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Metamorfosi di un’impresa e del suo indotto

L’acquisizione del controllo completo della Chrysler da parte della Fiat è una buona notizia per l’auto italiana, il segnale che la partita può ancora essere giocata. 

Non sono molte le aree urbane, nel mondo, di cui si possa dire che detengono la cultura e il know-how sull’auto. Detroit e Torino sono state precisamente questo per oltre un secolo, e nelle ultime settimane è giunto a compimento il progetto coerente di creare un nuovo player mondiale. Sul rapporto tra Fiat e Chrysler, nelle ultime settimane le analisi giornalistiche sono apparse concentrate su un solo interrogativo: chi ha acquisito chi? Si può dire in modo sommario che la Fiat ha acquisito la Chrysler, tecnicamente fallita, per evitare il proprio fallimento, conseguenza della pesantissima crisi e del processo di ristrutturazione che sta cambiando la faccia dell’automotive mondiale. Quindi, due morti fanno un vivo ?  

Fiat-Chrysler non è la somma algebrica di due imprese. È invece una soggettività nuova e diversa rispetto alle due storie aziendali che ne sono all’origine, sospinta dal cambiamento di contesto e dalla revisione di un posizionamento geografico che deve guadagnare campo in Nord America (vale per la Fiat), in Europa (vale per Chrysler) e più in generale nel mondo. Al cuore della metamorfosi aziendale sono la natura di marchio e la gamma, tramite un processo di valorizzazione che tocca “500”, “Maserati”, “Alfa” e, nel caso Chrysler, “Jeep”, portando in primo piano il prodotto e sullo sfondo il produttore. Conta di più “cosa fa” rispetto a “chi lo fa”, e si genera una svolta strategica nell’approccio al mercato basata sulla scommessa di prodotti che agiscono come veicoli di made in Italy. Va detto che non si tratta di una scelta mai tentata prima: la stessa BMW, sulla gamma premium che è contendentediretto della “500”, rinuncia al traino del suo nome e impiega invece il marchio storico “Mini”. 

Questo tipo di scelte appaiono del tutto in linea con i processi di trasformazione che stanno interessando il settore, ma che andranno verificati alla prova dei mercati. Molti osservatori si domandano se si troveranno clienti disponibili a spendere 35.000 euro per una “Jeep”, 55.000 per una “Alfa 4C”, 70.000 per una “Maserati Ghibli”. L’uscita dalla crisi, accompagnandosi con una sostenuta ripresa di consumi, favorirebbe l’operazione, tuttavia occorre sempre ricordare che non esiste affatto un solo mercato dell’auto, nel senso che i mercati di riferimento di questo prodotto complesso sono molti e diversi. Da un lato ci sono mercati tradizionali “di sostituzione”, dall’altro quelli emergenti “di nuova motorizzazione”; in una porzione di mondo si trovano economie dove il PIL cresce a tassi del 7-10%, altrove registrano crescite nettamente inferiori. Gli spazi si moltiplicano, invece di frazionarsi: in un caso si intercettano domande legate ad auto che non sono soltanto mezzi di trasporto, ma simboli di un’esistenza che rispondono a esigenze di sostenibilità e confort; nell’altro caso ci sono i consumi della nuova classe affluente, in crescita nei paesi emergenti e che richiede intese anche con produttori locali. Nel 2013, in Cina, le immatricolazioni di MPV sono cresciute del 133%, quelle dei SUV del 47%. Nell’area Asia-Pacifico, un mercato da 35 milioni di vetture, nel 2012 i SUV rappresentavano il 9% del mercato mentre il segmento del lusso si attestava al 3%: in valori assoluti, parliamo di  oltre un milione di vetture per il lusso e 3 milioni per i SUV. Numeri che fanno girare la testa, ma l’operazione di fusione Fiat-Chrysler porterà benefici in Italia? 

Com’era già intelligibile nel 2009, il canale di efficienze aperto dall’alleanza si esprime soprattutto nell’ambito delle strutture e dei servizi di progettazione e sviluppo, portando, secondo l’opinione di alcuni, a probabili sovrapposizioni ed eccedenze di personale. Meno percorsa nelle argomentazioni la riflessione sulle opportunità aperte in tema di risorse umane dall’alleanza – un’opportunità, per così dire, connaturata al rischio di costruire un’azienda con tecnici e quadri dal profilo effettivamente cosmopolita, che sappiano portare il know-how di Torino nel mondo e tornare indietro con competenze diverse apprese altrove. Un meccanismo di osmosi certamente non automatico, che può essere avviato (e non va lasciato all’organizzazione spontanea) da infrastrutture come i centri di ricerca del Nord America, l’Academy del WCM promossa dal sindacato americano, le competenze sviluppate in Brasile – per ciò che attiene al contributo dall’altra parte dell’Atlantico. Così come i learning center di Melfi e Val di Sangro, il Politecnico di Torino, la cittadella della mobilità sostenibile di TNE, il centro del design di Mirafiori – se si voglia indicare alcuni pilastri su cui rifondare una scuola dell’auto internazionale a matrice italiana. 

