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La questione della ricezione del pensiero sociale del Papa

La recezione del pensiero sociale di papa Francesco costituisce per molti un problema. Si avanzano a riguardo diversi motivi: la provenienza da un mondo lontano, l’uso di termini e concetti che non ci sono consueti, i problemi affrontati spesso non combaciano con le nostre attese. 

Se andiamo a fondo del problema ci si accorge però che la difficoltà non attiene alle forme del discorso, ma a una questione molto più essenziale, che potremmo chiamare “pietra d’inciampo”. Papa Francesco ha innovato profondamente il modo di affrontare la dottrina sociale;ne ha, per così dire, determinato un riposizionamento del suo asse fondamentale. 

La dottrina sociale della chiesa – secondo l’autorevole insegnamento di Paolo Giovanni II nella “Sollicitudo rei socialis” – è dottrina morale, ma la morale dice qual è la posizione giusta sui vari problemi della società, ma non motiva, non impegna a un obbligo di attuazione. E’, per analogia, simile alla “legge” per San Paolo: non è un motivo di vita. 

Qui sta la rivoluzione, semplice, elementare, di papa Francesco: ha spostato l’intero discorso sociale dal piano della morale al piano della fede. Non ha cambiato tanto la dottrina sociale, ma ora è posta come questione di fede: dunque interpella la mia fede, mi obbliga a prendere posizione, mi impegna di persona concretamente. 

Il disimpegno (dalla politica, dall’impegno sociale) è disimpegno dalla fede: è una fede che si arresta là dove iniziano i problemi, che si autolimita, che si coltiva solo in un ambito chiuso, che rinuncia a manifestare la sua forza in ambiti vitali fondamentali. 

E’ bastato un piccolo accorgimento per provocare uno sconvolgimento profondo. Ieri la dottrina sociale era materia di citazioni e di celebrazioni, ora significa mettere le mani in pasta, sporcarsi le mani, riunire movimenti popolari in Vaticano, arruolare giovani economisti perché cambino la loro disciplina, proporre un modo convincente di affrontare la questione dell’ambiente, invitare all’amicizia sociale per realizzare la fraternità fra tutti. In questo modo il discorso sociale acquista una forte motivazione, quella più profonda e ultima, la fede, e diventa per lo stesso motivo un impegno pressante, non un discorso generale, ma un preciso vincolo all’azione. 

Se l’impegno sociale proposto da papa Francesco si basa sulla fede, da ciò derivano indubbiamente altri problemi e interrogativi. Come esprimere un impegno politico-sociale esplicitamente cristiano in una società totalmente laica e secolarizzata, dove ormai anche le forze politiche e sociali si presentano religiosamente “neutrali”? 

Personalmente non ritengo che la laicità e la neutralità delle strutture a cui il cristiano partecipa gli impediscano di poter esprimere la propria vita cristiana: non c’è bisogno di aziende cristiane, di partiti cristiani, di istituzioni cristiane, ma di cristiani consapevoli che vivano in modo convinto la propria fede ovunque si trovino e nelle responsabilità che rivestono. 

E’ in questo sforzo volto a superare la grave frattura denunciata dalla “Gaudium et spes” (“Questa frattura tra la fede che professano e la vita quotidiana di molti va computata fra i più gravi errori del nostro tempo”) che va individuato il punto di partenza e la leva di un nuovo impegno politico- sociale dei credenti. 

E’ superfluo richiamare come ci sia un grande bisogno di questo impegno per la situazione del paese, per la fragilità della coesione sociale, per il venir meno di quelle forze politico-sociali che ieri rappresentavano i lavoratori e il mondo popolare. Ma, appunto, se un nuovo impegno politico- sociale dei cattolici parte dalla fede, questo non può non chiamare in causa una presa di coscienza e un rinnovamento della realtà ecclesiale, che è il terreno, l’humus, in cui questa sensibilità deve naturalmente radicarsi e svilupparsi. 

*Già Segretario Generale della CISL di Milano e poi della Lombardia

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