Le lentezze della burocrazia dipendono, in primo luogo, dall’assenza di tecnici. Da almeno un secolo, si lamenta il fatto che contesti e retribuzioni non agevolano l’assunzione dei migliori tecnici da parte dell’amministrazione pubblica, con la conseguenza che Stato, regioni ed enti locali debbono rivolgersi all’esterno ogni volta che debbono fare un progetto.
Sul finire dello scorso secolo, a questo male se ne è aggiunto un altro, che si chiama «spoils system». Ai vertici, non si accede per merito, ma per nomina politica. E i più alti vertici scadono con gli esecutivi politici, per cui debbono essere confermati (o sconfermati) in ogni cambio di governo o giunta. Si aggiunga a questo che, per fare risparmi di spesa, negli ultimi anni, i concorsi sono stati bloccati. La conseguenza è che la burocrazia è dovunque invecchiata, per mancato rinnovamento del personale.
Tutto questo provoca, nei dipendenti pubblici, attenzione principalmente per la carriera, piuttosto che per la funzione; inerzia («surtout pas trop de zèle», secondo il detto di Talleyrand); crisi dei processi di decisione.
L’ultimo paradosso di questa situazione, che appare senza sbocco, è che, se il Paese è scontento dei dipendenti pubblici, questi ultimi sono, a loro volta, scontenti: basta vedere i flussi elettorali degli impiegati pubblici nelle ultime elezioni politiche, stimati di recente dalla Ipsos.
Si può uscire a questa situazione?
Certamente si, ma anche l’opera riformatrice incontra difficoltà. L’amministrazione non ha incentivi ad autocorreggersi, anche perché stretta da troppe leggi. I governi hanno incentivi negativi a correggere il modo di funzionamento delle burocrazie, perché ciò richiede un’azione almeno decennale e i governi italiani non durano oltre un massimo di tre anni.
Quindi, un governo veramente innovatore finirebbe per pagare tutti i costi dell’azione riformatrice per consentire ai governi successivi, di altro colore, di trarne i benefici.
Quindi, è meglio fare quel che hanno fatto i governi finora: o l’inerzia, o l’annuncio di riforme grandiose, ma inefficaci perché non attuate (con la conseguenza che la disillusione, nel pubblico, incentiva un ulteriore allontanamento del «Paese reale» dal «Paese legale»).
Con questa avvertenza: di una salda, efficiente e competente burocrazia l’Italia ha più bisogno di altri Paesi, per le carenze del corpo politico, che non riesce a darsi governi duraturi, una buona burocrazia potrebbe supplire almeno a una parte delle carenze di governi transeunti.
* da L’ Economia del Corriere della Sera 23/09/2018