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Relazioni Industriali alla prova di una nuova concertazione

Il forte rimbalzo dell’economia in atto, grazie all’avvenuto contenimento della pandemia, ha portato in evidenza le inefficienze strutturali delle istituzioni del mercato del lavoro nel fare incontrare domanda e offerta di lavoro. Una elevata disoccupazione manifesta e nascosta (gli scoraggiati), soprattutto di giovani e donne, aggravata da una massa di cassaintegrati di difficile recupero, convive con situazioni territoriali in cui le imprese faticano a trovare personale della qualità professionale richiesta. Un problema destinato ad aggravarsi nella prospettiva della transizione digitale ed energetica prevista dal piano di ripresa governativo.

Va rilevato, a tale proposito, che il sopracitato piano governativo non assegna alle politiche per l’occupazione il rango di “riforma”, come previsto per la concorrenza o la giustizia, facendo venir meno il vincolo esterno di un riordino di tale materia. Non a caso l’attivismo del Governo Draghi si è incagliato in materia di politiche del lavoro per le difficoltà di raggiungere qualche intesa fra i molteplici attori pubblici e privati che rivendicano competenze, peraltro legittime, in tale campo (Regioni, imprese, Sindacati e altro).

Il rischio è che le risorse disponibili (quasi 5 miliardi) da investire nel Programma Garanzia Occupabilità siano assorbite da strutture (Centri per l’Impiego, centri di formazione, ecc.) inadeguati al ruolo richiesto.

Legittimo allora pensare che l’apertura di Draghi a forme di concertazione sociale intenda coinvolgere le parti sociali in un progetto di riqualificazione delle politiche del lavoro quale elemento portante di “quella prospettiva economica condivisa” da lui stesso evocata. D’altro canto, si tratta di problemi per i quali le parti sociali hanno le conoscenze e le capacità di intervento più appropriate perché la gestione dell’occupazione, nel suo impatto con le nuove tecnologie e con i processi di ristrutturazione aziendale, le vede in prima linea. Non è azzardato sostenere che il loro progressivo esautoramento del governo del mercato del lavoro, con la supremazia della legge a scapito della contrattazione collettiva, sia la causa non ultima della loro regressione rappresentativa. Il loro campo d’azione è stato limitato alla redistribuzione del reddito in un sistema economico imbrigliato nel circolo vizioso di bassa produttività e di bassi salari.

Oggi il contesto è profondamente cambiato: c’è una transizione espansiva del nostro sistema produttivo da gestire, finanziata e strutturata per progetti e azioni da cui ci si attende nuova ricchezza da distribuire e nuova occupazione. La sua realizzazione richiede un impegno sia delle istituzioni pubbliche che degli operatori di mercato (Sindacati e imprese) nel favorire una attivazione congiunta di investimenti pubblici e privati sostenuti da un piano di riforme.

Il sistema di Relazioni Industriali che regola i rapporti tra Stato e parti sociali, e fra le stesse parti sociali, è la componente istituzionale che deve sostenere tale transizione espansiva lungo due direttrici compatibili con il metodo di Governo Draghi: le politiche del lavoro a sostegno dell’occupazione, ridefinendo in forma flessibile i confini fra regolazione legislativa e regolazione contrattuale; le politiche contrattuali con cui sostenere la creazione di nuova ricchezza e la sua equa ripartizione fra quanti hanno contribuito a crearla.

C’è materia per avviare una riflessione congiunta partendo dal presupposto che la nuova concertazione ha ben poco da spartire con le precedenti esperienze di concertazione (1984-1993) avvenute in contesti politici, economici e sociali di emergenza non assimilabili a quello attuale. Inutile anche richiamare le difficoltà di tale percorso considerate le scarse capacità cooperative di cui è dotato il nostro attuale sistema di Relazioni Industriali.

Un primo passo può essere indicato nella condivisione di maggiori conoscenze sul futuro su cui si sta investendo. Ridurre le asimmetrie informative fra i diversi attori del sistema di Relazioni Industriali può facilitare le intese e scoraggiare comportamenti opportunistici che alimentano l’attuale frammentazione rappresentativa sia nel mondo delle imprese che, soprattutto, nel mondo del lavoro. Ci sono esperienze all’estero (Olanda) di istituzioni indipendenti partecipate da Governo, imprese e Sindacati che realizzano studi e ricerche in grado di orientare le decisioni dei diversi attori.

Quel che è certo è che c’è una discontinuità da gestire perché non basta avere risorse finanziarie e progetti. La loro traduzione in risultati richiede istituzioni politiche e sociali e regole del gioco nello sviluppo dei reciproci rapporti che portino a terra questa irripetibile opportunità di riportare il Paese su un percorso di crescita duraturo e condiviso.

Draghi è avvertito che, superata l’emergenza sanitaria, le riforme da attuare non possono essere ricondotte alla sola autorevolezza del Governo.

Ma c’è un nodo irrisolto da sbrogliare: trovare un nuovo equilibrio fra governabilità e consenso sociale che in un sistema democratico, è intermediato dai portatori di interessi collettivi parziali che esercitano un ruolo legittimo di rappresentanza del nostro pluralismo sociale. C’è un sistema di Relazioni Industriali da ricostruire in un mondo sempre più interagente: Draghi sta facendo la sua parte e le parti sociali non possono essere da meno. Devono recuperare la passata centralità che ha trovato e trova tuttora il suo fondamento nella capacità di gestire processi economici in cui produttività e salari progrediscano insieme.

*Nota ISRIL, n 23, 2021

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