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Qualità, qualificare, riqualificare decideranno il futuro

Qualità, qualificare, riqualificare: un sostantivo e due verbi, dove il primo indica l’obiettivo su cui costruire i paradigmi dello sviluppo equo, sostenibile e solidale, e i secondi indicano il percorso e le azioni da compiere per realizzare l’obiettivo.

Sono vocaboli semplici come il pensiero che sottendono (un mio amico ha detto “più che semplice, terra terra”), come le azioni che si dovrebbero attuare per avviare modelli di sviluppo costruiti su paradigmi e parametri nuovi e diversi, correggendo e superando le difficoltà sociali ed economiche che questo periodo di pandemia ha contribuito a declarare.

Se nella società sembra chiara l’insostenibilità dei modelli che governano la formazione e la distribuzione delle risorse e della ricchezza, che producono merci e consumi e ne organizzano i comportamenti sociali, in realtà è chiara solo epidermicamente, dal momento che non sono registrabili cambiamenti strutturali. La stessa economia verde, da tutti enfatizzata, rimane confinata nel rinnovamento tecnologico e delle fonti di produzione ma quasi mai viene indicato il suo ruolo in una nuova formazione e distribuzione della ricchezza.

Pur se sono ben presenti gli afflati sociali e individuali verso il ritorno al bel mondo antico (basta pensare alla gestione culturale, prima che economica, dei ristori), fanno ben sperare i primi elementi che si muovono nel cambiamento: alcuni in modo giusto (gli investimenti per le fusioni atomiche a freddo di Frascati, il bonus per la riqualificazione energetica e sismica degli edifici), altri in modo parziale come l’accelerazione di tecnologie per la trazione elettrica (parziale perché pur rendendo sostenibile la mobilità, per ora viene usata per sorreggere il mercato dell’auto familiare mantenendo l’insostenibilità quantitativa, territoriale e sociale,  del mezzo privato).

Ma andiamo avanti con ordine seguendo la strada della semplicità e del ragionamento terra terra, per il quale (e con il quale) quando scegliamo il luogo per una vacanza lo cerchiamo ameno e confortevole, visto che le città (e soprattutto le immense periferie) in cui viviamo non sono nella maggioranza dei casi né amene né confortevoli.

A titolo semplificativo ed esemplificativo partiamo da un dato: in Italia (da Internet) abbiamo (valori assoluti) 12.187.694 edifici residenziali con valori medi di 4,83 residenti per edificio. Vogliamo azzardare la percentuale di edifici che hanno bisogno di misure idonee per il risparmio energetico, per contrastare gli inquinamenti, per rendere produttivo lo smaltimento e la riutilizzazione dei rifiuti? Anche solo su questi macro dati si possono produrre valanghe di programmi locali e generali, ed è anche su questi macrodati e percentuali che vanno proposti piani del lavoro e degli investimenti che abbiano come obiettivo quello della qualità ambientale, territoriale, urbana.

La sola riqualificazione urbana, quanti risparmi sociali e individuali produrrebbe per la salute? quale miglioramento della qualità di vita quotidiana? quante attività di progettazione, ricerca e cultura nella ridefinizione del modello urbano?

I campi di riqualificazione dell’esistente sono molteplici e vanno dalla mobilità (reti rispettose dei valori ecosistemici del territorio, capaci di contenere l’uso dell’automobile privata) alla riorganizzazione del sistema residenziale e del lavoro seguendo la via ormai tracciata del rapporto presenza-remoto, alla riorganizzazione del sistema agricolo contenendone gli inquinamenti, i consumi energetici e di acqua, e soprattutto migliorando la qualità dei prodotti alimentari. Non sono piccole cifre se solo pensiamo al contributo produttivo che hanno dato le citycar, nate solo per superare un problema che lega i volumi delle automobili alle dimensioni e capacità della nostra rete stradale.

