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Il colpo di Stato in Birmania ci riguarda

Vorremmo innanzi tutto ringraziare il Presidente della Commissione Affari Esteri della Camera, On. Piero Fassino e gli altri componenti della Commissione per averci voluto incontrare questa mattina.

La situazione in Birmania/Myanmar sta peggiorando di giorno in giorno. La popolazione è compatta nel non voler accettare i militari. Già troppi i morti e le persone arrestate quotidianamente. Il mondo osserva ma non si muove con la necessaria rapidità e unitarietà necessaria a fermare il colpo Stato. Ad oggi quindi non si intravede una via di uscita che, necessariamente non potrà essere quella proposta dai militari. Ovvero la ripetizione delle elezioni. 

Il popolo birmano ha giustamente rifiutato questa ipotesi. I giovani che negli ultimi dieci anni hanno vissuto in un paese che aveva intrapreso un difficile percorso verso la democrazia, speravano di vivere in un tempo migliore di quello in cui sono vissuti i loro genitori. Questo golpe sta rubando il loro futuro e il futuro di coloro che sono usciti meno di dieci anni fa da 50 anni di durissima dittatura militare.

L’opposizione al colpo di stato, ha prodotto una straordinaria unità e ha coinvolto la stragrande maggioranza della popolazione del paese. La popolazione birmana, sia che alle ultime elezioni abbia votato per l’NLD o per altri partiti, non vuole ritornare a vivere sotto il dominio militare. Lavoratrici e lavoratori immigrati dalle aree etniche, giovani della generazione Z, insegnanti, medici, funzionari ministeriali scendono in piazza quotidianamente. Gli scioperi coinvolgono i dipendenti dei ministeri, dei servizi pubblici, ospedali delle fabbriche, delle ferrovie, dei porti. I negozianti, i venditori per le strade si rifiutano di vendere cibo ai militari e alla polizia. Banche, porti, trasporti, fornitura di carburante: tutto è ormai paralizzato. 

Purtroppo i gravissimi attacchi nei confronti dei manifestanti hanno causato numerosi morti e feriti. Ad oggi l’Associazione dei Prigionieri Politici denuncia l’arresto di oltre 1.132 persone. I militari stanno interrogando i manager delle fabbriche e rastrellando i dormitori dove vivono le migliaia di giovani lavoratrici immigrate. L’obiettivo è arrestare i sindacalisti. Il Presidente della Confederazione dei sindacati birmani CTUM parlerà più specificamente di questi aspetti e delle richieste sindacali nel collegamento che è previsto in questa audizione e trasmessa da una località ignota per ragioni di sicurezza.

Questo golpe nasce da una pluralità di motivi che è utile analizzare, soprattutto se davvero si vuole cercare una soluzione a questa drammatica crisi. Questo paese aveva un governo semi civile, visto che il 25 % del parlamento non era eletto, ma nominato dai militari, che controllavano e gestivano fino alla fine di gennaio tre ministeri chiave: Difesa, Affari di Confine e Interni. Dopo il golpe i militari hanno azzerato non solo il Parlamento e il governo nazionale, ma hanno rimosso anche il governatore della Banca centrale, i governi delle regioni e degli Stati e anche tutti gli alti funzionari della pubblica amministrazione. Hanno sostituito direttori di ministeri, amministratori regionali e degli Stati etnici, fino agli amministratori delle township e dei villaggi.

L’esercito costituisce uno stato nello stato. I militari hanno i loro ospedali, le loro università e una serie di altri servizi e strutture parallele, che li isolano dal resto della popolazione e li fanno sentire superiori e detentori del controllo e della stabilità del paese. I militari ritenevano che un colpo di stato ora, in piena emergenza COVID19, potesse avere minori ripercussioni interne ed internazionali. Anche le campagne denigratorie nei confronti della Consigliera di Stato Aung San Suu Kyi, a seguito delle violenze dei militari nei confronti della popolazione Rohingya è stata oggettivamente utilizzata dall’esercito nella convinzione che la leader democraticamente eletta fosse isolata nella comunità internazionale.

Su questo punto in particolare è bene pensare che la vicenda birmana è molto complessa e troppo spesso è stata analizzata in modo superficiale e parziale, non solo dai media ma, per certi versi anche da alcune istituzioni internazionali. Il governo dell’NLD è entrato in carica il 1° aprile 2016. Il 1° settembre 2016, ben prima delle violenze ultime nei confronti dei Rohingya, il governo dell’NLD istituì, contro il volere dei militari, la Commissione Consultiva sul Rakhine, presieduta da Kofi Annan, le cui importantissime raccomandazioni venivano presentate poche ore prima degli attacchi dell’ARSA, il gruppo armato mussulmano, alle postazioni militari di confine nel Rakhine.

