La stagione del 1969 non è esplosa all’improvviso, ma ha avuto una lunga fase di incubazione iniziata con lo sciopero nazionale degli elettromeccanici nel 59, segnando il risveglio delle lotte operaie.
Nel 1963, l’Intersind (aziende Iri–Efim a partecipazione statale), rompe l’alleanza con la Confindustria, firmando il contratto nazionale che introduce la contrattazione integrativa aziendale. Lo schieramento padronale privato rimane isolato, e in poco tempo a sua volta dovrà accettare questa importante conquista.
Nel rinnovo del contratto del 1966 la Confindustria, contando sulla bassa congiuntura e la scarsa unità dei vertici sindacali sul tema della contrattazione integrativa, chiedeva in termini pregiudiziali rispetto alla firma del nuovo contratto: la sospensione degli scioperi mentre erano in corso le trattative e la cancellazione della norma sulla contrattazione articolata firmata nel 1963.
Suo malgrado le pregiudiziali caddero, sconfitte dalla forte lotta unitaria di tutti i lavoratori ricompattando il fronte sindacale
Fu una svolta importantissima, tutto il padronato in via definitiva riconosceva la contrattazione aziendale con Fim -Fiom -Uilm, che diventò il più grande strumento di partecipazione attiva dei lavoratori, rafforzandone il potere e consolidando la democrazia nelle fabbriche.
Nel mio intervento parlerò della provincia di Treviso dove, dal 1961 al 1974, ho svolto attività sindacale, nello specifico nelle zone di Castelfranco Veneto e Montebelluna.
La provincia negli anni 50 era tra le più povere d’Italia e all’ultimo posto nel Nord. Considerando l’indice dei consumi (Istat 1952); 76 comuni su 95 erano considerati “zone depresse”.
L’agricoltura, composta da mezzadri e coltivatori diretti, nel 1951 sfiorava il 50%, della popolazione, con punte fino al 70% nel Mandamento di Castelfranco Veneto (Marangon-Possagnolo, censimento ISTAT). Il grado di istruzione era molto basso con un 5% di analfabeti e un 15% appena in grado di leggere.
La storia contadina Trevigiana è quella di un popolo sfruttato, ma non sottomesso, ricco di storia, tradizione, fede, cultura, coscienza politica, protagonista di lotte memorabili fino agli anni 20 con le leghe Bianche di Giuseppe Corazzin, negli anni 50/60 impegnato nelle grandi lotte contro gli agrari, la Coltivatori Diretti, la destra DC e la parte più conservatrice delle gerarchie cattoliche, per il superamento della mezzadria e l’acquisto della terra. Sono state fondate migliaia di aziende agricole, zootecniche, avicole, ortofrutticole, avviata la cooperazione e le scuole agrarie, individuando nuove e moderne politiche per l’agricoltura, diventate un riferimento a livello europeo.
Negli anni 50 migliaia dei nostri contadini abbandonano le campagne, emigrando con le famiglie per cercare lavoro nelle città del triangolo industriale e all’estero (in Svizzera, Francia, Belgio, Germania e oltre oceano, in Canada e Australia).
In 20 anni, dal 1951 al 1971, oltre due terzi degli addetti all’agricoltura si riverseranno nel comparto industriale e nei servizi; gli occupati del settore si attestarono al 15%, (dati censimento Istat 1971) assorbiti da un rapido processo di industrializzazione.
L’accordo Interconfederale sul conglobamento e il riassetto Zonale delle retribuzioni, classificavano la provincia di Treviso, settima nella graduatoria fra le province, con i salari minimi inferiori del 20% rispetto a Milano (zona 0).
Il sistema degli incentivi, la facilità di individuare le aree per gli insediamenti produttivi, le infrastrutture attivate dei comuni, la grande disponibilità della manodopera e i bassi salari, hanno determinato le dinamiche dello sviluppo.
La crescita industriale è avvenuta rapidamente in tutta la provincia, specie nei centri come Conegliano, Castelfranco, Montebelluna, con un notevole aumento della popolazione e degli occupati.
L’industria trevigiana è nata e cresciuta nel secondo dopo guerra; 1/3 delle imprese operanti sul mercato hanno una data di fondazione posteriore al 1951, registrando lo sviluppo più rilevante negli anni 60, nonostante che in quel periodo il tessuto economico nazionale fosse attraversato da una sfavorevole congiuntura iniziata dal 1963, hanno in cui si chiuse il tumultuoso sviluppo degli anni del miracolo economico.
