Perché operatori politici ispirati a modelli di marketing elettorale dovrebbero occuparsi di persone senza dimora (PSD), in modo compiuto e secondo le peculiarità del bacino? Le PSD sono poche e con propensione quasi nulla alla partecipazione elettorale. Confermare i criteri selettivi generali previsti per la popolazione in povertà ottiene più risultati nel consenso delle urne. Soprattutto se le norme sono accompagnate da propaganda ultra-lavoristica (ancora tutta da dimostrare nell’efficacia) e visione anti divano (non proprio in sintonia con questo bacino di popolazione).
Sono infatti poche le 50 mila e oltre PSD indicate dall’ISTAT nell’ultima rilevazione del 2015; escluderli dal reddito di cittadinanza (RDC) non comporta nessun danno per i competitori elettorali. Tanto più per quelli allergici alla giustizia sociale e alla solidarietà.
Sacrosanta viene ritenuta dai sostenitori delle norme in atto l’esclusione di chi non risiede in Italia da 5 anni congiunto al criterio di continuità di residenza di almeno due anni. Norma pensata per limitare l’accesso alla popolazione immigrata, ma tragicamente efficace nei confronti delle PSD, anche italiani. Per molte di queste persone risulta difficile avere una residenza e conservarla a lungo.
A nulla sono valse le posizioni espresse da molte associazioni che si occupano di povertà estrema in fase di audizioni nel percorso di conversione della decretazione. A nulla le richieste di modifica sottoscritte da migliaia di persone. A nulla le dichiarazioni possibiliste del nuovo presidente dell’INPS, grande promotore del RDC, seguito dalla presentazione di emendamenti, non certo del tutto puntuali nel merito.
I senza dimora, nella maggioranza dei casi, per adesso, restano fuori. Il possesso della residenza non è verificabile: almeno che non sei in una delle situazioni abitative più strutturate.
Si è ricorso nel tempo per l’accesso ai servizi e ai diritti alla residenza fittizia definita dai comuni. Ma le indagini campionarie indicano che pochi enti locali (intorno ai trecento) hanno provveduto. Quindi niente residenza fittizia, niente accesso a molte prestazioni del welfare, statale e locale.
Una misura di contrasto alla povertà estrema, considerata come livello essenziale delle prestazioni, non è tarata per raggiungere il target delle PSD. Aggiungendosi alla generale carenza di servizi dedicati alle PSD in ambito territoriale.
Eppure il RDC, prevede, in maniera involontaria da parte del legislatore, interventi maggiormente premianti, per i coefficienti di equivalenza, le persone singole in stato di povertà, rispetto alle famiglie pluricomposte. Tuttavia, in questo caso, la condizione di solitudine esistenziale delle PSD viene drasticamente recisa col combinato residenza decennale / residenza continuativa.
E che dire della mancata tenuta in considerazione delle propensioni all’occupabilità delle persone senza dimora? Le indagini ci confermano che percentuali interessanti di tali persone hanno avuto familiarità o conservano familiarità con il lavoro. Quindi non possono essere esclusi da percorsi di inserimento lavorativo. Fermo restando la verifica dell’efficacia del sistema previsto dalla norma.
Certo il fenomeno del disagio multidimensionale è largamente presente: ma l’intervento dei servizi sociali, in una logica integrata, potrebbe trovare giovamento nelle metodiche concrete dei lavori di pubblica utilità, organizzati direttamente dai comuni o, meglio, affidati a soggetti del terzo settore con esperienza di gestione del disagio multidimensionale.
Che dire poi della composizione del benefit suddiviso in quota di sostegno al reddito e quota affitto che svantaggia le PSD. Si prende a riferimento la situazione in atto limitando le prospettive di housing (ad es. anticipo di affitto, spese di agenzia), di soluzioni di housing sociale, di altre soluzioni di transitorie, necessarie, nei percorsi di inclusione e indispensabili per l’inserimento socio lavorativo.
Alcune limitazioni nell’utilizzo della card non sono congeniali a PSD. Non tanto quelle relative alle voci di spesa possibile. La condizione che la spesa sia effettuata entro il mese con la previsione dell’abbattimento percentuale del residuo rischia di ridimensionare le capacità di consumo delle persone che non hanno familiarità con le card; il limite dei 100 euro di prelievo di contanti, maggioritario tra i senza dimora (il 76,5% dei quali vive da solo) non consente una certa flessibilità negli acquisti o nell’accesso a servizi.
E tralasciamo, per una popolazione già provata, la valutazione della adeguatezza del sistema sanzionatorio ai processi di attivazione / capacitazione propri di percorsi con situazioni di disagio.