Successivamente, il 30 luglio 2018, a seguito delle violenze perpetrate dai militari e da gruppi ad essi collegati contro le popolazioni Rohingya, il governo dell’NLD istituì una ulteriore Commissione indipendente di indagine (ICOE) con il compito di investigare sulle violazioni dei diritti umani perpetrate nel Rakhine. Nonostante i pesanti limiti posti dall’esercito, la leader birmana non è stata, né in silenzio, né connivente con i militari e i loro crimini. È proprio di pochi giorni fa, la notizia che i membri di entrambe le commissioni sono stati inquisiti per aver agito “nell’interesse di una persona, senza prendere in considerazione gli interessi dello Stato”.

I principali motivi di questo colpo di Stato si possono sintetizzare in questo modo:

1) La pesante sconfitta alle elezioni dell’USDP (il partito legato ai militari), ha annullato la capacità dei militari di influenzare l’approvazione delle leggi ordinarie. Un governo forte come quello che sarebbe nato da un consenso dell’82% dei voti elettorali, avrebbe confinato i militari ad un ruolo marginale di mera conservazione della costituzione da loro imposta al paese nel 2008.

2) Il comandante in capo delle forze armate, che avrebbe dovuto andare in pensione a luglio prossimo, a seguito di queste elezioni, pretendeva di diventare presidente del Myanmar, pretesa rigettata dalla Consigliera di Stato Aung San Suu Kyi il 29 gennaio scorso. E’ noto inoltre che, sia il comandante in capo delle forze armate, siaaltri alti ufficiali sono oggetto di sanzioni da parte degli USA della UE e che sono sotto di indagine presso la Corte Penale Internazionale, la Corte internazionale di Giustizia e la UN International Fact Finding Mission per crimini di guerra e contro l’umanità, commessi nel Rakhine e negli altri Stati etnici.

3) La netta affermazione elettorale dell’NLD avrebbe di fatto impedito ai militari di bloccare leggi fondamentali come quelle sulla lotta alla corruzione, sulla governance trasparente delle imprese, sulla lotta alla produzione e traffico di stupefacenti e alla economia parallela, che si alimenta di corruzione, traffici illegali e confisca delle terre, immettendo enormi risorse nelle tasche dei militari.

Il potere nelle mani dell’esercito

L’esercito birmano controlla direttamente politiche di difesa e sicurezza. Politiche, che stanno alimentando i conflitti armati negli stati etnici, ma ha anche il controllo di pezzi fondamentali dell’economia. (allegato lista imprese). Il Comandante in capo delle Forze armate ed il suo vice, tutt’oggi presiedono la Myanmar Economic Holding ltd (MEHL), e la Myanmar Economic Corporation, sotto il diretto controllo del ministero della difesa e i cui utili non sono registrati nel bilancio del ministero. I bilanci di entrambe le holding non sono pubblici. Ciascuna holding detiene poi un gruppo di banche e di imprese che beneficiano delle relazioni tra il MEHL, il MEC e le imprese di stato e giocano un ruolo fondamentale nella economia del paese. Come sottolineato dalla UN Independent Fact Finding Mission (IFFM): “gran parte delle entrate generate dalle attività militari in Myanmar non viene contabilizzato nel bilancio dello Stato, ma viene utilizzato per sovvenzionare operazioni militari, molte delle quali caratterizzate da gravi violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario.”

Nel corso dei passati decenni di dittatura e anche successivamente, i militari hanno accumulato enormi risorse in conti esteri. Secondo quanto dichiarato dal FMI, ad oggi le riserve in valuta straniera, ammontano a 6.7 miliardi di US$ (settembre 2020), di cui 1 miliardo di US$ negli USA, che il governo americano ha provveduto immediatamente a congelare. Gli altri fondi dovrebbero subire la stessa sorte, sempre che i governi interessati lo decidano. La giunta militare può accedere al sistema finanziario internazionale, attraverso le banche statali (che detengono il 30% degli asset del sistema bancario birmano); quelle controllate dai militari o le banche controllate da soggetti legati ai militari.3 E’ pertanto fondamentale bloccare le transazioni finanziarie da queste banche, sia in dollari che Euro.

Nel 2019 il valore degli investimenti diretti esteri approvati dal governo nel settore energetico per quell’anno era di 43,6 miliardi di dollari, rappresentando poco più della metà degli IDE totali.  Circa il 30 % delle entrate estere dello stato provengono dal settore dell’Oil e del Gas. Enormi sono i profitti provenienti dallo sfruttamento di tali riserve nel paese. I profitti derivanti dal settore non vengono contabilizzati nel bilancio dello stato, ma vengono versati al MOGE, impresa statale la cui governance è estremamente opaca e, che dopo il golpe militare, come tutte le altre imprese è passata sotto il diretto controllo militare. Il grande peso economico dei militari serve non solo ad arricchire loro stessi, le loro famiglie e le loro amicizie, ma serve anche all’acquisto di armi, in primis da Cina, Russia, Ucraina, Israele. Le principali imprese di questo settore comprendono Total Fina, Chevron, Posco, Petronas. L’Eni ha una presenza limitata e recente.

