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Un esperienza contrattuale da potenziare

Valori del welfare aziendale e territoriale.

Le ragioni sono molteplici e riguardano sia la convenienza economica, per entrambe le parti, delle misure di welfare rispetto ai contenuti retributivi dei contratti, sia l’impatto anche indiretto di una strategia aziendale orientata al welfare integrativo sulla qualità dei rapporti di lavoro e della gestione aziendale.

Il primo aspetto è esaminato specificamente nel Capitolo IV, ove si indicano le misure fiscali e contributive previste dal nostro Ordinamento a favore delle misure di welfare, che le rendono meno costose per l’azienda e più utili per i lavoratori rispetto a incrementi retributivi di eguale dimensione. 

Queste misure di agevolazione sono giustificate sul piano sostanziale dall’apprezzamento del nostro Ordinamento per la funzione sociale e in senso lato pubblica del welfare integrativo. Tale apprezzamento deve ritenersi strutturale e destinato a consolidarsi per i motivi sopra ricordati riguardanti il crescente rilievo dei vari istituti integrativi rispetto a quelli del welfare pubblico di base. Per altro verso il favore dell’Ordinamento è destinato a trovare sempre più vasta accoglienza da imprese e lavoratori, sia perché le risorse economiche sono destinate a essere limitate, se non decrescenti, sia perché diventa urgente sostenere il potere reale d’acquisto del lavoratore in cui i servizi sono destinati ad acquisire peso crescente.

Sul piano giuridico le misure di agevolazione si giustificano in base al principio, ormai riconosciuto in sede giurisprudenziale, che il welfare aziendale è istituto diverso dalla retribuzione, anche di quella con funzione previdenziale (vedi Capitolo III).

In secondo luogo le misure di welfare integrativo, aziendale in specie, possono influire positivamente sulla gestione delle risorse umane e sui rapporti individuali e collettivi di lavoro in diverse direzioni anch’esse comprovate da molti casi di successo. Possono arricchire i contenuti all’area dei servizi e del benessere, rendendo la contrattazione più attrattiva per i lavoratori, compresi quelli (giovani e donne) meno interessati ai temi tradizionali. Più in generale possono favorire forme partecipative, con la conseguenza di orientare in modo positivo i rapporti fra le Parti sociali, finora troppo appesantiti da conflittualità e ideologie fra le associazioni sindacali e degli imprenditori locali, coinvolgendo se del caso anche gli enti locali (ad esempio per i servizi di cura). Lo sviluppo di una contrattazione partecipativa su questi temi può agevolare l’alleggerimento dei contenuti del contratto nazionale che ne riduca le rigidità e lo valorizzi come quadro di regole generali entro cui i rapporti in azienda possano svolgersi più liberamente.

I casi di successo registrati dalle esperienze di grandi aziende riportati nel volume, possono rappresentare la base per una diffusione delle iniziative di welfare, anche in aziende medio/piccole, che costituiscono la gran parte della nostra economia, nell’industria e nei servizi. L’obiettivo non può essere perseguito con iniziative delle singole imprese ma richiede un’azione di rete sul territorio. Questo percorso è già avviato in alcune realtà territoriali (mi riferisco ad esempio alle zone di Treviso, Como, Bologna, Pordenone) ove le associazioni imprenditoriali con i sindacati locali hanno elaborato schemi di pacchetti di welfare adatti alle piccole aziende, e hanno offerto assistenza per la loro fattibilità e per la gestione in comune fra le imprese della rete. 

Questi pacchetti sono di solito inseriti in progetti mirati più in generale allo sviluppo del territorio e quindi sostenuti dall’intervento delle istituzioni locali, tramite servizi di formazione e di assistenza, oltre che tramite politiche dello sviluppo.

Welfare e RSI

Per altro verso lo sviluppo delle esperienze di welfare integrativo ha rilevanza anche per la concezione e per le funzioni dell’impresa. In particolare è uno degli indicatori più concreti della sua responsabilità sociale. 

