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La sponda sud, uno sguardo della realtà non dal centro, ma dalla periferia

Il Brasile, ovvero il più importante mercato di Fiat Auto nel mondo

Mentre l’accordo con il Fondo Veba faceva volare il titolo Fiat in Piazza Affari e gli Usa plaudivano i risultati industriali e di mercato della Chrysler; nella fabbrica di Betim – in Brasile – operai, tecnici e manager festeggiavano l’uscita dalle linee di montaggio dell’ultima “Uno Mille” prodotta. Dal suo lancio sul mercato brasiliano nel 1984 a oggi ne sono state prodotte più di tre milioni e 700 mila. Grazie alle sue prestazioni e al prezzo contenuto, l’Uno Mille ha rappresentato in questi trenta anni l’auto popolare per eccellenza, contribuendo al successo commerciale di Fiat in Brasile. 

Da qualche tempo destinata ad andare in pensione, la “Mille” nelle sue innumerevoli versioni nate dalla Fiat Uno (modello di straordinario successo ereditato dalla gestione di Vittorio Ghidella), ha avuto in Brasile sette vite come i gatti. L’anno scorso, della “Nova Uno” nata nel 2010 – equipaggiata nelle due versioni con motori 1.0 Evo e Fire 1.4 – ne sono state ancora vendute più di 187 mila unità. Il primo obiettivo di Fiat per il 2014 è lanciare un nuovo modello – nello stesso segmento di mercato – che non la faccia rimpiangere, visto che era tra i dieci modelli di auto più venduti nel mercato brasiliano. 

Nella classifica mondiale per vendita di automobili e veicoli commerciali, il Brasile ha raggiunto il quarto posto, superando la Germania al quinto e piazzandosi dietro a Cina, Stati Uniti e Giappone che – nell’ordine – occupano le prime tre posizioni. L’Italia è solo al dodicesimo posto. In Brasile, la Fiat Auto ha chiuso anche il 2013 al primo posto con 762.980 unità vendute, pari al 21,3 per cento della quota di mercato. E’ il dodicesimo anno consecutivo di leadership. Tra i dieci modelli di auto più vendute in Brasile, ben quattro sono Fiat: oltre la Uno Mille, la Palio, la Siena e il pick-up Strada. Ciascuno di questi, leader nel proprio segmento di mercato. E anche nei veicoli commerciali la Fiat conferma la sua leadership, grazie al successo del Ducato, del Fiorino (leader dal 1990 nel suo segmento) e del Doblò Cargo. Sono dati che dimostrano come il baricentro del manufacturing di auto Fiat si sia spostato da qualche tempo dall’Italia al Brasile, più che per decisioni aziendali, per i gusti e per le scelte dei consumatori brasiliani e latino-americani rispetto a quelli italiani ed europei.

Nel luglio 2016 la Fiat compirà 40 anni di presenza nel settore automobilistico in Brasile. Nel corso di quest’anno raggiungerà il traguardo di 14 milioni di veicoli prodotti. Con 26 mila e 500 occupati diretti e indiretti, la fabbrica di Betim (vicino a Belo Horizonte), nello Stato del Minas Gerais è la maggiore al mondo del Gruppo Fiat-Chrysler e la maggiore di tutta l’America Latina. Quando fu inaugurata, nel 1976, aveva una capacità produttiva di sole 200 mila unità per anno. Per effetto di successivi ampliamenti della fabbrica, la capacità produttiva ha raggiunto le 800 mila unità per anno, equivalenti a tre mila e duecento unità per giorno. Il completamento degli investimenti in corso (3,2 miliardi di euro dal 2011 al 2014) eleverà la capacità produttiva di 950 mila unità per anno. A Betim la Fiat produce sedici modelli di auto e veicoli commerciali, in più di 200 versioni. Ogni venti secondi è fabbricato un veicolo. 

