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Una diversa etica, un diffuso protagonismo sociale

Con quale approccio, con quali proposte, ci si deve accostare a quella che viene definita occasione storica – le risorse del Recovery Fund Europeo – per far ripartire il nostro Paese ed in particolare il Mezzogiorno?

L’atteggiamento non può più essere quello di sempre. Troppe occasioni perdute, troppe risorse sprecate ad iniziare dalla opinabile utilizzazione dei Fondi Strutturali.

Il sistema attuale è ormai consunto, sfinito seppure è possibile registrare delle eccezioni: perché il Mezzogiorno non è tutto uguale e non si può far di tutta l’erba un fascio.

Gran parte del Mezzogiorno è ancora oggi pervaso, soprattutto nella sfera politica e negli ambiti decisionali, da meccanismi di scambio, clientele e corruttele. Da interessi meschini, da una criminalità sistemica che rischia – in una situazione di gravissima crisi economica – di rafforzarne ancora di più il ruolo ed il potere.

Per sovvertire quello che ai più appare come un ineluttabile destino, serve allora una motivazione ed un impegno forte. Non basta pensare, a mio modesto avviso, a quali progetti prioritari proporre. Non serve solo scegliere accuratamente gli ambiti di intervento: occorre pensare ad una diversa etica politica, ad un protagonismo diffuso in grado di dare finalmente un’anima a quella parte di Mezzogiorno che non si è mai arreso, che seppure in condizioni di minoranza ha continuato a tessere relazioni, costruire coesione sociale, lavorare con le fasce di popolazione più vulnerabile: a creare sviluppo e lavoro con poche risorse e pochi mezzi.

Coesione e capitale sociale sono i presupposti dello sviluppo. Senza rinforzare i legami relazionali e le interazioni nelle diverse Comunità del meridione, non è possibile pensare ad alcun processo di cambiamento concreto e duraturo. Il modello di sviluppo di ogni territorio deve essere costruito da chi in quel territorio vive ed opera: e per farlo è necessario prima lavorare sulla ri-costruzione di quei legami fiduciari che sono a fondamento del senso collettivo del bene comune.

C’è nel Mezzogiorno una fascia di società civile, parte attiva nelle diverse comunità, che ha oramai ben chiari limiti e disfunzioni del sistema. C’è un attore che nel corso di questi ultimi anni si è sempre più organizzato sul territorio e ha formato, grazie al sostegno della Fondazione con il Sud, migliaia di operatori sociali attraverso un programma di Formazione dei quadri. C’è un settore che ha presenze di eccellenza in tutte le regioni meridionali.

La realtà a cui mi riferisco è il Terzo Settore del Mezzogiorno d’Italia.

Un comparto che ha una motivazione radicata e collaudata ad operare, nonostante un grande svantaggio di partenza, e che ha bisogno di riconoscimento e sostegno per poter dare un importante e non illusorio contributo per modificare lo scenario complessivo.

Le risorse del Recovery Fund possono servire indubbiamente allo scopo.

Una delle chiavi attraverso le quali modificare il paradigma dominante al sud è quello di investire massicciamente nell’Economia Sociale. E questa la richiesta fatta con forza dal Forum Nazionale del Terzo Settore al Presidente del Consiglio dei Ministri.

Al Sud si potrebbero creare in ogni regione, grazie ai citati fondi, i – CRES – Centri Regionali per l’Economia Sociale. Centri che dovrebbero fornire un reale supporto a quella miriade di realtà del Terzo Settore che operano al Sud in condizioni di debolezza e di precariato, in particolare nell’ambito socio-assistenziale, incrementandone significativamente il livello di qualità dei servizi rivolti ad anziani, minori, disabili etc, in modo tale da colmare in questi settori il gap tra le varie aree del paese. Ma anche e soprattutto per supportare le tantissime cooperative ed imprese sociali che stanno letteralmente inventando nei più svariati campi vere e proprie attività imprenditoriali.

Esse offrono spesso ai giovani senza lavoro una seria alternativa all’emigrazione, una motivazione a lottare per il cambiamento della propria terra di origine. Si pensi alla gran quantità di cooperative che ridando vita e senso ai beni confiscati e non solo, stanno creando nuove realtà imprenditoriali nei settori più disparati: da quello agricolo alla cosmesi, dalle attività nel campo della economia circolare alle nuove tecnologie e al turismo.

Si pensi ad esempio al Turismo responsabile o solidale, una realtà dai molteplici punti di forza: la scoperta di spazi ancora incontaminati, l’aria pulita, la bellezza dei paesaggi, l’incontro con realtà e testimonianze esemplari.

Ma per far sì che queste risorse non falliscano i loro obiettivi, occorre dar loro una mano e delle risorse. Nel Mezzogiorno esistono ormai, come già accennato, molti punti di eccellenza nel Terzo Settore, da far conoscere e valorizzare.

D’altro canto, i CRES potrebbero fornire un supporto alla sperimentazione di nuove forme di innovazione sociale e di costruzione dal basso di modelli di sviluppo comunitario, fornendo al territorio del meridione un concreto aiuto nella costruzione di un futuro diverso ed ancora possibile.

Certo i CRES andrebbero gestiti insieme e con competenza dal Terzo Settore e dalle Istituzioni, praticando, con pari dignità nel lavoro per l’interesse generale, quella pratica di co-programmazione e co-progettazione rilanciata dalle nuove leggi e da ultimo certificata dalla stessa Corte Costituzionale.

In Calabria un po’ di anni fa si tentò di varare una esperienza simile, ma fu fallimentare. 

Il motivo? La politica si appropriò dell’idea per farne un grande carrozzone clientelare, dismesso dopo pochi anni per certificato fallimento. Ecco perché la prevalenza della gestione deve essere affidata a ben selezionate competenze di persone del Terzo Settore e della Pubblica Amministrazione.

Da queste scarne riflessioni è possibile desumere che è necessario un mutamento radicale delle regole del gioco; la sfida è impegnativa ma allo stesso tempo storica ed allettante. Ci sono le condizioni perché si possa vincere? Credo di sì. 

 

* Portavoce Terzo Settore Calabria

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