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In Italia la disuguaglianza è un eredità pesante

Gianni e Paolo hanno 67 anni. Nei primi anni Novanta, quando i loro rispettivi figli Giacomo e Pietro erano adolescenti, il reddito di Gianni superava quello di Paolo dell’equivalente di 20mila euro odierni. Oggi Giacomo ha un lavoro che gli consente di guadagnare 10mila euro all’anno più di Pietro. Metà della differenza di reddito che c’era tra i genitori si è trasmessa ai figli. Ciò vale considerando solo i redditi da lavoro di questi ultimi. Se includessimo anche quelli da patrimonio, la disuguaglianza trasmessa sarebbe maggiore quasi certamente Gianni ha potuto lasciare a Giacomo un patrimonio superiore.

Si potrebbe pensare che trasmettere il cinquanta per cento della disuguaglianza da una generazione all’altra non sia un gran problema. Non è così. Nella classifica dei paesi avanzati che misura come la disuguaglianza economica si trasmette da genitori a figli, l’Italia occupa uno dei primissimi posti. In quasi tutti i paesi la disuguaglianza trasmessa è minore: in particolare, in Danimarca, nei paesi nordeuropei, in Canada e in Australia è dell’ordine del venti percento o poco più. Solo in Gran Bretagna e Stati Uniti è comparabile alla nostra.

Soprattutto, quel dato, riferito all’ltalia come un tutto, rappresenta una media: non soltanto in molti casi è superiore (e, ovviamente, in altri     inferiore), ma, trattandosi di un valore medio elevato, è molto difficile che il figlio di un “povero” guadagni più del figlio di un “ricco”. L’influenza delle origini familiari limita quella che viene chiamata mobilità sociale relativa; quest’ultima, infatti, sarebbe assicurata se un Pietro, malgrado le origini familiari svantaggiate, avesse un’elevata probabilità di “superare” un Giacomo. Questo problema è diverso da quello a cui più spesso si fa riferimento anche sui media usando la metafora dell’ascensore sociale bloccato. In quel caso ci si riferisce al fatto che i figli hanno redditi inferiori a quelli di cui godevano i rispettivi genitori quando avevano la loro stessa età. In questo caso viene invece limitata la cosiddetta mobilità sociale assoluta.

In Italia oggi abbiamo entrambi i problemi, ma le loro cause e conseguenze sono diverse. Il primo fattore da considerare è che se è facile spiegare la trasmissione di reddito derivante dai patrimoni – perché è facile trasmettere questi ultimi – non cosi facile è spiegare la trasmissione delle disuguaglianze nei redditi da lavoro. I genitori non possono trasferire direttamente reddito da lavoro; possono, però, in vari modi, influenzare alcuni “tratti” dei figli che il mercato del lavoro riconosce e remunera.

Motivazioni, preferenze, stato di salute, l’istruzione e la sua qualità, le abilità cognitive e le competenze extra scolastiche, le abilità non cognitive (le soft skills), l’insieme di connessioni sociali in cui si è inseriti. La famiglia può trasmettere- – o influenzarne l’accumulazione – uno o più di questi “tratti” e il mercato del lavoro può apprezzarli in misura diversa. Le differenze tra paesi dipendono sia dalla varietà e dall’intensità dei “tratti” trasmessi, sia dalla diversa valutazione che ne dà il mercato del lavoro. Rilevante è, naturalmente, anche il capitale economico; Ia letteratura economica ritiene, generalmente, che la principale (se non unica) determinante della disuguaglianza intergenerazionale sia l’investimento in capitale umano, riconducibile all’istruzione. I figli dei genitori più abbienti hanno, in media, un titolo di studio più elevato, per una varietà di circostanze che vanno dalle preferenze trasmesse alla possibilità anche economica di studiare di più e meglio. Inoltre, si assume che le retribuzioni dipendano esclusivamente dal capitale umano: i figli dei più ricchi saranno più istruiti e grazie a ciò guadagneranno di più.

 

Questa spiegazione si basa su una precisa visione del funzionamento del mercato del lavoro che premierebbe senza eccezioni il merito e le capacità produttive dei più istruiti. Non vi è dubbio che le condizioni economiche dei genitori siano ovunque correlate positivamente con il titolo di studio dei figli. Ma in alcuni paesi, tra i quali lItalia e il Regno Unito, vi è un ulteriore “premio” per chi proviene da background migliori: in particolare in Italia, il figlio di un dirigente con lo stesso titolo del figlio di un operaio guadagna, in media, il 17 per cento in più all’anno. Se è vero che la famiglia conta perché incide sull’ istituzione (e con ciò risulta violata le uguaglianze formale delle opportunità) è anche vero che il mercato del lavoro premia altri “tratti” influenzati dalla famiglia. In generale, il premio salariale, a parità di istruzione, per chi proviene da origini migliori potrebbe essere dovuto ad abilità produttive ‘non osservabili’ di cui sono maggiormente dotati i figli dei benestanti, che più facilmente beneficiano di istruzione di migliore qualità, di attività extra-scolastiche e più facilmente possono sviluppare le cosiddette soft skills che ampi segmenti del mercato del lavoro apprezzano. Ma potrebbe dipendere anche dai vantaggi legati all’appartenenza a gruppi sociali più influenti. 