Contemporaneamente all’ampliamento di Betim dal 2013 è in fase di costruzione la seconda fabbrica di auto in Brasile. Sorgerà a Goiana, nel nuovo distretto industriale voluto da Lula in Pernambuco, una delle regioni più povere del nord-est brasiliano. Avrà una capacità produttiva di 250 mila unità per anno. L’avvio della produzione di auto nel nuovo stabilimento è previsto a inizio 2015. L’investimento diretto della Fiat a Goiana è di un miliardo e 300 milioni di euro, ai quali si aggiungeranno altri 900 milioni di euro da parte dei fornitori. Ad esempio, anche la Magneti Marelli azienda di componentistica controllata da Fiat Spa, realizzerà almeno tre unità produttive nello Stato di Pernambuco. L’occupazione complessiva a regime sarà di circa dodici mila persone: 4.500 lavoratori alla Fiat Auto, il resto nelle aziende di componentistica. La capacità produttiva totale di auto e veicoli commerciali in Brasile si attesterà su un milione e 200mila unità.

Il progetto è considerato talmente strategico per il mantenimento della leadership in Brasile che il vice-presidente mondiale responsabile della produzione Fiat, il brasiliano Stephan Ketter, dall’anno scorso ha trasferito il proprio ufficio a Recife, per accompagnare da vicino l’investimento. E l’impegno del Gruppo in Brasile non si ferma qui. Il piano presentato da Fiat-Chrysler e Cnh Industrial prevede, oltre il miliardo e 300 milioni di euro per la nuova fabbrica di Goiana (cui si affiancheranno un centro di sviluppo e industrializzazione e un centro di formazione e addestramento), altri quattro miliardi d’investimenti sia nella produzione di motori e veicoli industriali, sia nello sviluppo di nuove tecnologie di processo, qualità dei prodotti, ingegneristica. Non solo. Il Brasile, confermandosi il più importante mercato in assoluto di Fiat Auto nel mondo, è lo scenario ideale per lo sviluppo e il lancio di nuovi modelli. L’obiettivo è coprire – sfruttando l’integrazione tecnologica, industriale e commerciale di Fiat con Chrysler – quei segmenti del mercato sudamericano nei quali l’azienda è del tutto assente o poco presente (SUV, segmento C e C-Pickup). 

Questo sguardo su Fiat-Chrysler dal Brasile forse ci aiuta a capire meglio la realtà e relativizzare il problema della sede legale e di dove avrà casa il quartier generale della nuova azienda. La globalizzazione sta cambiando velocemente il profilo organizzativo e societario delle grandi Corporate. La fase delle multinazionali, con uno Stato di riferimento e diverse filiali all’estero, è stata superata dallo sviluppo di un capitalismo itinerante che non ha confini. Anche i media fanno fatica a leggere questa mutazione. Ad esempio, continuano a definire ArcelorMittal – il più grande gruppo siderurgico al mondo – un’azienda indiana. In realtà ArcelorMittal non ha mai avuto né sedi, né siti produttivi in India. Indiano è solo l’azionista di riferimento che vive e lavora a Londra dove la Corporateè quotata in borsa. Il quartier generale è a Lussemburgo e i centri di produzione sparsi in 20 paesi in quattro continenti. E si potrebbero fare altri esempi.

In questa fase di dominio delle transnazionali, il vero problema per i lavoratori è che mentre le imprese sono globali, i sindacati no! Forse sarebbe il caso di seguire l’invito di papa Francesco e “spostarci dalla posizione centrale […] e dirigerci verso la zona periferica”…….”Stare in periferia aiuta a vedere e capire meglio, a fare un’analisi più corretta della realtà, rifuggendo dal centralismo e da approcci ideologici […] I grandi cambiamenti della storia si sono realizzati quando la realtà è stata vista non dal centro, ma dalla periferia”. 

Il quarto dossier nelle mani di Sergio Marchionne

L’acquisizione di Fiat dell’intero controllo di Chrysler ha rappresentato il passo necessario per assicurare ancora – al Lingotto – un futuro nel mercato globale dell’auto.  Su questo punto tutte le analisi sembrano convergere. Anche quelle di segno negativo. Non tutti, però, sono consapevoli che la Fiat Auto in Italia non esisterebbe più se, in questi anni, non ci fossero stati i successi (per nulla scontati) di Chrysler negli Usa e di Fiat Auto in Brasile. Così come, se non ci fosse stato l’accordo sindacale per la nuova fabbrica di Pomigliano, oggi nell’area napoletana – insieme alla Fiat – sarebbe scomparso l’intero distretto dell’automotive.

