Se Gioacchino Murat, re di Napoli, nel 1809, non avesse fatto edificare una sopraelevata ‒ lo storico Corso Napoleone ‒ che potesse collegare più agevolmente via Toledo, centro della città, con la Reggia di Capodimonte, dimora reale costruita a metà ʼ700 da Carlo III di Borbone, il destino del Rione Sanità forse sarebbe stato un altro.
Il mastodontico ponte, infatti, bypassando il quartiere, finì per sovrastarlo, confinarlo e ridurlo a una sorta di sottosuolo a cielo aperto: una specie di banlieue collocata nel cuore di Napoli, un sobborgo popolosissimo tagliato fuori dalla vita della città, che da allora continua a guardare – e non solo fisicamente – il Rione dall’alto, come se fosse qualcosa a sé stante, separato dal resto.
Il ponte della Sanità ha condizionato l’identità e la vita di questa porzione del popolo napoletano, ripiegato in una routine quotidiana precaria e sofferente che la cattiva politica e la criminalità organizzata ‒ spesso colluse ‒ hanno cinicamente tenuto in vita e usato per farne terreno di conquista, l’una di voti e l’altra di manovalanza.
Eppure, il Rione Sanità può vantare un ricchissimo patrimonio di beni storico-artistici e culturali, in quanto sede fin dal IV secolo a.C. della necropoli della Neapolis greca e, successivamente, delle catacombe paleocristiane (San Gaudioso, San Severo, San Gennaro), nonché luogo di insediamento di conventi e chiese, tra le quali spicca la basilica di Santa Maria della Sanità, gioiello barocco di inizio ʼ600 disegnato dall’architetto Fra Giuseppe Nuvolo. A causa del suo abbandono, tale patrimonio è rimasto una risorsa solo potenziale del Rione, che invece è diventato tristemente noto per il suo degrado ed è stato rappresentato dai media, spesso a senso unico, solo come un perimetro invivibile, inavvicinabile, in cui la criminalità organizzata e l’illegalità la fanno da padroni e dettano le regole della convivenza.
Anche Eduardo De Filippo, grande drammaturgo napoletano, quando nel 1960 mise in scena Il sindaco del Rione Sanità dovette fare i conti con questo stereotipo presente in parte della critica che volle vedere nell’ambiguo e controverso personaggio chiave dell’opera, Antonio Barracano, detto il «sindaco» per il ruolo di potente mediatore di conflitti che svolgeva nel quartiere, un boss della camorra, forse solo perché la commedia è ambientata nel Rione Sanità 1.
Questo piano culturale inclinato, con l’esplodere, dagli anni ʼ80 in avanti, delle guerre tra i clan camorristici della zona ‒ i Misso, i Pirozzi, i Torino, i Tolomelli ecc.‒, ha finito per cristallizzare definitivamente nell’opinione pubblica un’immagine totalmente negativa del Rione, diventata un marchio omologante.
Noi del Rione Sanità, il pregevole libro scritto dal parroco del quartiere, padre Antonio Loffredo, e uscito per i tipi di Mondadori 2, intende innanzitutto rigettare questo stigma che il Rione Sanità e la sua popolazione si portano addosso. C’è voglia di riappropriarsi di un’identità positiva e, come scrive padre Loffredo, di «recuperare la regìa della propria sorte» 3. Ciò è possibile se ciascuno riconosce, valorizza e mette al lavoro i talenti individuali e con il recupero del capitale già disponibile (storia, cultura, arte ecc.): risorse capaci di germinare una responsabilità nella cura di sé, degli altri, dell’ambiente, e dare vita a un legame generativo di valore, sociale ed economico.
Di questo aveva bisogno il Rione Sanità: di una rottura dello schema culturale che tiene ancora in scacco il Mezzogiorno, corrotto e corroso dall’egoismo sociale, dal familismo, dallo scambio politico, dall’assistenzialismo. Un’impresa – in tutti i sensi ‒ che padre Antonio ha immaginato non solo per passà ‘a nuttata 4, ma per modificare in radice il paradigma dello sviluppo economico, urbanistico, sociale, ambientale di un quartiere nel quale «la cultura sposa la miseria, la storia blandisce la disperazione, la speranza trascolora nella rassegnazione» 5. Con lo sguardo della fede, padre Antonio continua a ripetere che bisogna opporre «l’Imprevedibile all’inevitabile».
È arrivato alla Sanità nel 2001, nominato parroco di un’unità pastorale estesa fatta di quattro parrocchie. Da allora, padre Loffredo di strada con i suoi ragazzi ne ha fatta tanta, trasfigurando con i fatti il volto della sua comunità, ora capace di sperare in un destino diverso.
