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Trattenere i giovani nel sud, Italia più unita

La nostra disuguaglianza più atavica è quella tra il Nord e Sud del Paese. Lo è a tal punto che quasi non se ne parla più. E quando se ne parla è sempre per episodi di sangue o per la mala gestione della cosa pubblica, come nell’ultimo caso della sanità calabrese. Ma siccome siamo alla vigilia della definizione del programma italiano di utilizzo delle risorse provenienti dal Next Generation EU, varato dall Unione Europea, è bene capire che ruolo può giocare il Mezzogiorno. Negli ultimi 15 anni, silenziosamente, 500.000 giovani/e lo hanno abbandonato. L’equivalente di una città di oltre 30.000 abitanti sotto i 30 anni, è scomparso ogni anno. Inoltre, molti giovani che rimangono “lavoricchiano” in nero e solo il 32% delle donne tra i 15 e i 64 anni lavora (59,7% al Nord). 

E’ dall’angolo visuale di questo depauperamento umano che bisogna mettersi per avere una credibile prospettiva. Il bisogno è facilmente definibile: frenare l’esodo. La pandemia passerà, le possibilità di ripresa economica si delineeranno per l’Europa e per l’Italia, sia pure lentamente il mercato del lavoro riprenderà a chiedere competenze e disponibilità di mobilità. Non è ancora chiaro entro quando succederà, ma succederà, prima di quando gli stessi ottimisti immaginano. Ormai le politiche keynesiane sono tornate di moda. Le resistenze sovraniste sono agli sgoccioli. Nuovi prodotti, nuovi modi di lavorare e nuove esigenze – in testa quelle ambientali – si stanno affacciando, imponendosi,nel panorama mondiale.  

Se, a fronte di tutto ciò, non si fa niente, l’attrazione dei giovani meridionali verso il Nord italiano ed europeo riprenderà vigore. La desertificazione giovanile del Sud potrebbe vivere il suo grande crac. Non basta dire arrivano tanti soldi, questa volta si svolta. Dipende da ciò che i meridionali sapranno progettare, chiedere, ricevere, utilizzare, mettere a frutto. E non è scontato. 

Come nel resto d’Italia, molte sono le forze che vorrebbero che il Next Generation e i Fondi strutturali prendessero la piega di ripristinare quello che c’era prima della crisi pandemica. Per l’Italia il rischio non è così incombente. L’Europa ha già tracciato il perimetro entro il quale è possibile spendere quelle risorse. Ma per il Sud è più facile che prevalgano logiche da status quo, nel condiscendente assenso degli altri territori. E sarebbe una sciagura. 

Prolungare l’economia di sopravvivenza e l’assistenza diffusa – cioè i pilastri della pace sociale di quest’ultimo cieco ventennio – è come condannarlo ad arrancare, declinare, non contare niente. E tutte quelle esperienze che stanno fiorendo e che danno speranze nuove, sarebbero reimmerse in un mare magnum di grigiume, con troppe zone dove il confine tra legalità ed illegalità di ogni tipo sarebbe indecifrabile.

Chi deciderà il destino delle risorse che arriveranno nel Mezzogiorno ha solo una alternativa. Cambiare approccio, realizzando due piccole rivoluzioni.

Non decidere dall’alto, non ritornare alle cattedrali nel deserto (tipo ponte sullo Stretto), non snobbare le forze sane che ci sono nel territorio, in tutti i settori. Ma piuttosto dare la priorità ai beni comuni – tanta formazione fino all’università, adeguata sanità pubblica, consistenti infrastrutture immateriali (5G da subito) e materiali (ferrovie piuttosto che nuove strade, bacini per le acque piuttosto che aeroporti, centri sportivi piuttosto che centri congressi che diventano dopo poco tempo discoteche) – che diano il segno concreto che chi resta non deve poi andare a studiare, a farsi curare, a usare l’intelligenza artificiale e tecnologie pulite altrove, nel resto d Italia o all’estero.

Nello stesso tempo, superare il campanilismo. Le dinamiche sociali ed economiche sono troppoinarrestabili per immaginare di contrastarle agendo a livello esclusivamente locale. Una progettualità che coinvolga quanti vogliono agire e le istituzioni locali, centrali ed europee deve diventare il modus operandi. “Glocal” è la formula che garantisce massa critica, attenzioni reali e trascinamenti fino alle piccole dimensioni del “fare”, massimizzando le potenzialità del territorio.

In questo nuovo approccio, la manifattura, il turismo, l’agricoltura, i servizi alle persone e alle imprese e la stessa pubblica amministrazione si piazzeranno ai livelli di migliore competitività e di migliore trasparenza gestionale se si sentiranno supportati da beni comuni efficienti, diffusi, di qualità. Questi sono i veri, i necessari incentivi per tenersi stretti i giovani nel Mezzogiorno, per dare sostegno alle imprese innovative che stentano a tenere il passo, per attrarre nuovi capitali privati che, associati eventualmente a quelli pubblici, potranno stabilizzare in modo non drogato la futura occupazione giovanile e femminile.

Una onesta e non clientelare gestione delle risorse del Next Generation EU da parte dello Stato e delle altre istituzioni, può essere integrata da una strategia di politica contrattuale delle parti sociali che leghi strettamente sviluppo territoriale e condizioni di lavoro. Si può ragionevolmente agire sulle politiche degli orari di lavoro per redistribuirlo a favore di più occupazione; sulle politiche formative per alzare la qualità delle competenze sia di chi è già occupato, sia di chi sta studiando per entrare nel mercato del lavoro; sulle politiche di welfare aziendale e di servizi alla famiglia, per sostenere iniziative che accrescano l’occupazione femminile. Tutto il contrario della ricetta che vede il ripristino delle gabbie salariali.

In definitiva, non è esagerato ipotizzare che si stanno creando le condizioni per non illudere più i giovani con false promesse, ma per scatenare un protagonismo il più ampio possibile della società civile meridionale. Il sistema politico ha una responsabilità altissima: non coartare queste potenzialità, ma piuttosto aprire spazi perché possa esprimersi. Lo deve fare, marginalizzando vecchie modalità di consenso, scalzando l’intermediazione criminale in doppio petto tra società e potere pubblico, costruendo un legame e una interdipendenza culturali, economici e socialitra Nord e Sud del Paese come saldatura reale dell’unità del Paese.

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