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Le controriforme che danneggiano il sistema previdenziale

Per quanto mi è stato possibile, ho criticato le misure previdenziali introdotte – su spinta della Lega – dal governo giallo-verde, con il decreto n.4/2019, detto “delle due bandiere” (in quanto conteneva anche la normativa del reddito di cittadinanza cara ai pentastellati). 

Pertanto, avrei visto con favore nella manovra di bilancio per il 2020 l’abolizione – o quanto meno la revisione – di “quota 100”, nonostante il suo sostanziale insuccesso tra i lavoratori, il fallimento del turn over tra prepensionati e giovani neoassunti, i risparmi realizzati e le previsioni che preconizzano una fine ‘’a coda di pesce’’ negli anni in cui continua ad operare la sperimentazione.

Per ora all’interno del governo e della maggioranza ha prevalso la linea di lasciare le cose come stanno. Non ci voleva una grande fantasia per immaginare un esito siffatto. Per tanti motivi, più politici che tecnici (si è accennato al riprodursi del “tormentone” degli esodati).

Infatti, quota 100 è una formula che non dispiace alle organizzazioni sindacali e a diversi settori del Pd, che a suo tempo criticarono la norma non tanto per i suoi contenuti, quanto per la sua sperimentalità. Ma il dibattito su questo particolare aspetto, a cui la Lega aveva attribuito un primo colpo di piccone alla riforma Fornero (Matteo Salvini si è vantato a ‘’Porta a porta’’ del numero delle domande presentate, sorvolando su quello – nettamente inferiore – delle prestazioni concesse) a chi scrive è apparso un po’ propagandistico e reticente, nel senso che si è preso di mira, con quota 100, l’istituto emblematico del ‘’salvinismo’’ applicato alla previdenza, l’argomento per mesi al centro dei talk show, perché immaginifico e facile da spiegare (bastava sommare due numeri), senza accorgersi che la controriforma leghista conteneva un “colpo di piccone” ben più robusto, della cui abrogazione nessuno, in queste settimane, si è mai sognato di parlare (per ignoranza o per opportunismo?).

Mi riferisco al requisito di 42 anni e 10 mesi (un anno in meno per le donne) richiesto per ottenere il pensionamento ordinario di anzianità, a prescindere dall’età anagrafica, che il decreto “delle due bandiere” ha “sterilizzato” dall’incremento automatico legato all’attesa di vita, fino a tutto il 2026.

Infatti, le generazioni baby boomers che si presentano a riscuotere il diritto alla pensione hanno alle spalle una vita lavorativa e contributiva che consente loro di maturare il trattamento anticipato ordinario (lo ripetiamo: a 42 anni e 10 mesi fino a tutto il 2026) ad un’età spesso inferiore ai 62 anni. 

E’ sufficiente osservare la tab.1 (il monitoraggio dell’Inps al 10 giugno scorso) per rendersi conto che l’età media (62 anni) di coloro che hanno usufruito di questa via d’uscita è inferiore di quella (64 anni) di quanti si sono avvalsi della magica ‘’quota 100’’.

Tabella 1. Domande pervenute e accolte – dettaglio di genere, dell’età media e della durata media delle tre misure introdotte dal D.L. 4/2019 convertito in Legge 26/2019

Si dirà che il numero di coloro che hanno approfittato dell’articolo 15 è inferiore a quello dei ‘’quotacentisti’’, ma il dato riguarda i primi mesi di applicazione della legge. L’aggiornamento al 10 settembre evidenzia già una certa convergenza tra le due tipologie di pensionamento anticipato.

Inoltre, il monitoraggio dell’Inps denuncia una forte diminuzione del numero delle domande riguardanti l’utilizzo di quota 100 che sono passate da una media giornaliera di circa 4000 a fine gennaio, ad una di meno di 300 ad agosto.

Tutto ciò premesso credo che non avrebbe avuto senso affrontare la questione emblematica di quota 100 senza porsi il problema del blocco fino al 2026 dei requisiti del pensionamento anticipato ordinario (a prescindere dall’età).

C’è poi un altro aspetto da considerare: a lasciare invariate queste controriforme temporanee, si rischia di arrivare alla loro scadenza con la minaccia dello “scalone”, perché ritornerebbero in vigore automaticamente le regole Fornero.

Ci sarebbe allora una fortissima spinta nell’opinione pubblica a modificare strutturalmente il sistema con requisiti di pensionamento più conformi e vicini a quelli delle deroghe. Il che determinerebbe uno shock finanziario insostenibile.

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