Nella «Valle delle tombe», non tutto ciò che il degrado e la nequizia dell’uomo hanno sommerso è andato perduto e, oggi, alla Sanità c’è chi è impegnato a ridargli un senso e un’anima: «Dimenticati e sepolti vivi, i tanti tesori di umanità e di arte sono rimasti sospesi in assopita attesa di reintegrazione. Alcuni hanno subìto i danni di tanto abbandono e da quel sonno non si sono più risvegliati. Qualcosa si è rotto per sempre e non può più essere riparato. La maggior parte, però, pulsa e freme, anelando di venire alla luce e che quella luce diventi sempre più forte» 6.
Tra questi tesori ci sono le nuove generazioni, che per capire le loro potenzialità costruttive hanno bisogno di prendere le distanze dall’imprinting degli adulti. Padre Antonio ha spinto i ragazzi della parrocchia a viaggiare e a formarsi all’estero, a visitare le grandi capitali europee, a conoscere altri stili di vita, per depotenziare il condizionamento culturale d’origine, che spesso è un’ipoteca del mondo adulto sul futuro dei giovani che vuol dire, in quei luoghi, potere essere risucchiati nel mondo criminale.
Se, come dice Steinbeck, «le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone» 7, l’idea di superare i confini del Rione, confrontarsi con altre culture, ha dato i suoi frutti, perché i giovani della Sanità, «stimolati da tante esperienze meravigliose, hanno poi scoperto i libri, nutrito nuove ambizioni, coltivato progetti e una crescente voglia di istruirsi ulteriormente per cambiare il proprio futuro e far prendere al Rione e alla sua gente una nuova strada, del tutto diversa da come era sempre stata» 8.
Dal 2001 a oggi è stato un crescendo di progetti e pratiche nati dal basso, modellati sui talenti individuali e sui nuovi bisogni sociali, supportati dalle risorse storico-artistiche del Rione e dalle competenze professionali (di economisti, urbanisti, imprenditori, intellettuali), sostenuti da alcune fondazioni ‒ «L’Altranapoli – Onlus», «Fondazione per il Sud», «Clinton Foundation» ecc.‒, dall’Arcidiocesi di Napoli, dalla Pontificia Commissione di Archeologia Sacrae da privati che hanno dato credito a questa grande sfida.
Tale rete di progetti, saperi e sostegni finanziari ha generato opportunità di lavoro, malgrado l’inerzia della burocrazia e delle istituzioni, la povertà cronica di infrastrutture del quartiere e la resistenza di una logica assistenzialistica. Spesso il lavoro c’è, anche nel Mezzogiorno, e nasce con i nuovi bisogni di cura della persona e di salvaguardia dei beni comuni; in molti casi, tuttavia, più che i mezzi finanziari scarseggiano le capacità di fare impresa e di incanalare le risorse nei giusti binari progettuali e organizzativi. In questa direzione si sono mossi padre Antonio e i suoi ragazzi, studiando e costruendo legami, industriandosi nel pensare e proporre beni e servizi che hanno aperto nuovi mercati: l’offerta ha influenzato la domanda e generato valore.
Responsabilità, cooperazione, fiducia, sono gli ingredienti di un modello economico sul quale l’Italia storicamente ha costruito la propria ricchezza e che, proprio da Napoli, nel 1700, ha avuto un impulso straordinario grazie all’apporto del pensiero sull’economia civile dell’abate Antonio Genovesi, il quale – come ricorda ripetutamente l’economista Luigino Bruni 9 ‒ affermava che lo scopo ultimo dell’economia non è la ricchezza, ma la felicità pubblica 10.
Una bussola che ha guidato anche la realizzazione del microcosmo economico nato nel Rione Sanità, fatto oggi di piccole imprese cooperative che lavorano in rete. Cacciato dal ponte di Murat nel «sottosuolo», dal sottosuolo è ripartito il rinascimento del Rione Sanità, con la riapertura al pubblico delle Catacombe e di altri tesori sommersi. Nel 2008 è nata la cooperativa «La Paranza», che conduce i visitatori alla basilica di S. Gennaro Fuori le Mura e alle Catacombe, dove inizia l’antico itinerario religioso, denominato il «Miglio Sacro», che si conclude alla Cappella del tesoro di S. Gennaro, in Duomo, attraversando una parte del centro storico di Napoli.
Attorno a quest’attività sono sorti dei laboratori artigianali come la cooperativa «Iron Angels» che lavora materiali poveri (rame, ottone, ferro) e «l’Officina dei Talenti» che cura l’impianto d’illuminazione delle Catacombe. Mentre i locali dell’antico convento attiguo alla basilica di Santa Maria della Sanità sono diventati un Bed & Breakfast, «La casa del Monacone», che evoca l’appellativo dato dal popolo al monaco domenicano san Vincenzo Ferrer, veneratissimo dagli abitanti.