Può essere sempre utile risalire alle cause che hanno determinato il declino di aziende e marchi storici come l’Alfa Romeo. Che hanno portato – con la gestione Romiti – a un ruolo sempre più marginale del manifatturiero e della produzione di auto nelle politiche aziendali della famiglia Agnelli. Fino al rischio di implodere o essere comprata. Ma tutto ciò oggi è acqua passata. D’ora in poi – come ha scritto Antonio Vanuzzo su Linkiesta – “c’è da implementare un nuovo gruppo globale. La vera sfida si gioca qui”. Anche e, soprattutto, per i sindacati. 

Nel futuro del settore auto del Lingotto, ridisegnato lungo l’asse Torino – Detroit – São Paulo, ci sono tante variabili e un’unica certezza. Per continuare ad esistere come global player non ci si potrà fermare alla fusione di Fiat con Chrysler. Nel 2013 insieme hanno venduto 4 milioni e 423 mila auto e veicoli leggeri, con un aumento del 3,5% rispetto al 2012. Un volume ancora lontano dalla soglia minima di 6 milioni, indicata da Sergio Marchionne come condizione per potere sopravvivere nel mercato dell’auto su scala globale. Per farcela non si potrà restare in posizione marginale in Asia e Russia. Significa che nel futuro prossimo di Fiat-Chrysler dovranno esserci nuovi accordi industriali, commerciali e, finanche, societari con altri produttori.

E il sindacalismo tutto dovrà essere all’altezza di questa sfida nell’interesse dei lavoratori (tutti), recuperando l’asimmetria di poteri tra capitale e lavoro a causa del crescente peso della dimensione globale nelle politiche industriali di Fiat-Chrysler. Pensare che questa asimmetria si possa recuperare affidandosi agli Zanonato di turno è solo un “gioco degli specchi”. 

Nel mondo globalizzato i capitali, le tecnologie, i prodotti e i servizi, sono liberi di muoversi attraverso le frontiere, al contrario delle persone. Siamo di fronte a un “capitalismo itinerante” che impone le regole del gioco. Sono le imprese transnazionali, le grandi reti di logistica e distribuzione commerciale a determinare i flussi degli investimenti e i luoghi di produzione e lavoro. I Governi (compresi quelli “comunisti”) competono nell’offrire vantaggi agli investimenti delle imprese transnazionali. La stessa storia di successo di Fiat-Chrysler in America non ha potuto fare a meno dell’aiuto di Stato da parte dei Governi di Canada e Usa. Così come i nuovi stabilimenti di Fiat in Brasile e Serbia. Come ha scritto Barbara Spinelli, nell’articolo “La lezione americana sulla crisi dell’auto” pubblicato su Repubblica,  “[…] Obama ha «creduto» al progetto Fiat, e a un certo punto ha scavalcato gli spiriti animali del mercato (creditori, banche), incapaci di credere e digerire alcunché. […] solo il pubblico sa scommettere sul futuro senza pretendere l’immediato profitto cercato da cerchie sempre più ristrette di privati”.

Se all’incapacità (o non volontà) europea e italiana di attuare misure pubbliche finalizzate al futuro dell’industria dell’auto deve rispondere la politica; al “capitalismo itinerante” e alle sfide della competitività globale tocca, invece, rispondere ai sindacati. Con una visione transnazionale e un’azione sindacale di prossimità ai lavoratori che poggi saldamente i piedi nei pavimenti delle fabbriche, degli uffici e dei centri di ricerca. In questa prospettiva, anche le relazioni industriali, andranno ripensate spostandone il baricentro verso la dimensione internazionale e verso il livello aziendale o di distretto industriale locale. Se il mondo gira velocemente, non si può continuare a restare fermi! Sindacati e aziende devono avere il coraggio di cambiare insieme. Esattamente come si è fatto alla Chrysler….dove i sindacati Uaw e Caw sono stati pronti a cogliere la sfida dell’innovazione organizzativa e tecnologica. Senza mai porsi in via pregiudiziale contro la Fiat perché italiana. Anzi scommettendo su questa partnership. 

