata e riformatrice. In questo modo i contrattualisti sono caricati di nuove responsabilità, ovvero devono sapere legare interessi di aziende e lavoratori con risposte sociali adeguate e non con pure convenienze corporative. La diffusione del welfare contrattuale può essere una leva per intervenire sulle nuove disuguaglianze sociali, ma non è scontato, se non ben governata può portare a nuove distanze tra gli stessi lavoratori.

Ma il sindacato confederale ha nel suo dna la combinazione delle rivendicazioni particolari con gli interessi generali e, se non si farà mancare coraggio e visione, saprà rendere fertile questa nuova stagione contrattuale.

 

 (*) Dipartimento contrattazione CISL

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