I richiami sempre più diffusi a una necessaria responsabilità non solo economica, ma anche sociale dell’impresa hanno ragioni profonde. Servono non solo a riequilibrare a fronte dell’origine pubblica, la sua immagine offuscata spesso da squilibri e criticità di gestione, oltre che dalla crisi generale, ma anche a rafforzare la legittimità e il valore dell’azione imprenditoriale nei confronti sia degli azionisti, sia del più vasto ambito degli stakeholders.

I contenuti della RSI peraltro non possono rimanere generici se si vuole evitare che la formula appaia o sia utilizzata come semplice tecnica di marketing, strumentalizzando i richiami alla socialità. Le diverse misure di welfare possono offrire opportunità concrete, in quanto dirette a soddisfare bisogni emergenti dei lavoratori che vanno oltre i confini tradizionali dello scambio contrattuale e attengono al loro benessere e sviluppo umano. Tali opportunità sono tanto più apprezzabili e verificabili in quanto costruite e gestite in modo partecipato fra aziende e lavoratori.

Nello stesso modo una responsabilità aziendale così configurata è utile a tutti gli stakeholders in quanto accresce risorse immateriali, come la lealtà e la collaborazione attive dei dipendenti, preziose per una crescita durevole dell’azienda, e quindi per valorizzare il contributo allo sviluppo equilibrato dell’economia e della società.

 Unilateralità e bilateralità del welfare

Le misure di welfare aziendale possono diversificarsi come si è visto, nelle fonti di regolazione, che possono essere unilaterali o bilaterali. 

La bilateralità è sviluppata e promossa nel nostro sistema contrattuale: ma non esclude la legittimità di forme unilaterali anche nelle forme di welfare più strutturate. E’ il caso delle forme pensionistiche complementari, che possono essere istituite da contratti collettivi ma anche da regolamenti aziendali e da atti di operatori finanziari e assicurativi e dei fondi integrativi del SSN, che sono attivabili sia da contratti collettivi anche aziendali, sia con atti assunti da soggetti privati (art. 9, D.Lgs. n. 502/1992; artt. 100 e 100-ter, Tuir) (vedi Capitolo V).

Anche per le misure del welfare aziendale, ove la regolazione è meno consolidata, entrambe le fonti sono riconosciute dall’Ordinamento e sono utilizzate nella pratica, come mostrano esperienze di successo riportate nel Manuale.

La bilateralità è da escludere per certe misure, ove si voglia fornire di particolari agevolazioni fiscali: come nei casi previsti dagli art. 57, comma 2, lett. f) e 100, comma 1, Tuir.

Le implicazioni di queste scelte sono approfondite in altre parti del Manuale. Va peraltro subito sottolineato come esse possano influire sulla governance del sistema. In particolare la configurazione bilaterale comporta tipicamente la soggettivizzazione degli strumenti preposti alla gestione del welfare, in forma di Casse, associazioni, fondazioni, o simili; e implica la partecipazione dei soggetti costituenti, di solito in forma paritetica, negli organi di amministrazione e di controllo delle entrate preposte alla gestione.

La regolazione e la conduzione bilaterale di tali istituti corrispondono alla finalità del welfare di soddisfare bisogni comuni alla comunità aziendale; ma costituiscono una sfida alla capacità delle parti di gestirli con efficienza e con lungimiranza. La sfida è inedita per la novità dei bisogni e per la complessità degli interessi in gioco, che richiedono soluzioni innovative e più consapevoli di quelle sperimentate nella contrattazione tradizionale. 

Le implicazioni delle varie opzioni si riflettono anche sui modelli gestionali adottabili. Sulla base delle esperienze realizzate e delle previsioni legislative in materia possono configurarsi sia forme di gestione diretta, in tutto o in parte, degli istituti di welfare adottati sia forme di gestione in convenzione con diversi tipi di provider. 