Non parliamo poi dei territori periferici e di quelli specifici delle aree interne. Lì, spesso, bisogna ricostruire i sistemi boschivi con specie autoctone che non cadano ad ogni spirar di vento, va ripensato il modello residenziale non più ad uso esclusivo dei residenti stabili e temporanei per vacanza ma anche per lavoro. L’uso a fini residenziali delle aree metropolitane è fenomeno conosciuto che si è sviluppato nonostante il doppio pendolarismo obbligato: pensiamo all’impulso che avrà in presenza della mobilità informatica e non umana.

È così difficile organizzare noi stessi e la società per rendere confortevoli e più economiche le nostre città e in queste le nostre abitazioni e i nostri luoghi di lavoro?

Tutti sanno che per far questo abbiamo bisogno di un piano energetico, di un sistema idoneo e produttivo di smaltimento dei rifiuti, di modificare le forme e i valori dei circuiti interni alle città (un esempio per tutti, le città dei 15 minuti), di contenere le dispersioni e gli inquinamenti sia acustici che generali, …

Si dirà: bene, ma come? con quali parchi-progetto? (con quali risorse non più, perché ne abbiamo a sufficienza purché rimangano destinate a investimenti produttivi capaci di creare lavoro e ricchezza e non si disperdano nei mille rivoli delle spese che creano debito). Nella mia lunga permanenza nelle facoltà di Architettura ho visto tanti progetti e tesi (laurea e dottorato) su questi temi, che un decimo basterebbe. La cosa più importante non è la disponibilità di un potenziale archivio, ma il fatto che negli ultimi decenni gli ex studenti, oggi professionisti, si sono formati su questi temi e se non riescono ad esprimere la loro cultura e le loro competenze è solo perché siamo in balìa di un mercato miope, capace di vedere e proporre solo il dejà vu, perché le disponibilità imprenditoriali e amministrative sono inadeguate, perché mercato nero e corruzione sono ancora protagonisti o forti comprimari, perché operiamo con leggi e controllori di processi inadeguati.

Investimenti e non spese

Quello che serve quindi è un piano d’investimenti e di lavoro che si muova secondo il dettato: ”I soldi vanno investiti, non spesi”; vanno investiti in attività imprenditoriali e attuative, in cultura, in formazione, in programmi imprenditoriali e attuativi che abbiano però come presupposto quello di essere realizzati in modo semplice e veloce. 

Qualità, riqualificazione, qualificazione si riferiscono anche al mercato del lavoro e sono molti quelli che continuano a chiedersi perché i periodi di cassa integrazione non debbano diventare anche periodi di formazione o di perfezionamento per nuovi lavori.

Qualità, riqualificazione, qualificazione devono diventare anche il dettato della Pubblica Amministrazione. Dovrebbe essere doveroso prevedere un periodo di formazione (dai tre ai sei mesi) per i sindaci neo eletti, o con poca/nulla esperienza specifica e/o curriculare, vista la complessità e le specificità per la realizzazione di programmi europei e in generale per la gestione della Cosa Pubblica (abbiamo come potenziali organizzatori di questi corsi i tre ministeri dell’Istruzione, dell’Innovazione tecnologica e Transizione digitale, della Pubblica Amministrazione). Oltre a ciò è il concetto di burocrazia che va cambiato: deve abbandonare il suo ruolo censorio e valutativo per diventare un organo di servizio, collaborativo e promozionale; “gli uffici” devono diventare sia un luogo di accoglienza sia la longa manus delle amministrazioni locali capaci di cogliere, promuovere, organizzare le innumerevoli occasioni che i territori hanno. Mentre scrivo, penso alla Scuola di Barbiana; gli uffici non possono essere come la scuola che respinge o che accetta cose inaccettabili.

