Anche Gigi non ce l’ha fatta a sconfiggere il male che lo aveva aggredito ma non demoralizzato. Ho usato l’ ”anche” perché si aggiunge alla serie di collaboratori a questa newsletter che nell’ultimo anno ci hanno lasciati. Ma Gigi è soprattutto un amico dai tempi dell’Università, delle battaglie pre sessantottine per la riforma degli studi accademici, dell’impegno sociale – io nella CISL, lui nelle ACLI – e poi nell’agone politico della fine della prima repubblica, dalla collaborazione a Settegiorni al servizio in alcuni Governi degli ultimi anni 90. Infine, dedicandoci entrambi all’animazione sociale e politica soprattutto attraverso Mondo operaio lui, la newsletter di Nuovi Lavori io. Cedendo il passo a Giuliano Cazzola, di cui condivido la commemorazione, lo ricorderò per la tenacia con cui spronava quelli con cui amava interloquire a non rassegnarsi mai. (r.morese)
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Ci ha lasciati stamane all’alba Luigi Covatta, ex senatore socialista e sottosegretario di Stato, attualmente animatore e direttore di Mondoperaio, la rivista fondata da Pietro Nenni. Benchè malato da tempo, la sua scomparsa è stata improvvisa. Fino a poche ore prima si era dedicato alla chiusura del numero di aprile della rivista.
La morte di Luigi non lascia un vuoto incolmabile solo tra i suoi cari, gli amici, i compagni e i collaboratori della redazione. Viene a mancare un valoroso combattente nella battaglia per la democrazia e il riformismo, un custode dei valori e delle opere di quella cultura socialista a cui la storia (lo affermiamo nel centenario della fondazione del Pci) ha dato ragione.
Covatta – al pari di un monaco benedettino che consegna (ora et labora) ai posteri ciò che è riuscito a salvare della cultura classica – ha recuperato ‘’dagli antri muscosi e dai fori cadenti’’ la gloriosa rivista del Psi, le ha ridato vitalità e autorevolezza riportandola ad essere un punto di incontro e di elaborazione di un pensiero riformista.
Ricordando così ad un Paese ingrato – che aveva assistito imbelle alla soppressione per via giudiziaria di un’intera classe dirigente dei partiti democratici, nei primi anni novanta – quanto grande sia il debito del Paese nei confronti dei socialisti. Intorno alla rivista – poco alla volta migliorata anche sul piano grafico – Covatta aveva riunito intellettuali, ex sindacalisti, esponenti di diversi partiti che erano liberi di prendere parte alla ricerca di una nuova frontiera del riformismo, sia scrivendo sulla rivista – sempre rispettosa della scadenza mensile – sia con la presenza e il contributo alle iniziative organizzate da Mondoperaio insieme alla Fondazione per il socialismo che Covatta aveva promosso insieme a Gennaro Acquaviva e Giuliano Amato.
Luigi era nato ad Ischia nel 1943, aveva studiato a Milano e militato nelle organizzazioni cattoliche. Aderente all’Acpol di Livio Labor (il presidente delle Acli che aveva compiuto la ‘’scelta socialista’’) lo aveva seguito nel Movimento politico dei lavoratori (MPL), che rappresentò, sulla scia dell’autunno caldo, il tentativo di costituire un partito cristiano di sinistra.
L’esperimento naufragò nelle elezioni politiche del 1972; i dirigenti e i militanti confluirono nel Psi. Covatta, in seguito, fu eletto al Senato nelle liste socialiste (nel collegio di Ferrara) per diverse legislature ed ebbe anche responsabilità di governo nei settori dell’istruzione e dei beni culturali.
Ma soprattutto si mise in luce per il suo rigore culturale che lo portò a concorrere insieme ad altri intellettuali (tra cui Giuliano Amato) alla elaborazione del Progetto socialista del 1978 e della Conferenza di Rimini del 1983 (insieme a Claudio Martelli). Nel Psi aderì alla corrente di Riccardo Lombardi e al Midas (1976) appoggiò la svolta che portò alla segreteria del partito Bettino Craxi.
Con Luigi ho sempre avuto rapporti molto stretti di reciproca stima e amicizia, fin da quando dirigevo la Cgil dell’Emilia Romagna. In qualità di senatore eletto nella regione prendeva sempre parte alle nostre iniziative. Il rapporto proseguì anche quando fui chiamato a svolgere funzioni a livello nazionale. La tempesta che si scatenò sul Psi dapprima ci allontanò dalla politica attiva e ci portò a compiere scelte diverse.
Quando Luigi fece ripartire Mondoperaio mi chiese di collaborare e fui onorato di farlo, giacchè avevo scritto per la rivista quando era diretta da Federico Coen prima e da Luciano Pellicani poi (alla ‘’macchina’’ stava l’indimenticabile Luciano Vasconi, ex comunista, uscito dal partito dopo il 1956 e dopo l’aggressione sovietica all’Ungheria).
Commemorando Luigi sul Corriere on line, Paolo Franchi ha voluto ricordare di aver partecipato a una discussione, sull’ultimo numero, molto bello e stimolante, dedicato al centenario del congresso di Livorno (Covatta era molto fiero di quel numero a cui avevo contribuito con un saggio sui comunisti e il sindacato). <Abbiamo amichevolmente battibeccato – scrive Franchi – come ci è capitato di fare ogni volta che ci siamo incontrati. E sono molto contento che anche in quest’ultima occasione le cose siano andate così, perché così mi piace ricordarlo, e anche perché sono sempre meno le persone con cui valga la pena di farlo per il semplice piacere di discutere di storie che, in forme diverse, ci appartengono>.
Covatta stava sempre sul pezzo. Sul numero 3 della rivista di quest’anno Luigi, nell’editoriale di apertura, aveva commentato i recenti avvenimenti con la consueta lucidità apparentemente disincantata e percorsa da un filo di sense of humor: la caduta del governo Conte 2, le dimissioni di Nicola Zingaretti e l’elezione di Enrico Letta alla guida del Pd. ‘’Nel nostro piccolo – aveva scritto – non mancheremo di dare il nostro contributo. Con una sola preghiera: che si eviti lo spreco di parole come “riformismo” o “socialismo liberale”. I liberalsocialisti ormai si trovano ad ogni angolo di strada: basta volersi distinguere dai comunisti e dai democristiani (nonché dai socialisti veri) per definirsi tali, con buona pace di Guido Calogero e di Carlo Rosselli (ed anche di Luciano Pellicani). E quanto al riformismo, già negli anni di Reagan e della Thatcher, Norberto Bobbio ci spiegò che “dove tutti sono riformisti nessuno è riformista”.