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#iorestoacasa va bene, ma non per tutti.

L’ondata di proteste nelle carceri si è attenuata. Dei 191 istituti penitenziari italiani, ne sono stati coinvolti una ventina. La rapida ed esponenziale diffusione del coronavirus, che ha intimorito l’intera popolazione italiana, non poteva escludere, nell’atteggiamento, le carceri. Presunto altro luogo separato. Quindi presunta condizione congeniale all’ hashtag #iorestoacasa.

Tuttavia le misure cautelative progressive indicate dalle autorità sanitarie non hanno attenuato la preoccupazione delle persone detenute: come si può in celle occupate da più persone rispettare (se essenziali al fine del contrasto e del contenimento del virus)  la distanza di sicurezza tra persone, le misure igieniche di pulizia senza adeguati strumenti, l’interdizione dei contatti interni. La stessa modalità di gestione, così perentoria, delle disposizioni da parte delle istituzioni penitenziarie, senza una minima campagna informativa, ha facilitato la diffusione della rivolta.  L’interruzione delle visite di parenti ed amici – occasioni di relazioni personali e di approvvigionamento di prodotti non così reperibili o accessibili nelle mura – ha fornito il suo contributo al malcontento. E parenti ed amici si sono trovati, davanti agli ingressi, nell’impossibilità delle visite con la rabbia condivisa con gli internati. E qualche fiancheggiatore sociale del territorio.

L’informazione dei media, nelle varie modalità, social compresi, ha agevolato un processo imitativo montante tra le persone detenute, nei diversi siti carcerari. E la situazione è stata faticosamente gestita e riportata con difficoltà sotto controllo dall’amministrazione penitenziaria. Al netto delle evasioni ancora in corso.

Le dinamiche avvenute  sono note:  assalto alle infermerie per l’acquisizione di sostanze stupefacenti, numero di morti tra i carcerati, contusi tra la polizia penitenziaria, evasioni. Azioni violente non giustificabili, accompagnate da richieste quali indulto e grazia. Con il timore postumo, in molte situazioni, a procedere nella continuazione e messa in atto di percorsi riabilitativi, costituzionalmente contemplati.

L’epidemia ha sollevato il velo dalla difficile situazione delle persone nelle carceri. Lungamente persistente. Largamente approfondita, ma destinataria di marginali interventi.

Già a luglio dello scorso anno l’Associazione Antigone – in sensibilizzazione alle ricorrenti condizioni agostane delle celle – evidenziava nel suo pre rapporto,  come questioni cruciali, l’incremento del numero dei detenuti e del sovraffollamento delle carceri a livelli insostenibili. Vicini alla situazione stigmatizzata dalla UE. Questo del sovraffollamento è la questione più grave e diffusa (in 131 siti sui 191 esistenti si supera quello che viene definita la “capienza regolamentare”) per gli effetti che provoca  sulla qualità della vita, sia dei detenuti, sia del personale penitenziario, che già da tempo lamenta il notevole sottorganico.

Ma altri fenomeni venivano evidenziati nel rapporto di Antigone: la riduzione della possibilità di movimento negli spazi extra – cella come limitazione dell’agibilità fisica e relazionale;  un tasso di detenzione pari a 100 detenuti ogni 100mila residenti,  come scelta delle misure detentive rispetto a soluzioni alternative; l’incertezza a procedere nella direzione dell’edilizia carceraria tra nuove costruzioni e ristrutturazioni di edifici pubblici disponibili, per gli stanziamenti insufficienti  delle risorse messe a disposizione;  la positiva diminuzione tendenziale degli ingressi in carcere, neutralizzata dall’allungamento delle pene,  come una delle metamorfosi dei connotati della detenzione; la elevata percentuale ( del 35%)  di detenuti per violazione della legge sulle droghe (anche se in concomitanza di altri reati);  la persistenza di interventi penali inefficaci nel contrasto della diffusione della tossicodipendenza, soprattutto il consumo;  la presenza di un 31,5% di persone in custodia cautelare e quindi senza una condanna definitiva ( anche se il dato è diminuito rispetto all’anno precedente) e tra questi il 15 % di detenuti  in attesa del primo giudizio; la presenza di stranieri  (33,42% sul totale,  pur se diminuiti in percentuale nei confronti dell’anno precedente)  spesso internati per reati collegati alle norme politico-ideologiche  del rapporto  sicurezza-clandestinità.

In sintesi: confermata la presenza in carcere di persone in situazioni di povertà economica e culturale: provenienza prevalente da quattro regioni meridionali, Campania, Puglia, Sicilia e Calabria,  da paesi stranieri, da condizioni di analfabetismo o bassa scolarità.