Negli istituti di welfare aziendale la opzione fra questi diversi modelli non è oggetto di regolazione legislativa, come è invece nel caso della previdenza complementare (D.Lgs. n. 252/2005). Essa è rimessa alla valutazione dell’impresa o delle parti contraenti e dipenderà dalle circostanze e dagli elementi di fatti rilevanti: dal tipo di servizi previsti dalle diverse misure di welfare, dalle esigenze di personalizzazione del sistema, dalla dimensione e dai caratteri dei gruppi di lavoratori interessati, dalla complessità delle operazioni necessarie per la realizzazione delle misure, dai costi relativi, e non da ultimo dai riflessi sulla qualità delle prestazioni e sull’immagine aziendale di una gestione diretta o invece esternalizzata. 

Gratuità e corrispettività del welfare

Una questione rilevante, non solo sul piano giuridico ma anche sindacale, riguarda la qualificazione dei vari istituti di welfare nella struttura del rapporto di lavoro. 

L’alternativa più generale riguarda il carattere di gratuità o di corrispettività di tali forme. La gratuità si configura quando la erogazione delle misure di welfare risponde a motivi di liberalità e non è legata a contropartite in termini di risultati aziendali e di contenuti del lavoro. La corrispettività all’opposto presuppone un vincolo delle stesse misure e riferito in vario modo all’esistenza di controprestazioni. 

Nel campo fiscale e, di riflesso, in quello previdenziale, la gratuità, intesa come liberalità, delle erogazioni ha perso rilievo come fattore di esclusione dell’imponibilità: cfr. la definizione del reddito di lavoro dipendente di cui all’art. 51, comma 1, Tuir e l’intervenuta abrogazione della lett. b), del comma 2 del medesimo articolo.

La corrispettività presuppone in ogni caso un contratto, sia esso individuale o collettivo, che definisca le condizioni di scambio per l’attuazione del welfare che sancisca un diritto dei lavoratori alle misure relative. Nei casi di buone pratiche riportati nel volume si sono configurati rapporti fra interventi di welfare e miglioramenti delle performance aziendali; talora indicati genericamente e in modo indiretto, altre volte espliciti e diretti, per cui la continuazione e il finanziamento di tali interventi sono subordinati alla realizzazione e all’accertamento delle performance.

La diffusione delle varie forme di welfare e di benefits ha implicazioni non solo sulla concezione dell’impresa ma parimenti sul contenuto del rapporto di lavoro.

Lo schema di scambio proprio dell’impostazione tradizionale, retribuzione fissa contro lavoro fisso, si è andato modificando per le variazioni intervenute sia nelle forme di lavoro, sempre più flessibili e variabili, sia nelle modalità delle controprestazioni. Una evoluzione significativa si è verificata con lo sviluppo delle varie forme di retribuzioni variabili, che hanno introdotto elementi di rischio e di incentivazione in capo al lavoratore. 

L’alterazione rispetto allo scambio tradizionale è particolarmente accentuata quando i parametri di queste forme retributive sono riconducibili non direttamente alla qualità e quantità di lavoro, ma a fattori esterni legati all’andamento economico e/o finanziario dell’azienda come è negli istituti di partecipazione agli utili, realizzata anche attraverso la distribuzione di azioni o le stock options. Le misure di welfare contrattuali introducono una ulteriore variante nel rapporto, perché esse non si riferiscono alla retribuzione monetaria, ma introducono controprestazioni in forme di servizi. Queste sono pur sempre apportatrici di utilità al lavoratore, ma in riferimento a bisogni, personali o collettivi, attinenti al benessere della persona e della sua famiglia. In tal modo si può dire che ne arricchiscono il contenuto del rapporto con un carattere di scambio sociale e non solo di mercato. 

Questa innovazione corrisponde a una evoluzione generale del concetto di retribuzione, da tempo intervenuto sulla base sia della legge sia della contrattazione collettiva che lo distingue da un semplice corrispettivo, quale conosciuto negli altri rapporti sinallagmatici. 

Tale evoluzione, come si è visto, è riscontrabile in molte vicende del rapporto di lavoro, a cominciare dai casi in cui la retribuzione, o un suo equivalente, continua ad essere dovuta durante le sospensioni del lavoro dovute a motivi attinenti alla persona del lavoratore, come malattia, infortuni e maternità. 