Nel decennio 60-70 si registra una forte ascesa delle industrie del legno, della meccanica, del tessile – abbigliamento, dei settori alimentari, chimici e cartai.
Sul piano politico e sociale, l’aspetto più rilevante è stato l’ingresso nelle fabbriche di migliaia di giovani donne, relegate fino ai primi anni 60 all’interno delle famiglie per svolgere lavori domestici e agricoli. Molte di loro avevano già acquisito una formazione sociale, frequentando i corsi di economia domestica che l’Istituto agrario di Castelfranco aveva promosso con le scuole serali.
Il loro ingresso nelle fabbriche, produsse una grande e positiva rivoluzione sociale, modificando radicalmente i costumi, la mentalità, la cultura, i bisogni e gli stili di vita, spaccando in due la comunità tra favorevoli e contrari, investendo la politica, la cultura, il clero e le parrocchie e le stesse famiglie.
Per le ragioni sopra indicate, gli imprenditori consideravano la realtà trevigiana la più conveniente per investire, confidando sulla sottomissione e la pace sociale; ma su questi due aspetti si sono sbagliati di grosso, non avendo considerato la combattività della giovane classe operaia e la grande forza del sindacato.
Sul Piano sindacale, la vera svolta in provincia avviene nei primi anni 60, grazie ad un gruppo di giovani sindacalisti formati al centro studi Cisl qui a Firenze: e negli anni successivi con la sostituzione del vecchio gruppo dirigente all’interno della Cgil e la Uil.
Queste scelte hanno accelerato la spinta alla verticalizzazione categoriale e settoriale dei comparti produttivi, imprimendo un forte sviluppo della contrattazione aziendale.
Con le vertenze, gli scioperi in azienda, la formazione qualificata e intensiva, abbiamo preparato i quadri sindacali, forgiando un sindacato combattivo, efficiente, maturo, composto da giovani attivisti nei luoghi di lavoro e nelle sedi territoriali.
Le vertenze aziendali hanno sviluppato la coscienza sindacale, la partecipazione e la combattività nelle fabbriche, favorendo la crescita organizzativa e la sindacalizzazione.
Nella seconda metà degli anni sessanta, si lottava per nuove conquiste, ma anche per far rispettare gli accordi già sottoscritti che i padroni non volevano riconoscere, tentando di recuperare il potere perduto.
I metalmeccanici a Treviso hanno guidato il protagonismo sindacale, mettendo in atto esperienze contrattuali e iniziative unitarie, diventate riferimento nel veneto e a livello nazionale.
In dicembre del 1959, gli operai della Zoppas aprirono la vertenza di fabbrica per avere la Commissione Interna, aumentare le retribuzioni, i passaggi di qualifica e avere la mensa aziendale. Dopo 40 giorni di sciopero ad oltranza, riuscirono a piegare il padrone, riscattando le sconfitte subite nel 1955 e nella primavera del 59, schiacciati dalla repressione feroce dei titolari che avevano completamente smantellato il sindacato in fabbrica.
In quel periodo, molti stimoli culturali e politici provenivano dalla società. Ne ricordo alcuni in particolare:
Innanzitutto, la Chiesa attraverso il Concilio Vaticano II si apre al mondo, superando l’integralismo religioso, affermando il valore della laicità, contribuendo a risvegliare le coscienze.
I libri di Don Lorenzo Milani e i ragazzi di Barbiana: “esperienze pastorali”, “Lettera a una professoressa ”, “l’obbedienza non e più una virtù”, trasmettono un forte messaggio per le attività formative, la scuola, il valore della parola, il primato della coscienza, contro l’autoritarismo, la burocrazia, nemici principali della democrazia. Tutto questo alimentava lo “spirito di libertà”, la curiosità intellettuale, la libertà di ricerca, che faceva la differenza con chi aveva una concezione dogmatica.
Altrettanto importante è stato il ruolo svolto dalle Acli, dall’Azione Cattolica, da parrocchie aperte e sensibili rispetto alla condizione operaia, dai preti schierati con i lavoratori molti dei quali occupati in azienda, venendo per questo definiti dai padroni, “preti rossi “.
Le rivendicazioni, gli scioperi e le manifestazioni del 68 -69furono intense e diffuse conquistando moltissimi accordi. l’autunno caldo del 69 non fu l’esplosione di una rivolta come per gli studenti, ma il compimento di un cammino iniziato nei primi anni 60, caratterizzato da esperienze di lavoro, personali e familiari pesantissime: disoccupazione, bassi salari, autoritarismo, umiliazioni, debolezza e divisione dei sindacati, rassegnazione e fatalismo dei lavoratori.