E il disagio nelle carceri  presenta altri indicatori: i suicidi registrati tra i detenuti e gli agenti della polizia penitenziaria; la limitazione, fortemente differenziata tra regioni, della concessione di permessi premio; il ridimensionamento dei corsi di formazione scolastica;  i limitati interventi dei comuni a sostegno dell’inclusione della popolazione carceraria (trasporti per i collegamenti carceri città, riconoscimento delle posizioni anagrafiche dei detenuti, rispetto delle norme di igiene pubblica nelle carceri, formazione professionale e utilizzo dei detenuti in attività di utilità pubblica, presa in carico delle persone in fine pena). A dispetto della consapevolezza acquisita che le misure di attenzione e di presa in carico sono un formidabile strumento di riduzione dei comportamenti di recidiva.

Né le fonti ministeriali confliggono con queste analisi del rapporto. Anzi ne dettagliano i termini.  Le misure alternative alla detenzione effettuano, nella loro articolazione, una funzione di alleggerimento preventivo del sovraffollamento delle carceri piuttosto che una funzione deflattiva.  Sono interventi, cioè, che vengono adottati ma crescono contemporaneamente all’incremento del numero delle detenzioni. Si perviene, infatti, a tali misure maggiormente dalla libertà che non dalla condizione carceraria. (La casistica prevalente riguardo alla fuoriuscita dalla detenzione  riguarda persone con problemi droga correlati e malati di AIDS).

L’attività lavorativa al 30 giugno 2019 (dati Ministero Giustizia) viene svolta da 16.850  soggetti di cui 967 donne. Gli stranieri sono 5782. Ma questa attività solo per 2.459 detenuti si svolge non alle dirette dipendenze dell’amministrazione penitenziaria,  in cooperative o altri enti,  con  maggiori possibilità di qualificazione rispetto allo sbocco nel mercato del lavoro.

La gestione dell’epidemia in atto, da cui usciremo fuori, ha inizialmente trascurato la peculiarità della popolazione carceraria nelle sue misure di contrasto e contenimento. Nei confronti di questa popolazione #iorestoacasa non è stato del tutto congeniale.  Così come, paradossalmente, non lo è stato con altre categorie di persone: i senza dimora. I quali stanno reclamando #iovorreirestareacasa.

 

 1 Vedi https://www.agi.it/cronaca/news/2020-03-09/carceri-rivolte-san-vittore-detenuti-colloqui-coronavirus-7393347/

 Vedi https://www.agi.it/cronaca/news/2020-03-10/carceri-morti-rivolte-7420241/

3

 Vedi https://www.antigone.it/upload2/uploads/docs/PreRapporto2019.pdf

4

 Vedi  http://www.nuovi-lavori.it/index.php/sezioni/826-in-carcere-si-potrebbe-vivere-meglio.

5

 Secondo le statistiche del Ministero di Giustizia i posti sono calcolati sulla base del criterio di 9 mq per singolo detenuto + 5 mq per gli altri, lo stesso per cui in Italia viene concessa l’abitabilità alle abitazioni, più favorevole rispetto ai 6 mq + 4 stabiliti dal CPT + servizi sanitari. Il dato sulla capienza non tiene conto di eventuali situazioni transitorie che comportano scostamenti temporanei dal valore indicato.

6

 Vedi CARCERI ITALIANE: LA CARENZA DI PERSONALE. Oltretutto, ad una situazione del genere si aggiunge un altro grave problema: la carenza di personale di polizia e degli altri ruoli dell’amministrazione penitenziaria. La Polizia Penitenziaria, nel 2016, ha subìto un taglio lineare del proprio organico da 45000 a 41000 unità. Ciò nondimeno, il personale di polizia attualmente in servizio è inferiore di cinquemila uomini anche rispetto al nuovo organico previsto (36000 su 41000). Lo stesso dicasi per il personale dei ruoli socio-pedagogici, dei ruoli amministrativi e di 

tutti gli altri profili dell’amministrazione penitenziaria. Per non parlare, poi, del personale medico e paramedico. Negli istituti c’è in media un educatore ogni 80 detenuti ed un agente di polizia penitenziaria ogni 1,8 detenuti. Ma in alcune realtà si arriva a 3,8 detenuti per ogni agente (Reggio Calabria) o a 206 detenuti per ogni educatore (Taranto). Indubbiamente, una situazione del genere non aiuta a mantenere tranquilla la situazione delle carceri in Italia.

 7

 Tasso inferiore alla Francia ma superiore alla Germania.

8

 https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_3_1_4.page

 9

 Vedi Numeri, tipologie e funzioni delle misure alternative – Tredicesimo Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione. https://www.antigone.it/tredicesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/01-misure-alternative/

10

 Vedi tabella seguente.

 

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