La crescita del welfare e dei benefits costituisce una manifestazione ulteriore dell’arricchimento dello scambio proprio del rapporto di lavoro, in senso sociale, in quanto lo correla a bisogni individuali e collettivi del lavoratore sviluppatisi nella moderna società in forme nuove, che possono essere soddisfatti all’interno dell’azienda e del rapporto di lavoro. 

Questa evoluzione riflette i cambiamenti nei caratteri non solo dei rapporti individuali ma delle relazioni collettive di lavoro. E’ legata in particolare alle modifiche di tali relazioni verso forme, in senso lato, partecipative e trova la sua espressione più compiuta nelle pratiche contrattuali decentrate, aziendali e territoriali.

L’esperienza insegna che le condizioni di contesto in cui si svolgono i rapporti di lavoro, sono importanti per lo sviluppo e per il buon funzionamento degli istituti di welfare, come in genere delle forme premiali e partecipative.

 Condizioni di fattibilità e gestione del welfare

L’efficacia e i risultati di tali iniziative dipendono non solo dal corretto disegno e dalla coerente applicazione delle singole misure, ma dall’ambiente organizzativo e di relazioni in cui si collocano, dalla trasparenza delle iniziative e delle loro implicazioni, dalla loro finalizzazione a favorire la identificazione delle persone con gli obiettivi aziendali, dalla fiducia che viene a costituirsi nel tempo fra le parti. 

Questi rilievi sono sviluppati nelle parti del Manuale che riguardano le condizioni di fattibilità e di operatività delle varie forme di welfare aziendale nei diversi contesti.

Qui basti sottolineare ancora la necessità di impostare il disegno e la gestione di questi istituti, tenendo conto della complessità delle implicazioni e degli interessi in gioco senza improvvisazioni e scorciatoie.

Occorrono valutazioni accurate: una corretta analisi della popolazione aziendale di riferimento e dei relativi caratteri socio-demografici, una buona informazione sul contesto aziendale e territoriale interessato (dal clima interno dell’azienda, agli indici di assenteismo e di turnover, ecc.); una rilevazione ponderata dei bisogni e delle aspettative in relazione alle esenzioni previdenziali e fiscali disponibili, una proiezione dei costi/benefici e la sostenibilità nel medio/lungo periodo (ad esempio nella sanità sono necessarie previsioni in merito all’andamento dei costi in relazione alle varie prestazioni, tenendo conto dell’evoluzione delle patologie), vantaggi per le imprese (immagine, miglioramento del clima aziendale, responsabilità sociale): scambio contrattuale fra benefits e produttività.

Una importanza prioritaria rivestono l’informazione a tutti gli stakeholders, e il coinvolgimento dei dipendenti in tutte le fasi dell’attività: dal disegno, alle scelte sul mix di misure più adeguate alle strategie aziendali e ai bisogni dei vari strati di popolazione.

L’importanza di tali fattori è ancora largamente sottovalutata, come indicano le testimonianze del volume e come conferma anche la mia esperienza personale. 

 Informazione e coinvolgimento degli stakeholders 

Informazione, persuasione e coinvolgimento diffusi sono necessari anzitutto per il successo delle misure come la previdenza integrativa implicanti impegni a lungo termine e risultati differiti nel tempo: quindi meno percepibili dagli utenti. Tanto più che la percezione della loro utilità è ridotta dal fatto che la loro costruzione e gestione si sono allontanate dai luoghi di lavoro e trasferite in sede nazionale, per comprensibili esigenze di avere sufficienti masse critiche da mobilitare. 

L’utilità e lo sviluppo ulteriore della previdenza integrativa dipendono dalla capacità delle parti di contrastare i rischi di burocratizzazione e di inefficienza gestionale legati alla sua dimensione e centralizzazione (a meno di non renderla obbligatoria).

