Dall’inizio della pandemia nel nostro Paese si sono ridotte drasticamente le morti violente, incidenti stradali e omicidi in particolare, quelle che tecnicamente si classificano come “morti per cause esterne”. Con le restrizioni anti-Covid, le interazioni sociali e gli spostamenti sono diminuiti e di conseguenza è crollato il numero degli incidenti stradali mortali: nel 2020 fino al 30%, mentre a fine maggio 2021 il numero di decessi è aumentato di appena un’unità rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Parallelamente, si è ridotto di molto il numero degli omicidi, che nel 2020 ha raggiunto i minimi storici.
E’ per questo che, in un contesto positivo statisticamente (dal punto di vista umano è un dramma anche un solo omicidio o incidente stradale) assumono particolare rilievo i dati relativi ai femminicidi e ai morti sul lavoro. Il 40,6% degli omicidi 2020 ha avuto come vittime donne, l’80% delle quali uccise fra le mura domestiche. Ottanta gli omicidi dei primi mesi del 2021, dei quali oltre il 40% sono donne uccise da uomini con cui loro avevano o avevano avuto un legame affettivo. Per quanto riguarda i morti sul lavoro, invece, nel 2020 sono stati 1172 nonostante la impressionante riduzione delle ore lavorate. I 306 morti dei primi mesi del 2021, il 9,3% in più rispetto agli stessi mesi del 2020 fanno tremare i polsi. Si riducono quelli in itinere e aumentano quelli in occasione di lavoro.
C’è una ratio che porta ad accostare morti bianche e femminicidi: sono due fenomeni sempre più emergenti nel nostro tempo, vedono implicati rapporti di debolezza e subalternità, pertengono in modo speciale all’ambito di una responsabilità sociale, collettiva e solidale.
Si muore di lavoro, per la vetustà dei macchinari, l’inadeguatezza o la totale mancanza delle misure di sicurezza, magari per inconsapevolezza e disinformazione del lavoratore, ovvero per lo “stato di necessità” che rende disposti a tutto pur di portare un pezzo di pane a casa. Su tutto aleggia una penosa percezione che le colpe non necessariamente saranno punite.
Si muore a casa per mano di chi ti sta accanto. Ma in genere un femminicidio è sempre l’ultimo di una sequenza di atti, l’esito della sottomissione psicologica ed economica della donna, l’episodio terminale di ripetute sopraffazioni fisiche attestate da regolari denunce che talvolta non producono effetti. Intorno alla vittima, l’esiguità numerica del personale dei servizi sociali territoriali e di quelli incardinati negli organi di pubblica sicurezza, spesso mandati in prima linea impreparati.
Prendiamo atto che il nostro Paese, nonostante tanti passi avanti compiuti negli ultimi decenni, non ha ancora completamente fatto propria né la cultura della parità e del rispetto, né quella della sicurezza sul posto di lavoro. Troppo spesso una donna che lascia o minaccia di farlo, lungi dall’essere una persona che decide della sua vita, è percepita dall’uomo come una proprietà. Da uccidere piuttosto che accettarne la soggettività. Queste, come quelle sul lavoro, non sono vittime inevitabili, sono il risultato di condizioni date che si possono cambiare.
Ci sono lavoratrici o lavoratori che muoiono svolgendo mansioni la cui contropartita sarà un salario non sempre adeguato e dignitoso, magari manovrando macchinari o misurandosi con processi produttivi i cui “ingranaggi” e dispositivi di sicurezza non funzionano, funzionano male. Talvolta, com’è accaduto, la sicurezza è allentata in nome di un maggior rateo di produzione.
Ci sono lavoratori costretti, in certi cantieri edili, a salire su ponteggi e impalcature improvvisate, fuori dalle più elementari norme di sicurezza, altri che non utilizzano maschere e appositi dispositivi di sicurezza prescritti. Quante volte ciò accade per negligenza individuale e quante altre per scarsa o inesistente formazione alla sicurezza? Quante volte le norme sono eluse a monte, con dispositivi mai consegnati e prevenzione trascurata?
Sicurezza: ancora troppo spesso considerata solo come un costo, pubblico e privato. Ancora troppo poco soggetta a controlli per scarsità di risorse umane e strutture pubbliche dedicate. Ancora quasi per nulla caratterizzante la responsabilità sociale dell’impresa. Qui una presa di coscienza e le conseguenti scelte aziendali potrebbero imprimere una svolta decisiva nel rendere sicuri luoghi e processi di produzione. Sarebbe un’evoluzione a doppio binario, perché trasferire ai lavoratori la cultura del “saper fare” e del “saper manovrare con la necessaria diligenza” in fase di formazione, oltre a preservare vite e impedire disabilità permanenti, migliorerebbe condizioni di lavoro e perfino la produttività.
Ha un significato su cui riflettere e agire, il fatto che su 10.069 aziende (dati del Rapporto annuale delle attività di tutela e vigilanza per l’anno 2020, pubblicato dall’Ispettorato del lavoro) oggetto di attività ispettiva in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, 8.068 sono risultate irregolari, con un tasso di irregolarità del 79,3% e con la conseguente contestazione di 12.020 violazioni di disposizioni penali e 521 di carattere amministrativo.
