L’avvio della campagna per le elezioni del Parlamento Europeo del 25 maggio è tutt’altro che confortante. La scena è per ora largamente occupata dal fronte degli euroscettici che, per quanto variegato nelle motivazioni e nelle argomentazioni – alcune francamente risibili anche se purtroppo di facile consumo mediatico- converge nel rimettere in discussione non solo l’Euro ma anche nel minare, in buona sostanza, le ragioni stesse dell’integrazione europea
L’unica buona idea di cui gli europei siano stati capaci nell’ultimo mezzo secolo, come si disse a suo tempo, si trova così ad affrontare il passaggio forse più difficile della sua storia.
Per superarlo occorre che l’Unione Europea ritrovi la legittimità perduta agli occhi dei cittadini certo troppo facilmente immemori dei successi del passato che pure ci sono stati – valga per tutti in ordine di tempo la riunificazione pacifica del continente dopo la caduta del muro di Berlino- ma giustamente critici (e ciò è particolarmente vero per il mondo del lavoro) delle politiche messe in atto dall’Unione per fronteggiare le ricadute della crisi economica internazionale
La prima cosa da fare è quindi l’abbandono di quella austerità curiosamente definitiva ”espansiva” che ha prodotto un forte aumento della disoccupazione, la crescita della povertà e delle diseguaglianze sociali specie nei paesi del sud ed un aggravamento della divaricazione tra questi e i paesi del nord dell’Europa. Tutto il contrario di quanto sarebbe stato necessario fare pur nel quadro di un risanamento e del necessario equilibrio delle finanze pubbliche.
Ma al di là di questo radicale cambiamento di indirizzo della politica macro-economica europea che anche la Confederazione Europea dei Sindacati è tornata di recente a chiedere proponendo, con il sostegno di una grande euromanifestazione a Bruxelles, un piano straordinario di investimenti per la crescita e l’occupazione, la vera questione sul tappeto è il completamento della stessa Unione Economica e Monetaria rimasta a metà del guado.
Basta rileggere il rapporto Delors che ne costituisce il fondamento e il suo successivo libro bianco del 1993 su “crescita,competitività e occupazione“, considerato dai governi un brillane esercizio intellettuale ma non un programma d’azione, per rendersi conto di quanto cammino resti da fare perché l’Unione Europea si doti degli strumenti e dei poteri necessari – un vero “governo” economico comune, si diceva in passato- così da diventare motore di un nuovo disegno di sviluppo e di maggiore e migliore occupazione, a cui rendere funzionali anche l’Euro e la Banca centrale..
Insomma, la via d’uscita dall’impasse attuale consiste nell’andare avanti nel processo di integrazione traendone tutte le conseguenze anche per quanto riguarda la dimensione politico-istituzionale da realizzare inevitabilmente in forme federali, e non certo nell’indulgere in nostalgie e ripiegamenti nazionalistici, del tutto anacronistici e perdenti nel mondo globalizzato in cui è evidente che l’Europa solo se unita potrà farsi valere
La campagna elettorale per il Parlamento di Strasburgo deve essere l’occasione per ricuperare la fiducia e il consenso dei cittadini e del mondo del lavoro in particolare, nel progetto europeo e per sostenere quelle forze politiche che più convintamente operano non solo per “più Europa” ma anche per un’Unione che, abbandonate le ricette neo-liberiste degli ultimi tempi, ritrovi e rilanci il suo originale “modello sociale”di sviluppo.
(*) Politico PD, già Segretario della Confederazione Europea Sindacati