La mancanza di dati non consente di stabilire con certezza l’importanza relativa di questi due fattori e la tendenza prevalente. Quindi,  si pone il problema di attribuire alle abilità non osservabili il premio familiare aggiuntivo rispetto a quello derivante dall’istruzione in coerenza con una visione del mercato del lavoro come luogo in cui vengono premiate le abilità e non c’è spazio per privilegi basati sulle connessioni sociali. Questi ultimi, semmai, si manifestano lontano dai mercati, nel pubblico.

 

Decide la famiglia

Le nostre indagini, basate su figli che lavorano come dipendenti nel settore privato, non danno conforto a questa interpretazione. Al contrario, portano alla luce una serie di indizi che rendono plausibile, ancorchề non definitivamente provata, la tesi che le origini familiari in Italia contino, e non poco, perché le connessioni sociali vengono apprezzate anche nei mercati. Un primo indizio viene da due lavori di Raitano e Vona in cui si distinguono i figli in base alla mobilità di istruzione rispetto ai loro genitori e si compara il salario ottenuto da figli con la stessa istruzione ma diversa origine. 

L’idea è che chi retrocede non possiede più abilità non osservabili di chi “progredisce”. Ne discende che se tra due diplomati il figlio di  lạureati guadagna di più del figlio di diplomati, il primo è protetto da un paracadute spiegabile soprattutto con le connessioni sociali Non è invece facile stabilire la causa di un possibile soffitto di vetro, che si verifica quando il laureato figlio di laureato guadagna più di chi ha raggiunto la stessa posizione salendo la scala sociale (laureato figlio di diplomato): la differenza potrebbe, infatti, dipendere sia dalle connessioni sociali, sia da migliore istruzione e soft skills. Dall’analisi empirica si rileva come in Italia si abbia sia un ‘effetto soffitto di vetrơ, sia, soprattutto, un consistente effetto paracadute.

Quest’ ultimo suggerisce che i figli dell’élite godono di privilegi permessi dalle connessioni sociali. Un nostro lavoro sui dipendenti del settore privato pubblicato con Fabrizio Patriarca sul Journal of Economic Inequality indaga se il premio legato alle origini famigliari, a parità di istruzione, dipenda dal grado di concorrenza del settore in cui si è occupati (misurato con l’esposizione al commercio internazionale). L’assunto di partenza è che nei settori più concorrenziali viene retribuito di più chi possiede migliori abilità (cognitive o non cognitive), mentre in settori meno concorrenziali disporre di migliori connessioni sociali (che abbiamo chiamato capitale relazionale) più facilmente permette di estrarre rendite e ottenere una retribuzione più elevata. La previsione è che se un mercato diventa più concorrenziale il premio di background aumenterà nel caso sia dovuto a maggiori abilità e diminuirà se dipende dal capitale relazionale. I risultati del nostro studio mostrano, senza dubbio, che in Italia il premio di background a parità di istruzione è più alto nei settori produttivi meno competitivi (che sono soprattutto alcuni settori dei servizi regolati o protetti); dunque, nella trasmissione intergenerazionale delle disuguaglianze le connessioni sociali sono importanti.

 

Opportunità mancate

Le implicazioni sono numerose e  importanti, La prima, nota e largamente condivisa, è che in Italia non è affatto garantita l’eguaglianza di opportunità nell’accesso all’istruzione più elevata e ulteriori disuguaglianze di opportunità sostanziali sị manifestano in relazione alla qualità del percorso di istruzione. Dunque, le condizioni familiari continuano a contare molto per l’istruzione e le recenti vicende collegate al COVID (in particolare le difficoltà di accesso all’istruzione a distanza di molti dei figli dei meno abbienti) rischiano di peggiorare la situazione. 

La seconda è che da noi la famiglia esercita la propria influenza anche attraverso altri canali e in particolare le sue connessioni sociali. La terza è che questo esito è dovuto anche al modo in cui funzionano i mercati, a cosa viene remunerato sul mercato del lavoro e perché. Ẹ nel perché, svolge un ruolo importante il grado di concorrenza, come si è vista.

Questa caratteristica negativa del nostro sistema economico e sociale sembra in conflitto con l’articolo 3 della Costituzione ed è anche vagamente reminiscente dell’ancien regime. Se si vuole intervenire per correggerla, è necessario ma non sufficiente realizzare – e non solo invocare – un’effettiva eguaglianza di opportunità. Occorre anche correggere le modalità di funzionamento dei mercati, nella consapevolezza che ciò potrà favorire la mobilità sociale relativa con benefici in termini sia di equità sia di efficienza.

 

 

*da DOMANI, 25/09/2020

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