La pandemia mette anche le nuove generazioni di fronte ad una esperienza difficile e incerta nei suoi esiti. Avvertiamo la delicatezza del momento e sentiamo la necessità di dare ai giovani nuove opportunità per il loro, ma anche il nostro, futuro. Vale sia per quelli che oggi stanno studiando – magari in DAD – per quelli che, invece, cercano lavoro in una contingenza non favorevole ma, soprattutto, vale per quei 2 milioni di NEET che non studiano, non lavorano e nemmeno cercano.
Guardando avanti non possiamo non essere preoccupati anche dal fatto che abbiamo il più basso tasso di natalità in Europa. Che sia, dunque, giunto il momento di occuparsi a tutto del nostro futuro – a cominciare dalle famiglie e dai giovani – non dovrebbe essere una novità sconvolgente per nessuno, men che meno, per chi esercita una responsabilità politica.
Anzi, prendersi cura dei giovani dovrebbe essere, specie per il nostro Paese, la priorità delle priorità. Lo sappiamo ma non andiamo oltre le affermazioni di principio. Servirebbe, invece, tradurre le buone intenzioni in un progetto capace di aggregare e legare insieme tutti quelle tessere del mosaico che consentano di costruire un grande piano per il futuro dei giovani.
Per farlo basta non avere paura di aprire la scuola al mondo. Tutto qui: aprirsi e interconnettersi col mondo. Bisogna cominciare a ripensare la didattica, le scuole, la formazione professionalizzante, gli ITS, bisogna potenziare le università lavorando per costruire un sistema aperto e integrato. Serve interconnettere la filiera educativa con la società, le imprese, il lavoro, le famiglie, le associazioni di volontariato, le istituzioni che operano in questo ambito. Il momento, per quanto possa sembrare un paradosso, è davvero propizio per ragionare su questa transizione. Costruire per i giovani una cittadinanza matura e pro-attiva che, proprio grazie all’educazione e all’istruzione, renda possibile partecipare al processo di crescita e di sviluppo della comunità. Conoscenze e competenze adeguate ai tempi ma, anche la formazione di coscienze e responsabilità.
È del tutto evidente, infatti, la necessità di ripensare la didattica e l’apprendimento. Serve, però, dare anche una “seconda gamba professionalizzante” al nostro sistema formativo. È un’operazione importante che servirà a consolidare la spina dorsale manifatturiera del nostro sistema economico. Avremo, infatti, bisogno di individuare, accompagnare e sviluppare i talenti dei giovani verso le nuove tecnologie e le materie STEM. Ci può aiutare sapere che l’industria ogni anno chiede almeno 20mila diplomati ITS alle nostre imprese ma ve ne trova poco più di 4mila. Sappiamo che da qui al 2024 serviranno almeno 900mila tra tecnici e ingegneri, molti dei quali, già oggi, è difficile, se non impossibile, reperire.
Sappiamo però che, oltre le competenze, i nostri giovani dovranno acquisire l’attitudine a “imparare ad imparare”. Ogni giorno, a qualsiasi età, in qualsiasi situazione, con qualsiasi tecnologia. Sappiamo, quindi, di doverci preparare una generazione di giovani capaci di adattarsi al contesto tecnologico e trasformarsi con esso. Solo così si potrà essere protagonisti del cambiamento senza subirne i costi.
Ci può aiutare sapere che questa attitudine si può apprendere anche nelle imprese. Per averne conferma basterebbe sfogliare l’ultima ricerca del MIT, “Leading the future of work”, dove in sintesi si dice che, se il futuro sarà macchine, intelligenza artificiale e connessioni, il modo migliore per affrontarlo è formarsi laddove queste tecnologie vengono ogni giorno progettate, rielaborate e aggiornate. Per l’appunto in quelle imprese che devono essere all’avanguardia della tecnica per competere in un contesto globale sempre più sfidante. È, pertanto, necessario offrire ai giovani percorsi di formazione – a tutti i livelli – che permettano loro di conoscere e maneggiare le tecnologie: percorsi di integrazione tra studio e lavoro in impresa o, comunque, connessi ai sistemi produttivi. È su questo che si gioca la sfida del PNRR.
Le risorse europee dovranno, intanto, rafforzare i percorsi di orientamento, specie nelle scuole medie che sono decisive per le scelte future. Qui serve costruire aule ipertecnologiche dedicate, come gli STEAM Space, che Confindustria sta progettando proprio per mettere insieme le STEM, le competenze tecnico-scientifiche con quelle umanistiche, rappresentate dalla A di Arte, in un unico spazio, fisico e digitale. Servirà poi irrobustire i percorsi di alternanza scuola-lavoro nei licei ed in modo particolare negli istituti tecnici e professionali, nonché quelli di apprendistato duale, ancora troppo difficili da attivare nelle scuole.
Bisognerà puntare in modo deciso sugli ITS: l’Italia ha bisogno di una “seconda gamba” professionalizzante del sistema educativo post-diploma, alternativa all’università, quel sistema Higher-VET che hanno tutti i paesi industrializzati. Il PNRR è la grande occasione per realizzarla partendo dalle caratteristiche peculiari degli ITS che sono proprio l’utilizzo massiccio di tecnologie abilitanti nel percorso di formazione e la presenza delle imprese sia nella governance che nella didattica.
Orientamento, alternanza-apprendistato, ITS. Poche, precise priorità per garantire ai giovani una formazione in impresa, una formazione sul lavoro che dà lavoro. È l’unico antidoto alla pandemia ed alla crisi economica, nel nome di quel diritto-dovere che a tutti i giovani deve essere riconosciuto: quello di imparare lavorando.
*Direttore Area lavoro, Welfare e Capitale umano Confindustria