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Demansionamento e controllo a distanza, così non vanno

La disciplina delle mansioni prevista da l’art. 3, del dlgs. n. 81/2015, entrato in vigore il 25 giugno scorso, riscrive l’art. 2103 del codice civile in tema di mansioni. 

Si stabilisce innanzitutto che “il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte” (scompare il termine “equivalenti”).

Si prevedono poi due ipotesi di demansionamento.

 “In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali” che incida sulla posizione del lavoratore, il datore di lavoro potrà infatti assegnare il lavoratore a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore , purchè rientranti nella medesima categoria legale.

Ulteriori ipotesi di assegnazione a mansioni inferiori, sempre nel limite di un livello sottostante, a prescindere da modifiche organizzative, possono essere previste da contratti collettivi, anche aziendali. 

Il mutamento di mansioni deve essere accompagnato, ove necessario, da un percorso formativo, il cui mancato svolgimento non determina comunque la nullità dell’atto di assegnazione alle nuove mansioni.

In entrambi i casi il mutamento di mansioni è comunicato per iscritto, a pena di nullità, e  il lavoratore ha diritto  alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa (ad esempio l’indennità di turno).

Attraverso accordi individuali “assistiti”, sottoscritti cioè in sede sindacale o presso la Direzione territoriale del lavoro o le commissioni di certificazione, si potranno modificare le mansioni, nonché la categoria legale ed il livello di inquadramento e la relativa retribuzione, in tre specifici casi nell’interesse del lavoratore: conservazione dell’occupazione (per evitare il licenziamento); acquisizione di una diversa professionalità; miglioramento delle condizioni di vita.

Si interviene inoltre anche per le ipotesi di  assegnazione a mansioni superiori. In tali casi il lavoratore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta e l’assegnazione diviene definitiva, salva diversa volontà del lavoratore, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituire altro lavoratore, dopo il periodo fissato dai contratti collettivi, anche aziendali, o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi.

 Il lavoratore non può essere trasferito da un’unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.

In tale contesto significativamente modificato è stabilita la nullità di patti contrari.

 

La revisione della disciplina delle mansioni non pare nel complesso soddisfacente. 

Rispetto alla disciplina previgente scompare in primo luogo il riferimento al concetto di “equivalenza” delle mansioni. Ciò significa che il datore di lavoro non sarà più tenuto ad assegnare al lavoratore una mansione coerente con il suo bagaglio professionale, ma semplicemente, in maniera analoga a quanto avviene nel Pubblico Impiego (art. 52, d.lgs. n. 165/2001), ad attribuire al lavoratore mansioni che rientrino nella declaratoria del medesimo livello contrattuale. La previsione può d’altro lato essere di stimolo per una profonda rivisitazione della disciplina contrattuale in materia.

Si mira in particolare ad una maggiore flessibilità organizzativa  sostanzialmente affidata al potere unilaterale del datore di lavoro, in maniera non del tutto conforme al criterio di delega, di cui all’art. 1, comma 7, lett. e), della legge n. 183/2014. Il menzionato criterio di delega ammette infatti la revisione della disciplina delle mansioni “in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale individuati sulla base di parametri oggettivi” e non sulla base del potere discrezionale del datore di lavoro. A nostro avviso tali parametri non potranno che essere determinati dal datore di lavoro in accordo con le rappresentanze sindacali in azienda, in una logica di partecipazione al miglioramento dell’organizzazione del lavoro. E’ da preferire dunque un’interpretazione che affidi alla contrattazione collettiva, anche aziendale, la possibilità di assegnare il lavoratore ad un livello inferiore non solo nelle “ulteriori ipotesi”, di cui al comma 4,  ma in particolare proprio in caso di “modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore” (art. 3, comma 2). D’altro lato andrebbe previsto il necessario consenso del lavoratore in tutti i casi di sua attribuzione ad un livello inferiore, stante il profilo strettamente personale del diritto alla professionalità, non potendosi ritenere sufficiente al riguardo la mera comunicazione scritta, ivi compresa la specificazione dei motivi.

Il demansionamento può in ogni caso riguardare soltanto il livello di inquadramento immediatamente inferiore e comunque sempre nell’ambito della medesima categoria legale (operario, impiegato, quadro, dirigente). 

