La rielezione di Mattarella è stato un fatto eccezionale che ha contraddetto quasi tutte le previsioni della vigilia, e che ha dato origine ad una contraddizione paradossale, per cui la sconfitta dei partiti si è trasformata in una vera e propria vendetta della politica.
Pur scegliendo la continuità senza cambiare nulla, l’intero sistema politico risulta terremotato. Mantenere la coppia Mattarella Draghi alla guida del Paese, mentre rappresenta la maggiore garanzia possibile per far fronte alla duplice emergenza sanitaria ed economico-sociale, sta determinando uno scombussolamento generale che colpisce innanzitutto le forze politiche populiste: Lega e M5S, che nella vicenda del Quirinale sono state le più incerte e spregiudicate nelle scelte.
La Lega di Salvini viene investita da una pluralità di contraddizioni interne tra la linea populista del capo e quella governista di Giorgetti e dei governatori. Nonostante l’esito disastroso nella gestione della elezione al Colle, Salvini non riesce a staccarsi dal suo fare politica in termini puramente propagandistici e anche quando viene sollecitato a compiere tentativi di avvicinamento a posizioni più moderate, vengono subito contraddetti dalle sue alternative frequentazioni europee. Questi limiti strategici, che trovano riscontro nel calo nei sondaggi, stanno aprendo nel Carroccio un inedito scontro interno che trova nel Veneto uno dei punti più acuti, e che. in ogni caso, allontana la Lega da Fratelli d’Italia.
Il M5S, fedele alla sua totale indeterminatezza politica, ha trasformato una differente posizione tra Conte e Di Maio nel sostenere la candidatura di Belloni al Colle, in un duro conflitto personale che sta trasformando ancora una volta il Movimento in una gabbia di matti, che nemmeno l’intervento di Grillo riesce a riportare a una tollerabile normalità. A parte i due soggetti nazional-populisti, il processo distruttivo in corso sta investendo pure le rispettive coalizioni, per cui il centrodestra viene dato ormai per defunto e da ripensare alla radice. Il rapporto tra Salvini e Meloni ha raggiunto inusuali livelli di dissenso strategico, per cui lo stare l’uno al governo e l’altro all’opposizione, è diventato un muro sempre più difficile da superare, e, inoltre, permane una valutazione diversa circa la riforma della legge elettorale.
Una frattura aggravata dalla sparizione di Berlusconi come potenziale federatore, oggi più rivolto alle sorti del centro. Mentre il partito di Giorgia Meloni risulta quello che, dall’opposizione, è stato meno coinvolto nella scelta di Mattarella, e ha potuto continuare a lucrare la relativa rendita, ma la prospettiva di un suo possibile isolamento istituzionale, gli fa correre il rischio di una nuova marginalità della destra, che è stata in passato una costante del nostro sistema politico. Ormai il centrodestra come l’abbiamo conosciuto in questi anni, sembra appartenere già al passato e una sua riproposizione corre sempre più il rischio di essere superata dai fatti intervenuti.
Dall’altra parte, non sta molto meglio il centrosinistra, dove il Pd, pur avendo Letta gestito con una certa lungimiranza la vicenda Quirinale, nella sua iniziativa è stato notevolmente condizionato dal caos presente nel M5S che ha reso spesso la coalizione paralizzata e inconcludente. Peraltro, entrambi i partiti mantengono seri problemi di identità che condizioneranno il loro cammino e i loro rapporti futuri.
Il settore che risulta più in effervescenza è quello del centro, che dalla elezione sul Colle, ha individuato il potenziale ruolo del terzo polo nella politica futura. Attualmente si è avviato un confronto ravvicinato tra Italia Viva e Coraggio Italia (Renzi e Toti) cercando di coinvolgere lo stesso Casini, ma l’attenzione riguarda altre componenti e lo stesso Berlusconi ha manifestato interesse. Il pericolo maggiore è che il tutto si riduca a una fusione mal riuscita di piccoli gruppi con troppi leader potenziali rispetto ai voti, mentre risultano assenti un dibattito politico di qualità sul possibile ruolo strategico di tale raggruppamento, e un credibile federatore in grado di portare in porto un’operazione nella quale, fin dall’inizio, le difficoltà sembrano soverchiare le opportunità.
In generale, la credibilità del duo Mattarella-Draghi e la conseguente stabilità dell’assetto istituzionale e dell’azione il governo, può consentire ai partiti di utilizzare parte del loro tempo per affrontare i loro problemi emersi anche nella vicenda Quirinale, relativi al trinomio identità-ruolo-alleanze come premessa di una partecipazione più responsabile alle prossime elezioni politiche del 2023. In questo processo acquista una rilevanza particolare il compito del Pd che, navigando intorno al 20% dei consensi, si trova nella condizione pressoché impossibile di rendere il centrosinistra competitivo per il governo del Paese.
Il suo compito strategico per il futuro appare articolato in due direzioni: quello di ridefinire e rafforzare l’identità del partito e quello di favorire la crescita di un “campo largo democratico” comprendente un centro innovatore, potenziale partner di un centrosinistra di governo. La prima direzione consiste nel costruire una risposta convincente al problema di quale identità deve avere oggi un partito di sinistra che ambisce al governo del nostro sistema democratico, tramite un impegnativo processo di maturazione.
Due mi sembrano gli elementi che devono costituire questa identità: il pieno rispetto dell’impianto istituzionale di democrazia liberale così come proposto dalla nostra Costituzione, e la promozione di un’azione politica riformista, inclusiva, di affermazione della libertà. uguaglianza, solidarietà dei cittadini nelle diverse manifestazioni della vita economica, sociale e culturale, nel nostro Paese, in Europa e nel mondo. Un processo al quale sono chiamati a contribuire tutti coloro che credono in tale prospettiva. Rimango convinto che su di essa si giocherà il futuro della sinistra e il suo possibile ruolo nel governo dell’Italia.