Adesso è venuto il momento – come ha detto Francesco Riccardi sull’Avvenire – di scrivere “una nuova pagina di partecipazione e cogestione” tra sindacati e azienda a livello globale. Senza più alibi, senza più pregiudizi”. La resistenza ai cambiamenti non è (purtroppo) un’esclusiva sindacale. In Fiat c’è ancora un’area delle prime linee di dirigenti (e di buona parte delle relazioni industriali) che guida con il freno a mano tirato. In un clima gerarchico-autoritario, ancora largamente presente nelle fabbriche italiane, non si sviluppa né l’innovazione, tantomeno il clima di partnership necessario per vincere le sfide della produttività, della qualità, del miglioramento continuo. Cioè le sfide vere della competitività, non riducibili solo al costo del lavoro, ma all’insieme dei fattori di costo (materie prime e componenti, energia, logistica ecc.) e di qualità. 

In questa prospettiva la nuova organizzazione del lavoro basata sul World Class Manufacturing (Wcm) e l’Ergo-Uas è ritenuta da Sergio Marchionne un tassello fondamentale per mantenere la produzione nei due paesi a costo del lavoro relativamente alto: Italia e Stati Uniti. Condizione indispensabile per rilocalizzare in questi paesi produzioni manifatturiere – a minor valore aggiunto – come nel caso della Panda a Pomigliano.

Il Wcm, evoluzione originale del modello della Lean production (o modello Toyota), si è iniziato ad applicare negli stabilimenti del Gruppo Fiat-Chrysler in Italia dal 2006. Il Wcm prevede il coinvolgimento diretto dei lavoratori nella definizione e implementazione del processo produttivo. Nella nuova fabbrica Fiat di Pomigliano – i lavoratori sono stati coinvolti sin dalla fase d’ideazione e progettazione. Gli operai hanno suggerito oltre sei mila idee di miglioramento. Nel rispetto dei principi del Wcm sono stati realizzati oltre ottocento progetti di miglioramento della logistica, della qualità, della sicurezza e dell’ambiente. E sono stati aperti 158 cantieri di manutenzione autonoma, manutenzione professionale e organizzazione della postazione di lavoro. La tanto vituperata fabbrica di Pomigliano, additata in diversi talk show televisivi come il paradigma della nuova schiavitù, non solo ha ricevuto nel 2013 la medaglia Gold del Wcm (che per gli ipercritici ne costituisce la certificazione), ma l’anno prima era stata giudicata la miglior fabbrica in Europa (su 700 impianti di produzione in 15 paesi). Infatti, grazie ai risultati ottenuti – non solo in termini di flessibilità e produttività – ma anche di elevata partecipazione dei lavoratori e crescita del consenso, ha ricevuto in Germania il premio “Automotive Lean Production 2012”. 

Il Wcm, per aver successo, presuppone il rispetto della persona e delle sue esigenze. E, per essere efficace, richiede notevoli investimenti nell’innovazione di processo, nell’ergonomia, nella gestione della logistica e nella formazione delle persone. L’obiettivo del miglioramento continuo di tutti i fattori della produzione ha bisogno, però, di una “governabilità” degli impianti. Significa che i lavoratori devono aderire al cambiamento organizzativo e i sindacati avere in comune con il management un atteggiamento cooperativo. In altre parole, vuol dire “partecipare attivamente alle attività di benchmarking collegate all’implementazione di tali programmi in tutti gli stabilimenti Fiat-Chrysler al fine di garantire valutazioni obiettive della performance e la corretta applicazione dei principi del Wcm e a contribuire attivamente al raggiungimento del piano industriale di lungo termine del Gruppo”. Impegno assunto esplicitamente dalla Uaw, anche nel recentissimo accordo tra Veba e Fiat, e presente nel contratto collettivo specifico di primo livello firmato tra azienda e sindacati in Italia e, in queste settimane, oggetto di rinnovo. 