Nelle fabbriche si trattava su tutto: diritti, pause, ritmi e saturazioni nelle catene di montaggio, organizzazione del lavoro, organici, orari di lavoro, turni e straordinari, igiene ambientale, lavori nocivi, categorie, aumenti salariali, superamento dei cottimi, premi di produzione, mensa, salario garantito alla Zoppas, in stretto rapporto democratico con i lavoratori che non concedevano deleghe alle strutture sindacali esterne.
Resta il fatto inequivocabile che l’autunno caldo ha costruito diritti e spazi di cittadinanza attiva che costituiscono vere e proprie pietre miliari per il mondo del lavoro: Diritti recepiti, ampliati e generalizzati dalla legge 300 del 1970, più nota come Statuto dei diritti dei lavoratori.
L’esperienza dei delegati non fu ispirata dai gruppi extraparlamentari, ma dalla contrattazione aziendale, attraverso un metodo democratico e partecipativo dal basso di tutti i lavoratori.
Le 150 ore ottenute con il contratto del 1973 hanno permesso il ritorno alla scuola elevando l’istruzione operaia. E’ stato un altro grande contributo, che ha consolidato il legame con il mondo della scuola.
Le lotte e le rivendicazioni sono state l’elemento propulsivo per avviare il processo unitario e la nascita della Federazione unitaria dei metalmeccanici (Flm), seguite da altre categorie e dalle stesse confederazioni.
La strategia della tensione, i morti, le stragi, gli attentati, le trame nere, i servizi segreti deviati, durante l’autunno caldo, non hanno piegato il movimento sindacale.
In quel contesto sconvolgente, otto milioni di lavoratori scendono in campo per il rinnovo dei contratti, con 300 milioni di ore di sciopero (dati Istat)
A testimonianza del peso assunto dalle vertenze per le riforme, il 19 novembre le Confederazioni proclamano uno sciopero generale nazionale sul problema della casa, con altissima adesione.
La crisi economica dei primi anni 70 i problemi dell’inflazione, l’aumento dei prezzi e delle tariffe, i problemi della casa, dei trasporti, degli asili nido, la mancanza dei servizi socio sanitari, della prevenzione delle malattie in fabbrica e nel territorio, stimolarono la costituzione dei Consigli di Zona, indispensabili per coinvolgere i lavoratori e i delegati con le strutture sindacali confederali esterne.
Un problema centrale era la partecipazione diretta dei lavoratori, per cui la democrazia all’interno del sindacato garantita da regole chiare rappresentava una scelta pregiudiziale, senza la quale il sindacato avrebbe imboccato una deriva burocratica staccandosi sempre di più dai lavoratori.
Il 16 ottobre del 1971, i consigli generali unitari di Cgil – Cisl – Uil, di Treviso, approvano un documento per il superamento delle divergenze in materia di democrazia interna, di elaborazione e azione autonoma, avviando una nuova esperienza di rapporto dialettico con i partiti politici.
Il regolamento unitario sui consigli di zona fu approvato l’11 novembre del 1972.
Viene deliberata la costituzione di 6 consigli di zona, organizzati nei territori della provincia (Treviso centro,Castelfranco, Montebelluna, Conegliano, Vittorio Veneto,Oderzo – Motta).
Vengono definiti: compiti di direzione politica, funzioni di coordinamento della contrattazione a livello aziendale sviluppata nelle fabbriche in sintonia con le categorie, modalità di elezione, numero di componenti, il ruolo di coordinamento e di direzione politica, il finanziamento, le modalità di convocazione delle riunioni e delle assemblee, la costituzione di commissioni di lavoro aperte a studenti, insegnanti, tecnici ed esperti sui temi delle riforme che intendevamo attuare. consigli di fabbrica, direttivi ed esecutivi unitari, bilanci e sedi unitarie, formazione unitaria, scioglimento per via congressuale delle singole componenti sindacali, per dare vita rifondandola ad una sola componente sindacale unitaria, ( la Fim Nazionale e la Cisl di Treviso hanno votato per lo scioglimento).
Ogni consiglio di zona elaborava proposte e piattaforme rivendicative rispondenti ai bisogni e alle caratteristiche del territorio, presentando rivendicazioni alle diverse controparti: imprenditori, amministratori comunali e provinciali e altre istituzioni pubbliche.
