Nel nostro Paese ogni analisi di merito sembra condannata a pagare dazio ad una congenita idiosincrasia rispetto ai fatti: una sorta di impermeabilità nei confronti della realtà pari solo al desiderio di dire la propria nelle polemiche di maggior richiamo del momento, meglio se per tirare acqua al proprio mulino. Secondo questa consuetudine da un po’ di tempo si è affermata la critica – meglio dire la demolizione – della Youth Guarantee nella sua attuale configurazione.
Il fallimento di questa misura è in effetti sotto gli occhi di tutti e testimonia, ai vari livelli, l’inadeguatezza di un “non-sistema Paese” nel quale sono distribuite equamente responsabilità, colpe ed omissioni in una evidente, ed ora certificata, incapacità di mettere in campo politiche del lavoro moderne.
Proviamo a fare una rapida carrellata nella prospettiva delle Agenzie per il lavoro ricordando preliminarmente che la Garanzia Giovani “italiana” non è indirizzata agli obiettivi concordati originariamente in sede europea, nel momento in cui ha incluso tra i beneficiari anche i giovani da 26 a 29 anni. Oltre a raddoppiare il numero dei potenziali utenti si è quindi mutato il segno della misura trasformandola in un piano per l’occupazione giovanile – un grande piano dotato di circa 1 miliardo e 500 milioni – chiamato a misurarsi con l’inserimento lavorativo e non più prioritariamente con il recupero dei giovani ai percorsi formativi.
Un cambio di rotta che avrebbe richiesto uno sforzo eccezionale rimasto sulla carta.
Oggi gli iscritti sono in prevalenza laureati e diplomati (giustamente alla ricerca del lavoro) ed è assai scarsa la presenza della popolazione NEET, obiettivo primario della misura europea, il tutto in un contesto di risorse economiche scarse: visto che gli iscritti a Garanzia Giovani si avvicinano a 300.000, il miliardo e mezzo di euro stanziato appare appena sufficiente per i costi dei servizi dei bonus e degli incentivi relativi. Se per ipotesi si raggiungessero tutti i 2.500.000 NEET previsti in origine si sarebbe costretti a registrarne l’iscrizione, rimandando qualunque proposta a tempi migliori.
In questo scenario, dalla data ufficiale di avvio del 1° maggio 2014 ad oggi molto poco è accaduto in termini di servizi realizzati e di risultati ottenuti e gli ostacoli che hanno frenato l’operatività di Garanzia Giovani discendono in primo luogo dalla mancata linearità dei processi decisionali, generata da una infelice e inefficiente distribuzione delle competenze tra Stato e Regioni.
Una seconda (ma insuperabile) area di difficoltà è venuta poi dalla cultura delle tecnocrazie (ministeriali e regionali) portate in larga misura (anche se con virtuose ma rare eccezioni) a ragionare ancora in termini di government (comando-controllo) piuttosto che di governance (sviluppo della cooperazione delle reti e delle sinergie), ad applicare schemi amministrativisti di stampo ottocentesco invece che guardare ai processi operativi imposti dalla realtà del mercato del lavoro, a dare vita a modelli teorici piuttosto che puntare ai risultati da portare a casa misurando le performance degli operatori (in luogo dell’ampiezza delle scrivanie o la metratura delle aule degli operatori).
Sarebbe utile ricordare che in un programma mirato all’occupazione i tempi da rispettare sono innanzitutto quelli della domanda espressa dalle imprese (sovente mutevole e discontinua) e non certo quelli delle procedure amministrative. Quanto più tempo trascorre tra la segnalazione di un’opportunità di inserimento (tirocinio o lavoro) presso una impresa e l’invio del candidato, tanto più cresce il rischio dell’allontanamento dell’impresa stessa.
In terzo luogo è certamente un’anomalia – un diritto legittimo ma decisamente disfunzionale sul piano operativo – che ogni Regione costruisca un proprio quadro differente dei requisiti per l’accreditamento delle Agenzie per il lavoro, modificando i profili professionali da impiegare, i requisiti dei locali, le certificazioni da esibire. Per non parlare del fatto che spesso questi requisiti vengono in gran parte mutuati da quelli richiesti alla formazione professionale (che svolge altri servizi e in contesti organizzativi del tutto differenti) dimostrando una totale ignoranza su quali sono le attività che devono essere erogate.
Senza ovviamente trascurare l’incapacità di molte piattaforme informatiche di gestire i dati richiesti: mesi persi.
Quarta questione, in parte figlia delle precedenti, è la totale assenza di realismo nel “disegno” di alcune misure e la mancata conoscenza delle attuali dinamiche del mercato del lavoro (rectius: dei mercati del lavoro). Anche se tutti puntiamo a generare contratti di lavoro a tempo indeterminato sappiamo che il mercato attuale assorbe, a fatica, contratti brevi. Le Agenzie, in particolare, hanno la capacità di portare al lavoro in somministrazione con contratti anche brevi a cui seguono proroghe senza soluzione di continuità presso la medesima impresa, riconosciute dalla Comunicazione Obbligatoria come “contratto unico”.
Stiamo parlando, mediamente, di 450.000 contratti di lavoro in somministrazione l’anno.