E’ fondamentale, su questo terreno, vincere le reciproche incertezze del passato. Condividere le migliori pratiche sperimentate nei diversi siti produttivi. L’evoluzione dipenderà molto dal coraggio con cui Sergio Marchionne, oltre a gestire i tre dossier (piano industriale, modalità d’integrazione con Chrysler e quotazione a Wall Street), ne affronterà un quarto: il riconoscimento della rete sindacale globale Fiat-Chrysler come interlocutore.

Le sfide globali di Fiat-Chrysler e la sfida dell’eco-sostenibilità

Nei nuovi modelli auto prodotti da Chrysler negli Usa e in Canada (dalla Jeep Cherokee all’ultima nata la berlina Chrysler 200) c’è un codice genetico anche italiano, anzi globale come il suo costruttore. Dallo stile, alle piattaforme modulari sviluppate congiuntamente (come la piattaforma CuSw derivata dalla Giulietta), ai motori a minori consumi equipaggiati con tecnologia MultiAir 2. 

Specularmente si stanno predisponendo a Melfi le linee di assemblaggio per la prima Jeep costruita in Italia. Debutterà in marzo al Salone di Ginevra e sarà esportata in tutto il mondo. Per la «baby Jeep» (420 cm) si punta su bassi consumi e ridotte emissioni. Alcuni propulsori, i diesel in particolare, saranno prodotti a Termoli. Una vera Jeep “made in Italy”, ma con dna americano, anzi globale.

Sulla stessa piattaforma della «baby Jeep», ma con caratteristiche proprie, nascerà la Fiat 500X dopo il debutto al Salone di Parigi in autunno. 130mila le unità prodotte a Melfi, contro i 150mila della versione Usa. In Polonia dal 2015 sarà costruita la Fiat 500 a 5 porte, un piccolo crossover destinato ai mercati globali, realizzato sul pianale «mini» allargato e allungato. Anche la Panda avrà, probabilmente, una versione 4×4 più grande (un crossover del segmento B) destinata al mercato globale. 

E, infine, il rilancio del marchio Alfa Romeo nel mondo che, in sinergia con la Maserati, costituisce il perno su cui ruotano le speranze per il futuro degli stabilimenti di Mirafiori e Cassino e dell’industria dell’auto italiana.

Ma le sfide di Fiat-Chrysler non riguardano solo il lancio di nuovi modelli nel breve periodo. Entro il 2020 la flotta di ogni costruttore in Europa dovrà vincere anche la sfida dell’eco-sostenibilità. Significa che, mediamente, non potrà emettere più di 95 grammi di anidride carbonica a chilometro. La Fiat con il motore TwinAir a benzina è già pronta a vincere questa sfida, almeno per le auto di segmento piccolo e medio. Viceversa le vetture di segmento C e D, pur diminuendo le emissioni di CO2, non riusciranno a raggiungere l’obiettivo di 95 grammi a chilometro. Per questo motivo per compensare i livelli più alti di emissione del segmento “lusso” su cui si vuole riposizionare la Fiat-Chrysler in Europa, bisogna abbassare l’asticella delle “piccole” sotto i 90 grammi. 

E, contrariamente da quanto dichiarato dal coordinatore nazionale Fiom su un presunto ritardo di Fiat-Chrysler sui motori ibridi ed elettrici, il Gruppo è ben posizionato nell’evoluzione dei propulsori tradizionali a benzina e turbo-diesel, nell’impiego di nuovi combustibili (metano e biomasse), nello sfruttare al meglio l’elettronica e le trasmissioni, oltre che sviluppare l’ibrido attraverso l’abbinamento di motori elettrici e termici. La Fiat 500 equipaggiata con motore elettrico è già venduta in California, in Brasile e in altri mercati americani. Con molte criticità, non tanto dovute al possesso della tecnologia, quanto ai costi e alle condizioni di mercato.