Le risposte possibili al colpo di Stato

Importante è stata la recente riunione informale dell’Assemblea Generale ONU tenutasi il 26 febbraio scorso. Gli interventi dei governi mostrano le profonde divergenze rispetto alle misure che la comunità internazionale dovrebbeadottare a seguito del colpo di Stato. Di grande importanza l’intervento della inviata speciale del Segretario Generale Christine Shraner Burgener ed il suo appello ad “agire rapidamente e collettivamente” e l’appello ai governi “non possiamo più permetterci divisioni profonde”.

Straordinario e coraggioso è stato l’intervento dell’Ambasciatore della Birmania/Myanmar all’ONU Kyaw Moe Tun, che ha parlato in rappresentanza del governo legittimo della Birmania/Myanmar. Un appello per un sostegno forte e continuo da parte della comunità internazionale, ma anche una azione il più possibile robusta, perché si ponga fine immediatamente al colpo di Stato, all’oppressione del popolo innocente, per il ritorno del potere dello Stato al popolo eil ripristino della democrazia. Le sue richieste sono state molto chiare:

1) dichiarazioni pubbliche che condannino con forza il colpo di stato militare;

2) non riconoscimento in alcun modo dello State Administration Council e del regime militare;

3) richiesta urgente al regime di rispettare i risultati delle elezioni generali:

4) non cooperazione con i militari sino al ritorno del potere statuali nelle mani del popolo attraverso il governo eletto;

5) adozione delle misure più forti possibile per fermare i violenti e brutali attacchi commessi dalle forze di sicurezza contro i dimostranti pacifici e porre fine immediatamente al colpo di stato militare;

6) sostegno al CRPH (il Comitato che rappresenta il Parlamento eletto).

Le nostre richieste

In questi giorni continuano ad arrivare notizie di ulteriori morti e di centinaia di arresti (ad oggi oltre 1500 persone in carcere) da parte delle forze armate e di polizia aiutate anche da oltre 23.000 provocatori assassini liberati dalle carceri birmane con l’obiettivo di attaccare i manifestanti per creare il caos, 

ITALIA-BIRMANIA.INSIEME ritiene che l’Unione Europea debba decidere con urgenza l’adozione di sanzioni finanziarie ed economiche mirate nei confrontidella giunta militare.

ITALIA-BIRMANIA.INSIEME apprezza enormemente l’impegno sin qui profuso dal nostro governo in tutte le sedi a partire dal G7, alla UE e all’ONU per l’approvazione di posizioni chiare ed incisive, a fronte delle diverse sensibilità espresse anche in seno alla UE. 

Proprio per questa chiarezza di impegni, ITALIA-BIRMANIA.INSIEME ritiene che, dopo queste quattro settimane di sangue e repressione, sarà fondamentale che il nostro governo lavori per il superamento della posizione espressa dall’Ambasciatore UE all’ONU Olof Skoog che aveva affermato che “la UE sta preparando sanzioni mirate contro i responsabili del golpe, se gli sforzi per una soluzione di dialogo falliscono”.

ITALIA-BIRMANIA.INSIEME ritiene urgente che la UE e, anche attraverso alcuni suoi governi, con rapporti politici ed economici privilegiati con Cina e India, si possa avviare con urgenza un dialogo con i governi di questi paesi, in considerazione dei grandi interessi geopolitici ed economici che hanno in Birmania, per individuare le possibili azioni necessarie a riportare il paese alla seppur parziale democrazia, riconfermando il parlamento eletto, liberando tutti gli arrestati, a partire dal Presidente della Repubblica e dalla Consigliera di Stato.

La Cina è il principale partner commerciale della Birmania, ha enormi interessi economici nel paese a partire dal China Myanmar Economic Corridor, con i grandi investimenti infrastrutturali ed industriali come la grande zona Economica industriale e il porto profondo nel Rakhine, e geopolitici, anche in contrapposizione con l’India.

ITALIA-BIRMANIA.INSIEME ritiene anche che la UE debba agire con urgenza adottando sanzioni finanziarie ed economiche mirate, senza attendere soluzioni negoziali derivanti dall’impegno di cui sopra o dei paesi ASEAN. Questi ultimi, sino ad oggi, hanno espresso posizioni timide, divaricanti e comunque basate sul rispetto della non ingerenza negli affari interni.