Il settore dell’auto, emblema stesso della old economy, dato ciclicamente per declinante, continua al contrario ad essere veicolo d’innovazione anche oltre il proprio perimetro ristretto. 

Per tale ragione è essenziale accompagnare in Italia la scommessa di Fiat-Chrysler, mettendo in campo uno strumento dedicato.

L’Agenzia per l’auto di cui si è spesso parlato potrebbe presidiare i processi internazionali sull’innovazione tecnologica e organizzativa, essere strumento per decodificare e organizzare il processo d’innovazione del settore; offrire un’agorà per favorire il confronto tra gli attori del sistema. 

Gli interventi si potrebbero favorevolmente sviluppare in almeno quattro diversi ambiti e materie.

Il primo ambito è l’innovazione organizzativa e di processo, entrando attivamente nel mondo della lean production avviata con decisione anche in Fiat-Chrysler, paradigma organizzativo che si allunga dall’assemblatore finale alla filiera, rappresentando nei fatti una vera e propria barriera all’ingresso per l’accreditamento delle forniture: se i grandi fornitori hanno acquisito consapevolezza, la filiera territoriale sembra molto meno reattiva e dunque molto più esposta a effetti negativi dovuti alla scelta di non innovare. Il secondo è l’innovazione tecnologica e dei materiali, ambito di ricerca dalle conseguenze applicative dirompenti sulla struttura dell’indotto come sulle competenze dei lavoratori. Basti pensare all’applicazione della fibra di carbonio nella produzione di componenti strutturali o all’uso di scanner e stampanti 3D come tecnologie alternative rispetto a quelle in uso nella aziende di stampaggio.  

Il terzo è l’innovazione di architettura sociale, generata dalla crescente domanda di sostenibilità (ambientale ed economica) all’incrocio col paradigma della Smart City e della mobilità intelligente. Per fare soltanto due esempi: la puntualizzazione della tecnologia LED migliorerà l’efficienza energetica sull’auto come nei sistemi di illuminazione pubblica; la diffusione di propulsioni elettriche e a metano aprirà uno spazio di collaborazione tra industria e mondo delle utility sul trasporto pubblico individuale e collettivo. Il quarto è ultimo è l’innovazione delle competenze, con ciò intendendo le abilità dei lavoratori e il mondo in cui esse vengono edificate dalle politiche educative e di formazione professionale, oltre che alla”scuola dell’impresa”. 

Un ente dedicato può offrire un contributo di stimolo e di coordinamento sistematico in queste direzioni. 

Forte impulso alla diffusione della produzione snella verrebbe dall’opportuno raccordo con i processi amministrativi sul territorio, oltre che mettendo a punto dispositivi utili a sostenere la competizione del sistema dell’automotive locale. 

Inoltre potrebbe garantire ciò che nei paesi scandinavi e in Francia (vieille tecnologique) viene definita “sorveglianza tecnologica”, valutando l’impatto dell’innovazione tecnologica sui lavoratori e sulla struttura delle imprese e del territorio, al punto di raccordo fra centri di ricerca, università e industria. Diversi sono gli esempi in Europa di simili strutture funzionanti e composte da partner pubblici e privati: per citarne alcune, nel lander tedesco della Baviera vi è BAIKA, in Francia opera ID4Car. Sono soltanto alcune delle ragioni per le quali, a Torino, sono maturi i tempi per avviare un’Agenzia per l’Auto dove converga il riconoscimento internazionale sul peculiare know-how del nostro territorio in materia. General Motor Powertrain Europe ha già aperto a Torino il suo centro di ricerca sui motori diesel, e qui sta sviluppando il primo ibrido alimentato a gasolio. Volkswagen ha stretto una partnership strategica con Italdesign di Giugiaro per definire lo stile dei suoi prodotti. Pininfarina lavora in modo consolidato con BMW. Un ultimo passo manca per consolidare a Torino una “testa” dell’auto mondiale, valorizzando capacità industriali e ingegneristiche, con benefici effetti anche sull’indotto.

Ogni volta che si costruisce, più o meno coscientemente, una relazione fra impresa e  territorio, siamo nell’ambito della responsabilità sociale. Concetto obliquo da definire, ma intuitivo da comprendere: un’impresa globale, come un polmone, respira in sincrono con la terra e la gente dove è insediata. Fiat-Chrysler, nella metamorfosi che la sta attraversando, può diventare consapevole riferimento di nuove architetture sociali, fondate su un patto di cooperazione e responsabilità. Sembra un’occasione da non perdere. 

Torino, 24 gennaio 2014 

(undicesimo anniversario della morte di Gianni Agnelli, che forse firmerebbe questa riflessione)

 (*) già vice-sindaco di Torino e Presidente di Iren Mercato Spa

 (**) Segretario generale Fim Cisl Piemonte

 

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