A fronte del dato percentuale delle aziende in cui sono state trovate irregolarità, va rilevato quanto siano limitati i controlli in numeri assoluti, considerato che le piccole e medie imprese in Italia sono ben oltre 200 mila. Appare allora evidente la necessità di rafforzare gli organici dell’INL, che presto sarà soddisfatta con l’immissione di oltre 2000 nuovi ispettori. Ma accanto al potenziamento in termini di risorse umane, diventa fondamentale l’interoperabilità e la piena condivisione delle banche dati rilevanti ai fini delle attività di controllo tra Inps, Inail e Ispettorato Nazionale del Lavoro.
E proprio alla luce di questi elementi fattuali, l’iniziativa del Parlamento e in particolare della commissione Lavoro della Camera ha esercitato le sue prerogative, e continuerà in questa direzione.
A cominciare dalla questione del “tesoretto” INAIL di 34 miliardi che consegue da anni di avanzi attivi dell’Istituto. Purtroppo non derivano dalla gestione virtuosa dei premi versati da imprese e lavoratori, ma piuttosto dai pochi servizi resi, da scarsi investimenti in prevenzione e da risarcimenti inadeguati. Lo sanno bene, fra gli altri, i lavoratori esposti all’amianto, quelli ancora vivi, i famigliari di quelli morti.
Perciò ritengo non sia più rinviabile la discussione relativa all’autonomia gestionale e finanziaria di un Istituto la cui finalità mutualistica deve tornare a essere la vera missione. In una fase storica come questa, in cui i vincoli contabili e i saldi finanziari sono passati in secondo piano, quei 34 miliardi o perlomeno una parte di essi, deve essere restituita ai lavoratori e alle imprese sotto forma di finanziamenti per la formazione, riorganizzazione e ammodernamento aziendale, di incentivi per l’adozione di misure che rendano più sicuri i processi produttivi, in particolare quelli a maggiore intensità di lavoro. A questo fine, potrebbero essere implementate le risorse di cui all’articolo 11, comma 5 della legge 81/2008, destinate alle medie, piccole e micro imprese per progetti di investimento e formazione in materia di sicurezza sul lavoro e volti a sperimentare soluzioni innovative e strumenti di natura organizzativa e gestionale ispirati ai principi di responsabilità sociale delle imprese.
Questi ultimi sono due fra i punti qualificanti della risoluzione, approvata recentemente alla presenza del ministro del Lavoro Andrea Orlando, con cui la commissione Lavoro della Camera ha impegnato il Governo su una serie di interventi che favoriscano e incentivino una rinnovata e consapevole cultura del lavoro in sicurezza.
Ed è partendo dal parere che la nostra Commissione aveva reso sulla proposta di PNRR che abbiamo sollecitato il Governo all’adozione di un grande piano strategico nazionale per aumentare i livelli di sicurezza sul lavoro. Inoltre nel documento conclusivo, approvato in commissione da tutti i gruppi parlamentari a dicembre 2020, dell’indagine conoscitiva intesa a garantire maggiore efficacia contro il lavoro irregolare e l’evasione contributiva, abbiamo definito i punti cardine di una strategia organica di intervento in materia di sicurezza, rispetto alla quale c’è già una positiva corrispondenza nei Decreti Sostegni bis e Semplificazioni.
Si tratta dell’articolo 50 del Dl Sostegni che, attraverso il reclutamento straordinario di dirigenti medici e tecnici della prevenzione negli ambienti e luoghi di lavoro da parte delle Regioni, intende rafforzare la medicina territoriale, tassello fondamentale per rafforzare il sistema di prevenzione e controllo. Non può infatti sfuggire che lo smantellamento dei presidi sanitari territoriali ha determinato, oltre a tutte le altre disfunzioni e ai limiti della medicina di prossimità, la riduzione notevole dei margini di azione per il servizio pubblico di prevenzione e ispezione in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, già profondamente ridimensionato negli organici ispettivi.
Altra questione sulla quale ci siamo espressi nel nostro atto parlamentare riguarda la necessità di intervenire sugli strumenti legislativi attualmente in vigore, per rafforzare alcuni aspetti che toccano categorie di lavoratori maggiormente esposti e meno tutelati, quali i lavoratori dei subappalti. Nelle gare bandite con le risorse europee, va considerato un grande passo avanti il fatto che il decreto Semplificazioni abbia previsto per i lavoratori dei subappalti le medesime prerogative retributive e normative, comprese quelle sulla sicurezza, assicurate ai lavoratori degli appalti.
La decisione del Governo di far proprio l’indirizzo della commissione Lavoro è significativa, ma spetta al Parlamento assumersi l’onere delle proprie prerogative, e dimostrare forza e lungimiranza rendendo strutturali queste tutele. Gli istituti del subappalto e del massimo ribasso, nell’esperienza del nostro Paese, hanno purtroppo favorito l’estendersi di quelle zone grigie in cui la sicurezza dei lavoratori è stata spesso considerata8 un costo da tagliare.
Nelle prossime settimane abbiamo la possibilità di disegnare un sistema in cui le semplificazioni potranno creare nuova occupazione, ma non a danno dei diritti né della sicurezza dei lavoratori. I segnali che arrivano dal Governo fanno ben sperare, ma abbiamo visto come la natura della maggioranza che lo sostiene lo esponga a oscillazioni su cui bisogna vigilare.
Rimane l’obiettivo di fondo che ispira tutta la fase riformatrice in atto, entro cui si inserisce l’acquisizione di una profonda cultura della sicurezza e la sua declinazione in tutte le politiche di sviluppo che rilanceranno il Paese. La transizione, oltre che green, energetica e digitale, deve essere equa e, finalmente, mettere al centro la persona.
*Presidente della commissione Lavoro della Camera