In Italia nel 2015 ogni nucleo familiare abbonato pagava il canone RAI fino a luglio del 2016 nella misura di €112, pari a 30 centesimi per giorno come fonte del finanziamento del “Servizio Pubblico” svolto dalla Rai.
A partire da luglio 2.016, il Governo Renzi attuò l’abbinamento del canone alla bolletta della luce e rastrellò così mezzo miliardo e passa d’evasione, ma, come ha ben spiegato Daniele Martini su queste stesse pagine, congelando i ricavi della Rai a quelli che già c’erano. In sostanza si tenne il malloppo per intero sia usandolo per altre poste del Bilancio dello Stato che riducendo la tassa da €112 a €90.
Sospettiamo che gran parte in questa decisione l’abbia avuta un sondaggio SWG che proprio alla vigilia del canone in bolletta fu mandato a misurare che fra tutte le tasse proprio il canone era di certo la più odiata, seguita dalle accise sulla benzina e dai ticket sanitari.
La ricerca, che leggiamo grazie a Google su il Giornale del 27 maggio 2016, era commissionata da Edison, società elettrica, in quanto tale restia a farsi esattrice di qualsiasi altrui balzello, tanto più nel caso del “più odiato”. Da allora ogni famiglia d’abbonato sostiene per il canone la spesa giornaliera di €0,25, mentre quella tedesca ne sborsa €0,58, l’inglese €0,50, il francese €0,38.
Da questo breve riepilogo dei fatti discendono un paio di domande: perché quei centesimi giornalieri li odiamo così tanto e perché invece in altri Paesi, che parecchio ci somigliano, nessuno pensa di tagliare il canone e qualche pensiero si fa, semmai, per aumentarlo?
L’”odio” è diventato un fiume alimentato da due sorgenti. La prima e più remota è che l’Eiar era la voce del regime e che l’erede Rai nel dopoguerra aveva voglia a farsi chiamare “mamma” essendo stretta in un Paese dall’unità irrisolta, attraversato da uno scontro sociale condotto a lungo con bombe, pistole, sequestri ed uccisioni. In cui pertanto ogni espressione dello Stato era condannata a priori ad essere soppesata con occhio di fazione.
Quelle tensioni, a metà degli anni ’70 erano lungi dall’essere risolte e si presentavano, anzi, acuite più di prima infragilendo fino all’estremo la forza delle imprese e istituzioni protagoniste della Ricostruzione. Nel caso particolare della televisione il fenomeno si manifestò con la politica dell’omissione, quando nulla fi in grado d’opporsi all’affermazione non di un sistema televisivo moderno, ma di un insieme tv oligarchico articolato fra boss lottizzatori di partito e arraffatori della cosa pubblica, concretissima quanto impalpabile, costituita dalle onde elettromagnetiche dell’etere.
In quelle geometrie di quattrino e di fazione, era surreale parlare di ruolo e strategia del Servizio Pubblico come strumento di interesse nazionale e ancor meno di quello sviluppo fortemente governato della tv commerciale senza il quale, come puntualmente accadde, la naturale spinta dei mercati avrebbe annichilito le risorse produttive e culturali nazionali.
La catastrofe riuscì a farsi completa quando iniziò a sventolare il luogo comune che la tv non c’era bisogno di pagarla giacché la pubblicità provvedeva alla bisogna. E qui, nel mito della tv gratuita, propinato a una popolazione confusa dalla circostanza che la pubblicità c’era comunque anche in Rai, troviamo la seconda sorgente di quel così maggioritario “odio” per il canone che nel 2016 indusse il Presidente del consiglio, il Ministro dell’Economia e il Ministro dello Sviluppo Economico a dare un taglio oltre che al canone, alle prospettive di senso della Rai.
Nel frattempo Germania, Francia ed Inghilterra non hanno mai smesso d’accudire lo sviluppo delle tv di casa loro e d’affinare metodi e fini delle aziende pubbliche implicate. Noi per contro siamo impegnati da mezzo secolo a rabberciare i bilanci e l’auto narrazione dell’azienda pubblica, a tutelare gli affari del tycoon politico e privato, a socializzare le perdite delle tv locali che sono ricche di ragion d’essere, ma escluse – a profitto del Biscione – da adeguati spazi di mercato.
Questo è l’insieme che spiega perché l’abbonato italiano possa dirsi convinto, pagando solo 25 centesimi di canone ogni giorno, di essere il più accorto e il meglio accudito dai rappresentanti inviati in Parlamento, orgoglioso di se stesso rispetto agli allocchiti di oltre Alpe che pagano così tanto più di lui. Per non dire degli inglesi che se fossero più furbi non perderebbero le Coppe ai calci di rigore.
Così ci sono tutti i meritati estremi per celebrare il nostro trionfo di sovranismo poveraccio. Mentre quelli che sovrani son davvero ci prendono le misure e non ci prendono sul serio. Hai voglia ad avere Draghi sul ponte di comando!
*da Domani, 10/01/2022