La stessa sfida si pone per la sanità e la assistenza integrativa, anch’esse in rapida crescita dimensionale e di scala. E’ vero che queste forme di welfare sono di fruibilità e apprezzamento da parte dei singoli più immediate di quanto non sia per i fondi di previdenza. Esse sono però ancora prive di una regolazione adeguata che ne garantisca una corretta gestione. Trasparenza ed efficienza di gestione sono tanto più necessarie per le grandi dimensioni delle spese per l’assistenza sanitaria e per le prospettive di una sua crescita in tutti i Paesi. 

Le pratiche di informazione e coinvolgimento sono diverse per le altre (molteplici) forme di welfare che viceversa nascono e si gestiscono a livello aziendale e/o territoriale. Qui devono seguire l’intero processo di costruzione e di implementazione da parte delle imprese, come indicano le testimonianze e le analisi del devono garantire la piena conoscenza dell’esistente, che è spesso sommaria. 

La cura di questi aspetti è sempre più importante e va sistematizzata, in quanto il welfare aziendale è ormai arrivato a una diffusione consistente e si sta arricchendo di misure nuove, spesso testate ancora in modo provvisorio, come quelle sopra ricordate dirette a migliorare il work life balance, a favorire la conciliazione e la condivisione dei ruoli nella famiglia. Tali misure toccano aspetti delicatissimi della vita personale e familiare e richiedono quindi a tutte le parti interessate una accresciuta attenzione nel definire le condizioni di fattibilità, le modalità applicative dei vari istituti e l’impatto sulle persone. Al riguardo le indicazioni del volume sono un primo contributo alla tematizzazione e sistemazione della varie questioni.

 Welfare flessibile e produttivo

Richiamo fin d’ora l’attenzione su alcuni temi che mi sembrano particolarmente importanti.

Anzitutto la complessità dei bisogni da soddisfare e delle possibili risposte di servizio, indica la opportunità di differenziare tali risposte, privilegiando pacchetti compositi di misure, alcune garantite, altre opzionali, come già adottato da varie aziende. La possibilità di opzioni multiple è una importante occasione di coinvolgimento offerta ai dipendenti e accresce la percezione del valore dei benefits ricevuti: per questo le ricerche mostrano che è apprezzata dagli interessati. 

Naturalmente imboccare questa strada accresce la complessità delle scelte e della loro implementazione, sia se assunte direttamente delle aziende sia se affidate a gestori esterni.

Lo sviluppo di queste nuove aree di welfare è affidato, come mostrano i contributi del volume, alla sperimentazione e alla lungimiranza delle imprese, ma anche alla cultura e sensibilità dei lavoratori. Richiederà un impegno crescente sul piano della gestione e nella allocazione delle risorse, tanto più necessario a fronte delle attuali ristrettezze economiche. E’ significativo che alcune esperienze aziendali recenti hanno attuato d’intesa col sindacato una diversa allocazione dei tradizionali premi di produzione, destinando in tutto o in parte il loro ammontare al finanziamento di forme di benefits e di welfare. Talora la scelta è stata definita in sede collettiva con accordi sindacali, altre volte si è lasciato agli stessi dipendenti di decidere quanto destinare a welfare e quanto mantenere in forma di retribuzione. Le agevolazioni fiscali e contributive esistenti, non solo in Italia, a favore delle varie forme di benefits, costituiscono incentivo, sia per l’azienda sia per i lavoratori, a privilegiare tali forme rispetto ai semplici incrementi monetari; e le ricerche confermano la rilevanza di tali incentivi anche in Italia, dove la loro misura è relativamente contenuta, e non distribuita in modo del tutto equilibrato.

L’utilità dimostrata dalle esperienze esistenti sia per l’efficienza aziendale sia per il benessere dei lavoratori mostra che una ulteriore fase di sviluppo del welfare aziendale è possibile e merita il sostegno di tutti, anche da parte del potere pubblico.

 

 (*) dal 1° capitolo di: Tiziano Treu, Welfare Aziendale, IPSOA

 

 

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