Piano di investimenti e piano del lavoro

Le crisi fanno tanta più paura quanto più sono incerte le vie di uscita sia nei tempi sia nei modi; nessuno ha paura del domani se vive un oggi in cui prepara un domani tranquillo, proficuo e produttivo. Anche tutti i sommovimenti di piazza (a prescindere da chi vuol pescare nel torbido) sono l’espressione di chi sa che il passato non tornerà più uguale, pur capendo di non avere capacità sociali e individuali per organizzare individualmente e collettivamente un programma futuro. E inoltre gli Enti Locali, nelle loro articolazioni territoriali e con l’aiuto di scuole professionali, università e corsi di specializzazione possono organizzare incontri, confronti, azioni capaci di ridisegnare gli insediamenti, le generalità, le specificità, i mercati di acquisto, l’ipotesi di mercato, le giunzioni economiche, le integrazioni ecc. Se i ristori uscissero dalla voce “spesa” per entrare in quella degli “investimenti”, se divenissero anche loro il presupposto di corsi di formazione e di costruzione di programmi, sicuramente avrebbero più risorse a disposizione, più consenso e più successo. Non sto parlando di economia pianificata, sto esaltando il valore del confronto e della cultura che sola è in grado di portare il passato nel futuro dando speranza e ottimismo nel presente e soprattutto dando valore alle risorse che si ricevono.

Tutti conosciamo la differenza tra spesa e investimento, la spesa crea debito, l’investimento crea ricchezza; non abbiamo paura di investire, tutta la ricchezza del mondo si è fondata e formata sui crediti, sui prestiti concessi a fronte di progetti credibili e documentati. È quando siamo arrivati ai crediti concessi per gestioni clientelari che il sistema ha cominciato a scricchiolare. Un’economia sana sa che è con i crediti che si formano gli investimenti e si costruiscono le ricchezze; quindi aspettiamo a spendere e concentriamo tutte le risorse su investimenti idonei a qualificare e riqualificare città, luoghi di lavoro, agricoltura, per farla breve ambiente, ecosistemi umani e naturali, territorio.

Per l’economia serve un grande piano di investimenti e per la società un grande piano del lavoro che non si limiti ad essere solo un piano per l’occupazione.

Il lavoro è termine ben più vasto, comprende il concetto e il valore dell’occupazione ma implica i valori sociali, la cultura, la formazione culturale e professionale, la ricerca, l’innovazione, la sua distribuzione territoriale e di genere, nonché la formazione e distribuzione dei salari e dei redditi; in sintesi la formazione e distribuzione della ricchezza culturale ed economica.

Dovendo uscire dalla palude, abbiamo bisogno di rassettare prima di tutto la nostra casa ma sappiamo che nessuna casa si rassetta o si risana senza il rassetto e il risanamento del condominio Mondo. E non perché viviamo in un mondo globalizzato ma perché abbiamo esportato povertà e degrado e solo (e alcune volte) trasferito cultura, processi produttivi sempre all’insegna di valori omologanti.

A pensar male si fa peccato ma aiuta a capire

E allora? Se le coscienze sociali e individuali fossero pronte ad accettare l’innovazione, se scienza e coscienza sono pronte a costruire progetti e opere sui parametri della qualità con processi di qualificazione e di riqualificazione, perché non si fa? Che cosa manca?

È evidente che al ragionamento manca un elemento. Non sarà forse che non si sono ancora trovati assetti, accordi, parametri su cui ricostruire le diseguaglianze del nuovo sviluppo? la diseguale formazione e distribuzione della ricchezza, le aristocrazie e l’esercito salariale di riserva? I ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri; perché non perseverare?

Se leggiamo la classifica degli uomini più ricchi, vediamo che compaiono nomi e settori fino a pochi anni fa sconosciuti non solo all’apice ma anche al corpo.

E allora qui c’è bisogno della politica, dell’organizzazione della domanda sociale non sul rilancio dei consumi ma sull’attuazione di un nuovo modo di abitare, produrre, consumare, ricostruire i valori sociali della solidarietà, ma anche i valori culturali dell’appartenenza, della ricerca, dello studio, per trovare linee e indirizzi che disegnando il futuro rendano tranquillo e operoso il presente, valori che disegnino soprattutto un nuovo presente equo e solidale, idoneo a garantire la qualità di vita dei più e l’armonia ecosistemica.

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