Sull’evoluzione dei motori a benzina, i ricercatori Fiat insieme con quelli Chrysler, hanno portato in America il Fire Turbo MultiAir. Ciò ha consentito, ad esempio, alla Dodge Dart di raggiungere un notevole risultato di riduzione consumi. Più di 40 miglia per gallone, un best in class negli Stati Uniti.

Sull’impiego di nuovi combustibili il motore TwinAir Turbo a metano, che equipaggia la Panda Natural Power, è stato premiato in Europa come “Best Green Engine of the Year 2013”. Il metano ha un ruolo strategico, nel settore dei trasporti, per la diffusione delle fonti rinnovabili. Infatti, questo carburante può essere considerato la tecnologia ponte per lo sviluppo di una soluzione ancora più ecologicamente sostenibile: il biometano. Il biometano è un gas di origine non fossile, prodotto tramite digestione anaerobica e purificato per giungere a una composizione analoga a quella prevista per il gas naturale. In particolare, in un’ottica “well to wheel” – ovvero delle emissioni generate durante il ciclo di produzione, trasporto, immagazzinamento e utilizzo dal pozzo alla ruota – un veicolo alimentato a biometano produce emissioni di CO2 paragonabili a quelle di un veicolo alimentato con energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili.

Dunque, questo carburante potrà aiutare l’Italia a ottemperare alla Direttiva 2009/28/EC sulle Fonti Rinnovabili, che prevede l’obbligo di raggiungere il target del 10 per cento nel settore trasporti nell’ambito degli obiettivi del 20 per cento di Fonti Rinnovabili di energia entro il 2020. 

Da oltre quindici anni il Gruppo Fiat è il principale produttore europeo di veicoli di primo impianto a metano (OEM), l’unico a offrire la più ampia gamma eco-friendly con alimentazione bi-fuel (metano/benzina) che soddisfa le esigenze di una vasta categoria di clienti, compreso il settore professionale del trasporto merci: dal 1997 Fiat ha venduto oltre 560 mila tra vetture e veicoli commerciali Natural Power. Non è casuale che il programma “Metano” di Fiat è stato insignito del premio internazionale “Ecobest 2013”, poiché ritenuta la soluzione più semplice, economica e con il più basso impatto ambientale tra i combustibili oggi disponibili.

Sul fronte dei combustibili alternativi la propulsione a metano risulta in questo momento la scelta tecnologica più appropriata per contribuire a ridurre l’inquinamento nelle aree urbane e contenere le emissioni di CO2. I propulsori alimentati a metano riducono al minimo le emissioni più nocive come il particolato (ridotto in pratica a zero), gli ossidi di azoto e gli idrocarburi più reattivi che causano la formazione di altri inquinanti. Inoltre, rispetto al funzionamento a benzina, evidenziano una riduzione di CO2del 23 per cento. Il metano è, pertanto, il carburante più “pulito” ed economico oggi disponibile oltre a essere potenzialmente una fonte rinnovabile grazie allo sviluppo del biometano.

La gamma “Natural Power” costituisce oggi uno dei pilastri principali della strategia di tutela ambientale di Fiat, una strategia che ha portato a una leadership europea indiscussa. Infatti, per il sesto anno consecutivo, Fiat si è confermato nel 2012 il brand che ha registrato il livello più basso di emissioni di CO2 in Europa tra i marchi automobilistici più venduti, con un valore medio di 119,8 g/km. Non solo: negli ultimi cinque anni Fiat ha ridotto le proprie emissioni medie del 13 per cento andando molto oltre rispetto al target medio di 130 g/km previsto dall’Unione Europea per il 2015. 

In un mercato dell’auto essenzialmente di sostituzione come quello europeo, destinato a non crescere nel numero d’immatricolazioni, la sfida di Fiat-Chrysler agli altri produttori si giocherà sull’alta gamma, ma anche e soprattutto sull’eco-sostenibilità energetica delle auto prodotte e sulla riduzione dell’impronta ecologica lungo tutto l’arco di vita del prodotto: dalla produzione al riciclo.

 (*) Responsabile Internazionale FIM CISL Nazionale

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