E’ da segnalare che il mutamento di mansioni deve essere accompagnato, ove necessario, dall’assolvimento dell’obbligo formativo, il cui mancato adempimento non determina comunque la nullità dell’atto. Tale indicazione è opinabile perché la formazione, sempre più diritto fondamentale del lavoratore, lo pone al riparo da eventuali inadempienze rispetto a mansioni che, seppur inferiori, non conosce in quanto di norma non esercitate, sia perché le nuove mansioni possono esporlo a rischi per la sua salute e sicurezza (sotto questo profilo scatteranno comunque le sanzioni per violazione dell’art. 36, del d.lgs. n. 81/2008).

Altro aspetto di rilievo riguarda il principio di cd. “irriducibilità della retribuzione” ovvero l’invariabilità in pejus del livello retributivo acquisito.  Al riguardo si prevede che “…il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa”(ad esempio indennità di turno o di lavoro notturno).

Nel caso di svolgimento di mansioni superiori si prevede che l’assegnazione diventi definitiva, “salva diversa volontà del lavoratore”, “dopo il periodo fissato dai contratti collettivi”, anche aziendali, “o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi”. Le differenze rispetto alla disciplina previgente riguardano, oltre alla durata dell’assegnazione (sei mesi in luogo di tre) ed il suo carattere continuativo, soprattutto il fatto che  la contrattazione collettiva potrà ora anche ampliare  il periodo di sei mesi. La possibilità di rinuncia da parte del lavoratore all’acquisizione della qualifica superiore può peraltro prestarsi a possibili abusi. Si tratta in ogni caso di rinuncia che potrà ritenersi legittima solo se esercitata con l’assistenza di un rappresentante sindacale (nelle forme di cui  art. 2113, ultimo comma, del codice civile).    

In conclusione il modo di declinare efficacemente certezza del diritto e flessibilità organizzativa,  sarebbe stato quello di affidare la materia del demansionamento principalmente alle parti sociali, salvaguardando al contempo la volontà del lavoratore. Solo la contrattazione collettiva può infatti, tenuto conto dei diversi  contesti settoriali e aziendali, declinare gli opposti interessi in sintesi equilibrate che garantiscano la prevenzione dei conflitti. 

Il controllo a distanza

L’art.23 dello schema di decreto legislativo sulle semplificazioni, ora all’esame delle Commissioni parlamentari, aggiorna l’art. 4, dello Statuto dei lavoratori (del 1970),  sui controlli a distanza dei lavoratori, in relazione all’attuale contesto tecnologico e produttivo.

L’installazione di impianti audiovisivi e di altri strumenti “dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori” può avvenire solo previo accordo con le RSU/RSA, o, in assenza, previa autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro.

L’accordo non è invece necessario per sottoporre a controllo “gli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa” (ad esempio pc, tablet, telefonini) nonchè “gli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze” (es. badge o rilevatori di presenza).

Le informazioni raccolte potranno essere utilizzate “a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro”. Condizione è che sia data al lavoratore  “adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli”, nel rispetto di quanto disposto dal d.lgs. n. 196/2003 (tutela della privacy). 

Sono previste sanzioni penali in caso di violazioni.

 

La revisione della disciplina dei controlli a distanza, tenuto conto da un lato dell’evoluzione tecnologica e delle esigenze organizzative e produttive e dall’altra della tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore, necessita di un’attenta applicazione sul piano contrattuale per evitare possibili abusi. Tanto più che le informazioni potranno essere utilizzate anche per ricavarne indicazioni rilevanti sul piano disciplinare e per gli sviluppi di carriera. 

Ciò richiede peraltro un esame del nuovo art. 4 alla luce delle altre norme dello Statuto (tra le quali in particolare l’art. 8, sul divieto di indagini sulle opinioni, ivi compresi i “fatti non rilevanti” ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore), e soprattutto delle indicazioni  del Garante della Privacy, che ha  sancito il divieto di sistemi di controllo di carattere automatico ed a insaputa del lavoratore (così, ad esempio, sullo schermo dello smartphone deve essere sempre visibile un’icona che indichi ai dipendenti che la funzione di localizzazione è attiva – cfr. Newsletter Garante Privacy 3 novembre 2014, n. 395).

Occorre quindi  definire meccanismi certi di avvenuta informazione del lavoratore, anche tramite un confronto con le rappresentanze sindacali aziendali, circa le regole interne e l’utilizzo dei dati acquisiti, condizione indispensabile per rendere legittimi i controlli.

 

 

 (*) Centro Studi CISL

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