Nonostante ciò il contratto in somministrazione è stato prima inserito poi tolto poi dopo mesi nuovamente inserito nella rosa dei contratti validi come esito di Garanzia Giovani: scarsa conoscenza di questo istituto o del mercato del lavoro?
Se l’obiettivo di Garanzia Giovani è quello di avviare all’occupazione un giovane che da solo non trova lavoro, sarebbe opportuno considerare un buon risultato i contratti di qualunque durata, purché aiutino a fare esperienza e diano autonomia economica; meglio un contratto breve che un tirocinio, da questo punto di vista. Ma c’è un metro di valutazione facile: se un contratto aiuta ad accumulare contribuzione che dà diritto all’ASPI perché non deve venire valutato positivamente?
Andrebbe superato il vincolo rigido dei 6 mesi di durata con una flessibilità mentale coerente con la flessibilità che il mercato richiede: “Vaste programme” direbbe in questo caso, non senza ragione, il Generale De Gaulle.
Veniamo alla quinta questione: l’instabilità del quadro normativo. In questa confusione alcune Regioni hanno continuato ad escludere la somministrazione dai contratti “validi” ai fini della YG anche dopo il reinserimento ufficiale da parte del Ministero negando, in questo modo, una opportunità ai giovani. Il dato di fatto è che nella situazione di incertezza, le imprese hanno preferito assumere in somministrazione fuori da Garanzia Giovani, altri candidati non sostenuti da incentivi e servizi di accompagnamento.
Le Agenzie aspettano fiduciose gli eventi ricordando che nel 1996 ci volle una minacciata procedura di infrazione della UE per portare in Italia un contratto di lavoro riconosciuto da tempo in tutta Europa.
Sesto punto: non appare per nulla considerata né governata la concorrenza tra i diversi incentivi all’assunzione che sovente si “cannibalizzano” tra loro. Accade in molte Regioni, in particolare al Sud, che gli incentivi siano assai più convenienti di quelli che può assegnare Garanzia Giovani. L’ovvio risultato è l’uscita del giovane dal programma per favorire l’impresa che può godere così di un maggior beneficio. Anche qui, se tutte le misure che possono favorire l’occupazione giovanile, venissero almeno monitorate in un quadro unico ci troveremmo di fronte a risultati più cospicui.
Settima questione: pesano i ritardi delle Regioni nella emanazione degli avvisi operativi sulle diverse linee di servizio e in relazione agli esiti previsti. In molti casi i CPI convocano i giovani per rispettare formalmente il termine dei 60 giorni dall’iscrizione concordati a livello nazionale, ma poi sono costretti a rimandare il piano di attività a dopo l’uscita degli avvisi. Hanno pesato su questo punto, per converso, anche i ritardi nella definizione dei tempi di finanziamento e negli accordi con l’INPS.
Ottava ed ultima questione: i punti richiamati riguardano le Regioni che si sono attivate sulla YG. Va ricordato che vi sono anche Regioni dove Garanzia Giovani non ha mai nemmeno avuto inizio.
Sarà pur vero che i giovani possono iscriversi fuori Regione, ma questa non appare certo la soluzione più efficiente ed equa. Anche perché accade che molti giovani, legittimamente iscritti a Garanzia Giovani in una Regione diversa da quella di domicilio rinuncino al primo colloquio se questo non è immediatamente seguito dalla proposta e dai servizi. L’Italia è lunga e il costo del viaggio è troppo alto solo per incontrare un CPI e sostanzialmente consolidare i dati già inseriti all’atto della iscrizione on line, rimandando ad un secondo momento proposta e servizi che chissà quando verranno.
A sei mesi dal 1° di maggio sarebbe forse ora di avviare gli interventi sostitutivi / sussidiari dello Stato nelle Regioni che non sono state in grado di avviare Garanzia Giovani.
In conclusione, se si mettesse mano alle questioni richiamate, i risultati sarebbero indubbiamente migliori, il coinvolgimento delle Agenzie ne uscirebbe rafforzato e con esso il livello di efficacia delle misure e di efficienza di tutto il sistema.
Appare evidente che tutte le correzioni che si potranno apportare non consentiranno comunque la costituzione di una unica modalità di realizzazione di Garanzia Giovani in quanto la misura, entro una cornice nazionale, è comunque nata, nella dialettica Stato-Regioni, come programma pesantemente differenziato a livello territoriale.
Ebbene anche questa debolezza, ormai intrinseca a Costituzione vigente, potrebbe essere sfruttata se il monitoraggio nazionale mettesse in correlazione i risultati che si stanno ottenendo in ogni Regione con i differenti modelli operativi e procedurali applicati. Il monitoraggio, se più articolato e completo di quanto non sia ora, permetterebbe di valutare quali sono le condizioni che favoriscono i risultati migliori.
Perfino questo inizio incerto e confuso di Garanzia Giovani può fornire elementi utili per la prossime politiche per l‘occupazione (non solo giovanile) nel quadro dei fondi strutturali 2014 – 2020 a condizione però di essere capaci di ripartire dai nostri errori: se così non fosse prepariamoci da subito, novelli Sisifo, a ripeterli in futuro su scala, se possibile, ancora maggiore.
(*) Direttore di Assolavoro