Il golpe rischia di indebolire ulteriormente l’immagine dell’ASEAN, ma anche di indebolire la sicurezza regionale. Già recentemente la fuga dei Rohingya dalle violenze, uccisioni e incendi di villaggi da parte dei militari birmani e l’assenza di una risposta efficace dei paesi ASEAN aveva attirato le critiche internazionali su una associazione, l’ASEAN, incapace di una leadership univoca. L’assenza di ruolo dell’ASEAN nella individuazione di una soluzione realistica al colpo di stato militare birmano, rischia di causare inoltre un peggioramento della condizione dei Rohingya e delle altre minoranze etniche, che per altro si sono rifiutate di continuare i negoziati di pace con la giunta militare, e di causare nuovamente un aumento del numero dei rifugiati nei paesi limitrofi.

L’Asean, in questa situazione, mostra ancora una volta l’incapacità di attuare i principi contenuti nella Carta dei diritti umani, la cosiddetta Dichiarazione di Bangkok, che all’art. 1 elenca tra i suoi principi il rafforzamento della democrazia, la valorizzazione della buona governance, dello stato di diritto e la tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Il Brunei Darussalam, che ha la presidenza di turno dell’ASEAN, con lo slogan “We Care, We Prepare, We Prosper” non ha infatti condannato il colpo di stato e la violazione della Carta dei diritti umani, né l’arresto dei leader politici, ma ha parlato solo di riconciliazione e ritorno alla normalità. In ogni caso il principio che le decisioni devono basarsi sul consenso e sulla non interferenza negli affari interni di un altro paese, renderà quasi impossibile qualsiasi decisione significativa per la soluzione di questa grave crisi, mostrando ancora una volta purtroppo, come i principi democratici non siano alla base degli interessi di questi paesi tanto quanto gli interessi economici.

In questo frangente, mentre si dovrà cercare uno spazio negoziale con la giunta, pur conoscendo i limiti delle sanzioni, queste rappresentano una dichiarazione di forte opposizione al colpo di Stato e di solidarietà robusta con le popolazioni che lottano a mani nude contro le violenze militari. Chiediamo pertanto che il Parlamento e governo italiano si impegnino perché l’Unione Europea e le istituzioni internazionali raccolgano l’appello del popolo birmano, perché:

– Non si riconoscano i rappresentanti della giunta militare all’ONU e in tutti gli altri organismi internazionali.

– Si approvi a livello internazionale un embargo generale all’importazione di armi in Myanmar.

– Si ritirino le credenziali degli addetti militari presenti nelle Ambasciate del Myanmar.

– Si adottino sanzioni economiche rivolte a tutti gli interessi finanziari ed economici dei componenti del SAC State Administrative Council, al fine di ridurne il potere economico, chiedendo alle aziende presenti in Myanmar,

– Si sospenda qualsiasi rapporto con le società legate al regime militare.

– Si localizzino e congelino i miliardi di dollari di riserve estere del Myanmar, che secondo il FMI a settembre 202° ammontavano a 6,7 miliardi di US$. Una decisione simile eviterà che tali fondi vengano sottratti dai militari;

– Si sospendano tutte le attività con banche controllate dello stato, con quelle militari e con le banche di soggetti alleati dei militari in Myanmar, evitando che possano utilizzare il codice Swift utilizzato da tutte le banche per le transazioni;

-Si chieda alle organizzazioni internazionali del settore petrolifero e del gas che aziende associate congelino le loro attività in Myanmar fino al ripristino della democrazia. Durante la precedente dittatura, tutte le sanzioni adottate dai vari paesi, inclusa la UE, escludevano proprio le aziende di questo importante settore. Solo una decisione internazionale, coordinata e concordata da parte delle organizzazioni che rappresentano le compagnie petrolifere e del gas potrà portare ad una azione congiunta che congeli le attività in Birmani/Myanmar e che in ogni caso tuteli i diritti dei lavoratori di queste imprese.

Da ultimo, ITALIA-BIRMANIA.INSIEME ritiene che il ritorno alla situazione precedente al golpe militare sarà quasi impossibile. Molte delle leggi approvate dal governo semi civile dell’NLD sono state cancellate e sostituite da leggi repressive della vecchia dittatura. Tutti gli amministratori ai vari livelli sono stati sostituiti da altri fedeli ai militari. Il ritorno alla normalità, quando ci si arriverà, dovrà essere costruito, necessariamente, attraverso la partecipazione di tutte le componenti sociali, economiche ed etniche del paese. Certo è che sarà quasi impossibile tornare ad una convivenza con i militari, lasciando nelle loro mani grandi fette di potere politico ed economico.

Si dovrà immaginare una profonda riforma della Costituzione, per la realizzazione di una Unione democratica e federale, che superi l’attuale controllo militare del Parlamento, delle istituzioni dello Stato e di pezzi del potere economico. Il popolo birmano non potrà più tollerare, che quanto è successo il 1° febbraio 2021 possa ripetersi ancora una volta.

*Intervento all’audizione alla Commissione Affari Esteri della Camera,01/03/2021

 

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