Ogni volta che vedo un baldo giovane sfrecciare con la sua bicicletta nel tremendo traffico di Roma, con casco e zaino spesso griffato dalla “piattaforma” che lo guida verso il destinatario di turno, mi viene in mente il garzone del panettiere che, a Foggia, quando ero bambino, aspettavo con affetto perché portava il panino caldo per noi fratelli e il “filone” appena sfornato per tutta la famiglia. Il primo è la versione moderna del secondo. Non saprei dire a quali condizioni contrattuali allora si facesse quel servizio; ero troppo piccolo per occuparmi di questi aspetti ma presumo che non fossero molto differenti da quelli attuali, cioè al limite o addirittura al di sotto della decenza. L’unica vera differenza è che oggi si usa una tecnologia che a quel tempo non c’era e sono sicuramente più numerosi che allora e quindi più visibili.
E’ la tecnologia, oltre che la frenesia, a dare spessore a questo fenomeno. Ciascuno di noi, comprando on line attraverso Amazon o ordinando la pizza all’ultimo momento, è soddisfatto se la consegna avviene nel più breve tempo possibile. Anzi, diciamo la verità, lo pretendiamo, lo diamo per scontato. La nostra vita sta diventando un “just in time” continuo, sul lavoro come nel tempo libero. L’alleata della frenesia è la tecnologia che sta dilatando, con una velocità impressionante, la sua capacità di soddisfare le nostre esigenze di consegna e di possesso. Poco conta se è sempre l’offerta a condizionare la domanda. E’ che noi siamo affascinati dall’option “celerità” e non la rifiutiamo facilmente.
In mezzo a questo abbraccio tra produttore/distributore da un lato e consumatore dall’altro, sta crescendo un mondo del lavoro abbastanza inedito, quello dei “riders”. Sono corridori, apparentemente solitari, che sanno cosa devono fare ma non dove e come farlo. Glielo spiega ogni giorno chi l’organizza, tramite una piattaforma che, attraverso un algoritmo, riflette sostanzialmente le convenienze del produttore/distributore e le aspettative del consumatore. Certo, la piattaforma pianifica i chilometri da percorrere, razionalizza l’allocazione territoriale, previene anche eventuali rischi e ostacoli ma, in fin dei conti, satura a sua discrezione il rider. Questo, di suo, se accetta l’ordine, ci mette: l’abilità a districarsi nei percorsi migliori per far prima possibile le consegne, la capacità di mantenere un ritmo, possibilmente sostenuto, nella giornata e la disponibilità a ricevere una remunerazione determinata dal “mercato”, cioè bassa, spesso molto bassa.
E’ inevitabile che, man mano si ingrossano le file dei riders, si evidenzino anche difficoltà e limiti dell’insieme dell’esperienza. Basti pensare che normalmente è un lavoro che soltanto chi è abbastanza giovane può fare con disinvoltura ed efficacia, che non avviene in luoghi circoscritti e formalmente ti fa sentire “imprenditore di te stesso”. Caratteristiche che, nel tempo, perdono quelle parvenze di novità ed interesse mentre crescono disagi e ribellismi. Così si arriva alla sentenza del Tribunale di Torino che conferma all’azienda Fedoora che fa bene a considerare lavoratori autonomi quelli che lavorano per essa. Chiedere ad un Tribunale “chi sono? autonomo o dipendente?” è sempre un rischio. In questo caso, ancora di più, trattandosi di una fenomenologia sull’orlo del confine.
Se ci si affida alla via giudiziaria, c’è da prevedere che il cammino sarà lungo ed accidentato. Le sentenze si accavalleranno, ondeggiando di qua e di là e prima che si affermi un orientamento univoco, molta acqua passerà sotto i ponti. Se ci si affida alla via legislazione, si sa da dove si incomincia ma non si sa dove si arriva; d’altra parte, con il job act si è già fornito una gamma di soluzioni a cui agganciare la qualificazione dei lavoratori di questo servizio. Meglio, quindi, procedere in modo più pragmatico, con la contrattazione.
Ai sindacati conviene investire sul potenziamento della loro rappresentanza tra questi lavoratori. Si notano riserve di vario genere a prendere di petto la problematica. Eppure, quella del rider non è una figura di transizione, né tanto di nicchia; al contrario innerverà tutta la filiera del valore dei prodotti e giocherà un peso non irrilevante nella formazione del prezzo finale. Può darsi che sarà un mondo in cui ruoteranno tante persone, ma sicuramente un mondo che resisterà alle innovazioni per un lungo periodo.
La contrattazione può con maggiore puntualizzazione affrontare i temi dei diritti finora negati e delle tutele disconosciute. L’avversario non è l’algoritmo in sé, ma ciò che contiene e un maggior ruolo dei lavoratori nella implementazione e controllo della sua utilizzazione già risolverebbe buona parte dei problemi. L’avversario vero è la concentrazione della proprietà degli algoritmi e qui si entra nel complicato territorio della regolamentazione del possesso e uso del web, che in tutto il mondo sta arrovellando operatori e legislatori. Nel frattempo, la via della cooperazione che possegga la piattaforma e associ i lavoratori può dare più garanzie e potere contrattuale ai lavoratori nei confronti delle aziende che intendono usufruire di tale servizio. Le esperienze a cui fare riferimento non mancano e quanto più si diffondono, tanto più le varie Foodora e Deliveroo (che ha annunciato il potenziamento dell’assicurazione gratuita per tutti i lavoratori) dovranno migliorare le condizioni di lavoro dei loro collaboratori.
Quanto agli aspetti salariali e previdenziali, nessuna illusione che l’eventuale introduzione del salario minimo contrattuale possa risolvere il problema. Soltanto la contrattazione può trasferire ai lavoratori una quota di ciò che si forma nella catena del valore di questo comparto. Semmai la legislazione può dare un contributo, estendendo a questi lavori il regime che dovrebbe essere adottato per i contratti a termine e cioè – anche per disincentivare l’abuso – quello di costare almeno il 10% in più dei contratti a tempo indeterminato. Sarebbe utile anche che si stabilisca contrattualmente che una parte consistente di questo incremento sia destinato al finanziamento pensionistico, dato che per questi lavoratori è latente il rischio della continuità lavorativa nel tempo.
I nuovi lavori quasi sempre si innestano su vecchi lavori. Il problema è di evitare che si torni al passato nel modo di affrontarli e gestirli. Il primato del mercato non può giustificare ingiustizie e disuguaglianze. Né le nuove tecnologie possono essere incolpate di queste devianze. Il luddismo non avrebbe senso. La questione è la sua utilizzazione e chi ha il coltello dalla parte del manico. Lo Stato non può essere indifferente allo squilibrio di potere che nei nuovi lavori si possono creare. Deve consentire che i rapporti tra le parti coinvolte siano realmente equilibrati e trovino le soluzioni che meglio favoriscano un clima civile e non medioevale nello svolgimento di queste attività.