Accanto alle cooperative di produzione e lavoro, hanno visto la luce anche opere più squisitamente sociali e educative come «La casa dei Cristallini», che cura con esperti e volontari l’accoglienza e la formazione di ragazzi che hanno abbandonato precocemente la scuola e che vivono in famiglie disagiate.
Di rilievo sono anche le attività teatrali, organizzate dall’associazione «Sotto ‘o ponte», e quelle musicali, con la creazione dell’orchestra giovanile «Sanitansamble», che s’ispira al metodo del maestro venezuelano, José Antonio Abreu 11. Sotto la guida di professionisti, la pratica del teatro e della musica entra a pieno titolo nei percorsi educativi: per arricchire la persona e favorire l’integrazione, aprendo anche strade per l’inserimento al lavoro. Ma altri progetti sono già in cantiere.
Il Rione Sanità, grazie al traino della parrocchia, e al concorso generoso di molti, in particolare dei giovani e delle donne del quartiere, è oggi in piena attività per liberare una comunità rimasta prigioniera per anni della camorra e dell’illegalità ma, soprattutto, della scarsa fiducia in sé e del marchio che l’ha contrassegnata.
Così sognava il cambiamento del Rione un altro parroco della Sanità, padre Giuseppe Rassello, morto troppo giovane, trafitto e messo fuori gioco da un’accusa inconcepibile, inverosimile per chi lo conosceva. Per anni padre Peppe ‒ com’era familiarmente chiamato ‒ aveva combattuto coraggiosamente i mali profondi del quartiere e chi da essi ne traeva profitto; e credeva fortemente che la rinascita del Rione Sanità passasse attraverso il recupero del suo ricco giacimento di storia, arte e cultura.
Padre Antonio Loffredo, che con i figli del Rione Sanità ha raccolto e tradotto in opere questa feconda eredità, scrive che padre Peppe «ha gettato le fondamenta per costruire la rinascita della Sanità, ha seminato la certezza del riscatto che oggi finalmente inizia a fiorire, ha indicato la via che tuttora percorriamo e che conduce i nostri passi nella direzione giusta perché il destino di questa gente si risolva e si compia. L’imponderabile, tuttavia, ha strappato questo buon padre ai suoi figli, lasciandoli orfani e randagi, bisognosi di tenerezza e stabilità affettiva più di ogni altra cosa»12.
1- E. De Filippo, Il sindaco del Rione Sanità,commedia in tre atti, scritta e interpretata dall’autore nel 1960, inserita nella raccolta Cantata dei giorni dispari, per la quale si rimanda a Teatro, vol. 3°, Cantata dei giorni dispari, tomo secondo, Mondadori, Milano 2007.
2 – A. Loffredo, Noi del Rione Sanità. La scommessa di un parroco e dei suoi ragazzi, Mondadori, Milano 2013.
3 – Ibid., p.18
4 – Si fa riferimento alla frase, diventata celebre, che chiude la commedia teatrale Napoli milionaria!, scritta e interpretata da Eduardo De Filippo nel 1945 e inserita nella raccolta Cantata dei giorni dispari, per la quale si rimanda a Teatro, vol. 2°, Cantata dei giorni dispari, tomo primo, Mondadori, Milano 2005.
5 – A. Loffredo, Noi del Rione Sanità. La scommessa di un parroco e dei suoi ragazzi, cit., p. 10
6 – Ibid., p. 11
7 – J. Steinbeck, Travels with Charley: In Search of America , in «Holiday Magazine», The Curtis Publishing Co., Philadelphia 1962, trad. it., Viaggio con Charley, BUR, Milano 2005.
8 – A. Loffredo, Noi del Rione Sanità. La scommessa di un parroco e dei suoi ragazzi, cit., p. 19
9 – L. Bruni, Le prime radici. La via italiana alla cooperazione e al mercato, Il Margine, Trento 2012
10 – Cfr. A. Genovesi, Delle lezioni di commercio o sia d’economia civile da leggersi nella cattedra Interiana, Fratelli Simone, Napoli 1765.
11 – Si fa riferimento a J.A. Abreu, musicista, attivista, politico, educatore e accademico venezuelano, fondatore di «El Sistema», una fondazione per la promozione sociale dell’infanzia e della gioventù attraverso un percorso innovativo di didattica musicale.
12 – A. Loffredo, Noi del Rione Sanità. La scommessa di un parroco e dei suoi ragazzi, cit., p. 12