“Il Signore disse: non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda”(Gen 2,18-25; Sl 127; Mc 7,24-30). La solitudine non è cosa buona, l’uomo è fatto per la socievolezza. Franco, primo dei sette figli di Loreto, questa esperienza l’aveva appresa sin da quando la sua famiglia da San Pio delle Camere si era trasferita a Rieti, per motivi di lavoro.
L’apertura all’altro diverso da sé, però l’ha imparata dal suo incontro con Luisa, la donna inseparabile della sua vita, la madre di suo figlio Davide. E’ in questa relazione affettiva tra un giovane di umili origini e una ragazza di buona famiglia che apprese l’arte del confronto, del dialogo, del “guardare al minimo comun denominatore piuttosto che al massimo comun divisore”. Di qui si ricava una importante lezione: non è solo il pubblico che determina il privato, ma anche il privato influisce e determina il pubblico.
Abbiamo troppo ideologizzato questa distinzione, fino al punto di creare una inseparabile separazione tra due dimensioni che sono distinte, ma non distanti. Quel che siamo in pubblico è anche l’effetto di quello che siamo in privato perché c’è una correlazione fin troppo evidente tra quello che anima il nostro vissuto quotidiano e quello che ispira la nostra attività pubblica. Ciò spiega quel carattere di franchezza, di immediatezza, di concretezza che ha fatto del senatore Marini una figura politica sui generis. Arrivando a sfiorare il primo scranno della Repubblica, senza però mai perdere il contatto con l’ultimo strato della società.
“Signore, anche i cagnolini sotto la tavola mangiano le briciole dei figli”. Le parole dell’intraprendente donna greca di origine siro-fenicia che sembra negoziare con Gesù la guarigione della figlioletta, ci catapulta in un’atmosfera lontana da noi, ma assolutamente contigua alla sensibilità di Franco. Egli è stato – e si è sentito – fondamentalmente un sindacalista, cioè il rappresentante di quei lavoratori, spesso vittime predestinate di un sistema economico che affama e poi addirittura colpevolizza. Come per la donna del Vangelo, però anche per Franco, siamo tutti figli e il pane è per tutti, fossero pure le briciole. Tale certezza a Franco nasceva da dentro. Non solo dalla sua esperienza di casa, ma anche dalla sua fede cristiana.
E’ da lì che ha maturato quel popolarismo politico che l’ha reso protagonista in una delicata fase di passaggio tra la Prima e la Seconda Repubblica e che è esattamente il contrario di quel populismo che – nella cosiddetta Terza Repubblica – vorrebbe rieditare anacronistiche battaglie identitarie. Franco ci ha lasciati nella tormentata stagione del Covid. L’augurio è che la sua testimonianza di uomo e di credente possa orientare i difficili passi che attendono la nostra comune responsabilità verso i nostri “figlioletti”, vale a dire, la prossima generazione europea.
*Vescovo di Rieti, Omelia in occasione del funerale svolto nella chiesa di S. Bellarmino, in Roma l’11 febbraio 2021