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3 biglietti da visita per primeggiare in Europa.

Nonostante la ripresa furiosa dell’epidemia, che ci obbliga a dedicare tempo e pensieri all’immediato, trovo che non bisogna trascurare di allungare vista e attenzione al prossimo futuro. L’Europa lo sta facendo e pretenderà stessa lungimiranza da tutti i Paesi. L’emissione di un bond SURE, per continuare a supportare la spesa dei singoli Stati per i sussidi a chi è in CIG o è senza lavoro, ne è la conferma.

Si suppone che lo stia facendo anche il Governo italiano. Anzi ce lo auguriamo tutti. Ma, se lo sta facendo, sta avvenendo in assoluta riservatezza, mentre sarebbe opportuno che la confezione del “pacco” da inviare a Bruxelles per attivare il contributo previsto dal New Generation Fund fosse meno paludato e meno fondato sui “forse” e i “sì, ma”. Questo atteggiamento poco trasparente non facilita neanche l’iter di per sé complicato e asmatico che sta caratterizzando l’ultimo miglio dell’adozione del più massiccio intervento economico e politico dell’Unione Europea, da quando si è costituita.

Non dobbiamo illuderci. La generosità con cui è stata trattata l’Italia sotto il profilo economico, non esclude affatto la severità con cui guarderanno al modo con cui vorremo utilizzare le risorse riservateci. Per questo sarebbe più che logico avere le idee chiare sull’impostazione delle richieste che accompagneranno i singoli progetti. Una cornice di identità vale molto di più che una minuziosità di proposta, ammesso che sia scontato che ciò avvenga. Abbiamo bisogno di saperci presentare come seri e coscienziosi utilizzatori dell’occasione che si è concretizzata. Che è anche l’opportunità per consolidare il nostro essere europeisti convinti e non opportunisti.

A mio avviso ci sono tre scelte che possono fare da cornice dignitosa alla nostra esposizione del piano d’azione. La prima è di optare per una destinazione inequivocabile delle risorse. Almeno i 2/3 di esse devono essere erogati al sistema produttivo di beni e servizi, ancorati ai settori d’intervento definiti dall’Europa. Vincolarci ad un parametro che è nello stesso tempo quantitativo e qualitativo ci metterebbe al riparo dalla logica dell’”ora e subito” che ci prenderebbe la mano di fronte all’accumulo di bisogni che il Covid 19 potrebbe suggerire, nel bene e nel male. Farlo può sembrare una forzatura, mentre è una necessità. Dobbiamo costruire il futuro, non tamponare il presente. Questo lo dobbiamo accudire con puntualità con il SURE e il bilancio dello Stato, comprensivo dell’1/3 residuo. Ai mattoncini del futuro vanno destinati, come stanno facendo gli altri Paesi, i quattrini messi a disposizione. Senza questa accortezza saremo sempre più marginali, declinanti verso l’irrilevanza politica e lo smottamento della coesione sociale. 

Una seconda scelta è dichiarare la priorità delle priorità. La ricerca, specie quella di base, mi sembra l’opzione più lungimirante. L’abbiamo lasciata vivacchiare per troppo tempo. L’abbiamo piegata ad un tran tran che ha alimentato frantumazioni “baronali” e dipendenze economiche e politiche. L’abbiamo affidata al volontarismo di pochi nell’indifferenza di molti. Eppure, ci inorgogliscono le eccellenze – a forte presenza femminile – che lavorano in tutto il mondo, ma ci fermiamo sempre sulla soglia di un impegno convinto per farli rimanere in Italia, per farli rientrare e per sfornarne sempre di più. Però, c’è una ragione in più per sceglierla come portabandiera del nostro piano di utilizzo delle risorse europee. Le scienze dimostrano tutta la loro fragilità di fronte alle sfide epocali come la pandemia, la distruzione del pianeta, la povertà e le disuguaglianze. Le loro conquiste sono straordinarie ma insufficienti a riparare l’umanità dai rischi che sta correndo. E l’appello di centinaia di scienziati perché siano destinati 15 miliardi (il 7% dell’intera torta) alle scienze di base e applicate, sono un grido di disperazione da non lasciar cadere.

La terza opzione è di metodo. Vogliamo rendere impegno e non promessa che spenderemo presto e bene questi soldi? Se sì, non vanno dispersi nei meandri delle procedure burocratiche e dei tanti centri di spesa pubblica di cui si è dotato il Paese in questi anni. Non c’è disegno di sburocratizzazione e di smontaggio dei grumi di potere – per l’ennesima volta tentato anche da questo Governo – che di per sé possa garantire che nel giro di qualche anno si realizzerà ciò che si andrà a proporre a Bruxelles. I rischi che progetti e soldi rimarranno sepolti nei cassetti di questo o quel passaggio di competenza pubblica sono elevati. Soltanto l’istituzione di un Alto Commissariato per la validazione delle proposte che verranno avanzate dal settore pubblico come dai privati può far arrivare alla Commissione Europea richieste ben impostate e di rapida approvazione; conseguentemente, accompagnate con rigore alla loro attuazione nei tempi prefissati. L’Alto Commissariato va posto alle dirette dipendenze della Presidenza del Consiglio e del Ministro dell’Economia, va affidato a personalità di specchiato valore morale e riconosciuta competenza anche a scala internazionale, va autorizzato ad operare in deroga e dotato di strutture agili e collaudate. Ricordiamoci che senza la Cassa del mezzogiorno, il Sud d’Italia non sarebbe stato mai dotato delle infrastrutture che ancora oggi la tengono decorosamente collegata con il resto d’Italia. 

Mettendo da parte un po’ d’orgoglio nazionalistico, cerchiamo di guadagnare un po’ più di stima in Europa. Non tanto per tacitare i nostri storici detrattori che non meritano risposta, ma per contribuire significativamente a dare un’identità robusta all’Europa stessa . Non basta più dichiararci tra i fondatori e quindi insostituibili. Dobbiamo essere tra i rifondatori di una presenza nel mondo dell’Europa. Con forti campioni industriali e tecnologici, con una rivitalizzazione dell’economia di mercato condizionata da un valido welfare, con una visione di uguaglianze sociali e strutture di partecipazione plurali, utili anche ai Paesi meno benestanti e più condizionati sul piano di una vera democrazia.   

 

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