I temi affrontati riguardavano: L’occupazione, le crisi aziendali, la gestione del collocamento, il superamento del lavoro nero, la messa in regola dei lavoratori a domicilio, i trasporti, la distribuzione commerciale, gli spacci aziendali, le mense interaziendali, la medicina preventiva e del lavoro, la formazione professionale, l’istruzione, la scuola i libri di testo, l’uso delle 150 per l’acquisizione della terza media agli operai, e altri aspetti, mettendo assieme operai, studenti, insegnanti, produttori del mondo contadino e consumatori, operai delle fabbriche e residenti nei quartieri, rispondendo ai bisogni e alle esigenze concrete delle persone.
Tutto ciò metteva in crisi il tradizionale ruolo basato sulla delega ai partiti, che guardavano con diffidenza questa esperienza unitaria, avviata a Treviso dopo l’autunno caldo, in anticipo rispetto le strutture nazionali.
Nel 1970 erano stati istituiti i Consigli regionali amministrativi. Il 22 maggio 1971 viene definito lo statuto con il trasferimento del potere statale attraverso le deleghe approvate in aprile 1972.
Su proposta del Segretario provinciale Cisl (Lino Bracchi, che diventerà segretario generale regionale dal 1973), con Cgil e Uil viene presentata una piattaforma rivendicativa alla Regione, in materia di riforme su: Investimenti e occupazione, Sanità ; Casa e edilizia sociale; Trasporti ; Diritto alla studio e formazione professionale.
Avevamo stabilito un rapporto nuovo fra lavoratori delle fabbriche e il mondo della scuola, ponendo in discussione il modello verticistico e selettivo dell’istruzione, con l’introduzione dei distretti e dei consigli scolastici, favorendo la partecipazione degli studenti e dei genitori, anche se non potevano intervenire sui contenuti didattici.
A Conegliano alcuni attivisti della Zoppas e il C.D.Z. per tutelarsi dall’inflazione e contrastare l’aumento dei prezzi, danno vita ad una cooperativa di prodotti agricoli e alimentari stabilendo un rapporto diretto tra produttori e consumatori, escludendo l’intermediazione.
Viene costituita la Cooperativa C.D.C. (Centro distribuzione cooperative), avviata in autunno del 1971, approvata dall’assemblea dei soci in gennaio del 1972 con un grande numero di adesioni, confluendo un anno dopo nella Coop di San Donà di Piave.
A Castelfranco, su iniziativa di Bruno Pozzobon della Fim e il Consiglio di zona, in collegamento con A.P.A.C.(Associazione produttori agricoli consumatori ) e A.P.L. (Associazione produttori latte) si avvia un ambizioso progetto per l’avvio degli spacci aziendali, con l’orientamento al consumo e la vendita diretta della carne e del latte e altri prodotti agricoli, con una catena distributiva diretta tra produttori e consumatori. L’iniziativa riscuote grande adesione nelle fabbriche, nei quartieri espandendosi rapidamente nei territori della provincia di Treviso e nel Veneto, attraverso accordi con i Consigli di fabbrica di grandi aziende come la Miralanza, il Petrolchimico, e fuori regione con l’alfa di Arese e la Fiat di Venaria.
Il rapporto con L’Alfa Romeo, fu rilevante e significativo. I pacchi carne venivano consegnati ai lavoratori e alle loro famiglie, attraverso i delegati di fabbrica che aprirono trattative con le direzioni aziendali sulle forniture per le mense.
Sempre a Castelfranco, il consiglio di zona in collaborazione con l’A.I.A.S (Associazione Italiana Assistenza Spastici), alcuni preti “ di frontiera “ e le famiglie, sostenne i soggetti portatori di handicap che vivevano segregati in casa, o rinchiusi in qualche istituto, sconosciuti al mondo e ignorati dalla società. Abbiamo promosso manifestazioni di popolo per sensibilizzare l’opinione pubblica, a sconfiggere i pregiudizi, per inserirli nelle scuola, nel mondo del lavoro, mettendo fine al loro destino di esclusione ed emarginazione.
A Treviso e a Conegliano con la mobilitazione dei lavoratori sono nate mense interaziendali, con grande beneficio per operai e studenti. La vertenza scuola di Paese (TV) con il consiglio di zona, il sindacato scuola media Sism Cisl e Cgil scuola.
Significative sono state le lotte per la prevenzione e difesa della salute nei luoghi di lavoro, guidati da Alfonso Garampelli e un gruppo determinato di sindacalisti Fim, che il Dott. Mario Secolo di Conegliano, allora studente di medicina del lavoro all’Università di Padova ha definito:“scatenati inarrestabili sindacalisti cattolici sociali, più a sinistra di ogni sinistra”, assieme ad altri medici locali di Conegliano e Montebelluna e dell’università di Padova e Verona e Andrea Dapporto della Fiom ( M. Secolo, pag.57 -Venetica 1/2019 articolo 9 – A.Boschiero – G. Zazzara).
