Quanti ricordi! L’avevo conosciuto da giovane universitario, ai tempi dei convegni della sinistra Dc di Forze Nuove a Saint-Vincent. Quando entrai in Cisl nazionale nel 1991, nella redazione di Conquiste del Lavoro, era stato nominato da poco, alla morte di Donat Cattin, Ministro del lavoro. Divenne così leader di quella corrente. Da sindacalista era un mediatore (caratteristica che portò anche in politica), grande contrattualista. Sapeva togliere le spigolature, pur essendo lui uomo dal carattere forte, in ogni rapporto umano, uomo non fazioso . Ma intransigente sui punti fondamentali della identità cislina e democristiana: mai cedere alla destra. Al contrario di qualche suo “amico”, rimase fedele a questa linea.
La Cisl di Carniti e di Marini è stata una grande protagonista di stagioni difficili per l’Italia. Carniti e Marini erano uomini diversi, ma tra i due c’era stima. Sappiamo bene dove si collocava, a livello sindacale, la differenza tra i due: sull’unità sindacale.
In Carniti, forgiato dal suo percorso della FIM degli anni ’70, l’unità rientrava nell’evoluzione matura del movimento operaio di quegli anni (il ché non voleva assolutamente dire, come qualcuno ebbe a dire allora, la subalternità al PCI. Carniti non lo è mai stato, vedi, tra l’altro, il referendum sulla scala Mobile). Marini, invece, pur provenendo dalla medesima radice Cisl, sentiva l’influenza della DC.
In particolare di Carlo Donat Cattin. Il che non significa che volesse un sindacato “cinghia di trasmissione”, ma è chiaro che lo rendeva meno sensibile al richiamo dell’unità. E questo è stato un limite grosso di Marini. Limite che molti anni dopo lui stesso riconobbe: Forse sbagliavo”, ha poi ammesso onestamente a proposito dei “condizionamenti” degli anni Settanta: “Quei condizionamenti non ci sono più, la situazione dei lavoratori è diventata estremamente più difficile e fare il sindacalista adesso è più complicato di allora perché nelle aziende ritrovi dipendenti con contratto a tempo indeterminato, a tempo determinato, a partita Iva, ti muovi insomma in una vera e propria giungla di tipologie contrattuali. Lo dico con grande sincerità, oggi l’unità io la farei” (cit. da Pasquale Cascella, L’ultimo leader del cattolicesimo sociale, se ne va Franco Marini. Su www.stricciarossa.it del 9 febbraio ’21).
Dicevamo sopra della sua appartenenza alla corrente sociale della Dc, la sinistra di Forze Nuove (da lui definita come la più a sinistra della DC). Ebbene quella corrente si caratterizzava, tra l’altro, per il suo rapporto competitivo, nei rapporti politici e sociali, nei confronti del PCI. Un rapporto che non fu mai una guerra ideologica, anzi se possiamo definirlo è stato un anticomunismo democratico (o repubblicano).
Forse anche per questa profonda lealtà democratica che Marini seppe godere della stima dei dirigenti della sinistra comunista.
Marini è stato un esponente del cattolicesimo sociale, l’antica radice che tra le sue origini dalla Rerum Novarum. Un altro suo merito è stato quello di portare questa radice nel PD.
“E’ un uomo del secolo scorso”, così lo definì, nella sua furia iconoclasta Matteo Renzi (per affondare la sua candidatura al Quirinale). Si è vero questo, ma non per le “ragioni” di Matteo Renzi. Era un uomo del secolo scorso perché aveva ben piantati i piedi sui valori della cultura del lavoro. E questo fa la differenza.
Oggi il sindacato è molto più povero di leadership e di idee. Così come la politica. Non è un caso che dove c’è un sindacato debole c’è anche una politica debole e viceversa dove c’è un sindacato forte c’è anche una politica forte. Franco Marini va ricordato per questa dialettica che alimentava l’azione della sua politica. Altri potranno ricordare anche i limiti della sua azione. E io stesso non ero un “mariniano”, ero un “carnitiano”. Ma ora ricordiamo un grande protagonista della storia del nostro Paese.
Ciao FRANCO!