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Il CNEL si doti di un ”codice d’onore” contro i contratti pirata

C’è stallo sulla questione del salario minimo legale. CGIL, CISL e UIL assieme alle maggiori organizzazioni di rappresentanza degli imprenditori stanno facendo muro alla proposta dei 5s prima e del Governo poi, di definire per legge una paga oraria unica, valida per tutti. Ma finora non hanno convinto l’interlocutore principale Di Maio a desistere. 

La proposta delle parti sociali è quella di fare una legge che dia valore “erga omnes” ai minimi contrattuali di categoria e quindi che rispetti l’autonomia dei soggetti contraenti. I signori al Governo vogliono che sia la politica a dettare legge sui minimi salariali. Siamo sempre di fronte alla ricorrente gara del “politico” che vuole imporsi al “sociale”, in nome di una tutela onnicomprensiva che nulla ha a che fare con la realtà concreta della vita della gente, specie dei più giovani. 

La resistenza sindacale è sacrosanta. L’occupazione – oltre che vittima dell’andamento fiacco della congiuntura – è presa nella tenaglia del decreto dignità da un lato e della flat tax per le partite IVA dall’altro. E’ vero che dopo l’introduzione del decreto, sono aumentati i contratti a tempo indeterminato, ma gli impieghi complessivi crescono soprattutto per effetto del part time (spesso involontario), delle varie forme dei contratti a tempo e delle partite IVA. La vasta area del lavoro precario, a bassi salari, non scema. E’ uno schema sistemico che a lungo andare destabilizza il mercato del lavoro in una dualità radicale (inclusi/esclusi) e di conseguenza con relativa perdita di ruolo del sindacato.

A questo attacco se ne aggiunge un altro, più strisciante ma non meno insidioso. La proliferazione sconcertante dei contratti nazionali collazionati al CNEL. Degli 888 accordi nazionali depositati finora, soltanto il 13% sono firmati dai tre sindacati confederali. Nel commercio è una fiera: 229 contratti nazionali, finora. Una corsa continua a definire minimi sempre più bassi, forme spurie di salario minimo. In caso di controversia tra un datore di lavoro “sparagnino” e un lavoratore “stufo” di prendere meno della Cassa integrazione o del Reddito di cittadinanza, non è certo e scontato che la magistratura dia ragione al secondo, trattandosi di un contratto registrato presso il CNEL. Se l’azienda dichiara di avvalersi di quel contratto, potrebbe essere considerato irrilevante che esso sia stato sottoscritto da quattro gatti dell’una o dell’altra parte.

I “contratti pirata”, complice la crisi economica e gli alti tassi di disoccupazione specie giovanili, stanno lentamente minando le relazioni industriali. Anche perché, in genere, non solo fanno la cresta sui minimi salariali, ma intervengono in peggio sui diritti e le tutele. A ciò si aggiunge il fatto che entrano meno contributi previdenziali nelle casse dell’INPS e meno tasse all’Erario. La ciliegina finale è che con la legittimazione della registrazione al CNEL, i contraenti possono creare patronati, enti di formazione professionale, CAF.  E la sarabanda continua.

E’ rischioso attendere passivamente che lo stallo si risolva. Le parti sociali posso dare una spallata, se vogliono. Esse sono la maggioranza schiacciante dell’Assemblea del CNEL. Dovrebbero prendere l’iniziativa di autogestirsi una fase di attesa che nessuno sa se sarà breve o lunga. In ogni caso, dovrebbero decidere di definire (finchè una legge sulla rappresentanza non intervenga) un “codice d’onore”, votato dall’Assemblea, per cui siano certificati soltanto i contratti nazionali sottoscritti dalle organizzazioni presenti nel CNEL; che questi contratti, entro un determinato tempo, abbiano lo stesso salario minimo definito dalle organizzazioni maggiormente rappresentative di imprese e lavoratori; che – in caso di inadempienza – alla loro scadenza, non siano più validi e dunque cancellati dallo sportello del CNEL.

Il senso della proposta è chiaro. Prima che intervenga la legge, le parti sociali – legittimate dalla presenza nel CNEL – si assumono la responsabilità di definire il perimetro del pluralismo contrattuale che, per avere vita lunga, deve essere cosa seria e non un terno al lotto, sia per le aziende che per i lavoratori. E il senso di responsabilità non si limita ad escludere chi è poco rappresentativo ma si estende a contenere in spazi limitati la concorrenza sui contenuti, in primis quelli salariali. Con tanto di sanzione, qualora vi fossero “furbetti” che giocano a non adeguarsi alle scelte fatte assieme.

Di fronte ad un atto così significativo, le istituzioni pubbliche e i partiti politici non potrebbero più fare orecchie da mercanti. Se volessero intervenire “in pejus”, se ne assumerebbero la responsabilità ed in ogni caso resterebbe rafforzata la volontà delle parti di comportarsi in modo omogeneo e non scoordinato. E anche l’autorevolezza del CNEL ne uscirebbe consacrata. 

 

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