Nelle fabbriche di Conegliano, Oderzo, Montebelluna, sono stati introdotti i libretti di rischio e dei dati ambientali, discussi e approvati dagli operai nei reparti omogenei, avviato indagini conoscitive per individuare i fattori di rischio e le cause della nocività sui luoghi di lavoro, nelle aziende: Padovan, Zoppas, Sole di Oderzo; confezioni San Remo, e altre aziende.
Nel comparto calzaturiero di Montebelluna per combattere la polineurite da collanti, con mobilitazioni e convegni importanti, come quello del giugno 1974 presso l’Ospedale di Montebelluna, con la presenza dell’allora vice Ministro del lavoro, Onorevole Tina Anselmi.
Queste lotte hanno contribuito a far nascere la medicina del lavoro a Conegliano e a Montebelluna, diffondendola in tutto il territorio della provincia.
I consigli di zona si sono occupati di molte altre questioni sul territorio, ma il tempo limitato a disposizione non mi consente di esporle.
Abbiamo lottato sul terreno delle riforme per impegnare la sanità ad occuparsi del sociale, sviluppando la prevenzione e la riabilitazione. In veneto le strutture sanitarie sono denominate ULSS (Unità locali socio sanitarie) inglobando anche il comparto sociale.
L’impegno nelle politiche sociali territoriali, richiedevano un grande aggiornamento in professionalità e concretezza rivendicativa dei Consigli e un nuovo modo di rapportarsi con i partiti politici, gli amministratori e le istituzioni locali e le difficoltà incontrate furono notevoli.
La nostra invasione di campo in modo autonomo sulle politiche sociali territoriali, toglieva spazio e alimentava una notevole diffidenza da parte dei partiti.
Uno degli ultimi segnali di autonomia del sindacato e di volontà unitaria fu la manifestazione del 2 dicembre 1977 a Roma promossa dalla FLM, in occasione dello sciopero generale. In quella circostanza, le confederazioni tennero un comportamento ambiguo; Il partito Comunista non aderì impegnato a definire la politica di austerità.
La svolta moderata del PCI pesava nel dibattito all’assemblea dei delegati sindacali Cgil-Cisl-Uil riuniti all’Eur di Roma il 13-14 febbraio 78, lasciando trasparire le caratteristiche moderate della svolta che aleggiava nel dibattito. (vedi Franco Amatori, L’approdo mancato; Sergio Bologna, il lungo cammino delle lotte operaie: entrambi editi dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 2017 e 2019.
Il cambio di strategia dopo la rottura con il governo di unità nazionale, la sconfitta del PCI alle elezioni politiche del 1979, provocarono sbandamenti all’interno della Cgil, come riflesso del ritorno all’opposizione del loro principale partito di riferimento, portando la Confederazione ad assumere una particolare intransigenza sulle materie di confronto con il governo (scala mobile – patto antinflazione – costo del lavoro).
Gli effetti negativi sul sindacato in provincia di Treviso si erano già manifestati alla fine del 1977, con il deterioramento dei rapporti unitari che causarono la fine di questa importante esperienza.
Sul fronte del processo sindacale unitario, con l’assemblea di Montesilvano (Pescara) nel novembre 1979, le Confederazioni tentarono un timido rilancio, proponendo di generalizzare i Consigli di zona, demandando le decisioni ai rispettivi congressi, che non hanno prodotto nessun risultato.
Mentre si tentava di generalizzare i Consigli di Zona, le realtà che gli avevano positivamente sperimentati, avevano già concluso l’esperienza come nel caso della nostra provincia
I Consigli di Zona sono stati mitizzati e ideologizzati: Qualcuno nel sindacato faceva persino accostamenti con i “Soviet” della rivoluzione Russa; Al contrario qualche amico politico e intellettuale, gli considerava come il tentativo della scalata al cielo del sindacato.
Personalmente ritengo siano stati organismi importanti per consolidare il rapporto democratico tra lavoratori e Confederazioni Sindacali, per affrontare e risolvere determinati problemi sociali sul territorio, riempiendo il vuoto lasciato dai partiti politici, aprendo la strada al cammino delle riforme.
* Giovanni Trinca già dirigente sindacale della FIM CISL a Treviso