Le Camere hanno votato la fiducia al nuovo governo con un dibattito non esaltante. La qualità degli interventi di senatori e deputati, che ho avuto il masochismo di seguire quasi per intero, è stata in gran parte di un livello sconcertante, mentre Renzi, a prescindere da una stucchevole polemica sui modi, molto legata all’età dei critici, è stato alquanto generico su diversi punti. Non lo critico invece perché ne ha “dimenticati” alcuni. Non ho mai sopportato la regola non scritta di molte relazioni sindacali e politiche di dover sempre includere un lungo elenco di cose e di soggetti a prescindere dal contenuto sulla base di un “non si può non citarli”.
Sulla composizione del governo, alcuni “pasticci” sono evidenti; il caso Gentile lo dimostra, ma anche il caso Barracciu. Se non era idonea a essere candidata governatore (trice ?) per la Sardegna perché è idonea a fare il sottosegretario? Tra gli altri aspetti più rilevanti vi è l’evidente imposizione di P.C. Padoan e, per me, una sensazione di non adeguatezza in alcune figure rispetto agli obiettivi che Renzi si prefigge. Se l’assunto è che quello che conta è Palazzo Chigi, credo che ci sia una sottovalutazione della situazione.
Dopo l’ intervento di Renzi, Del Rio e Taddei, responsabile economico del PD, hanno dato alcune indicazioni più concrete su due punti importanti, pagamento dei debiti della P.A. e taglio del cuneo fiscale; su quest’ultimo punto, peraltro, Renzi ha espresso intendimenti diversi. Vedremo in concreto.
Parto da una premessa, il problema prioritario dell’Italia è la mancata crescita, problema esistente da circa venti anni e addebitabile a molte cause concomitanti e sovrapposte. Su questo hanno fallito tutti i governi succedutesi in questi ultimi venti anni. Nessuna delle cause che hanno frenato la crescita del Pil italiano è stata eliminata, a partire dalla scarsa concorrenzialità nel mercato interno che ha determinato fino a due anni fa una maggiore inflazione rispetto ai principali paesi europei con una conseguente perdita di competitività dei nostri prodotti. Hanno fallito sulla crescita anche Monti e Letta. Hanno difeso i conti pubblici, ma non sono riusciti a rilanciare l’economia e a impedire al tasso di disoccupazione di superare il 12%. Con una caduta complessiva del -4,4% nell’ultimo biennio, l’Italia ha una performance negativa tra le peggiori dei paesi UE, superata solo da Grecia, Croazia, Cipro e Portogallo. La Spagna mostra una diminuzione biennale del -2,8%, l’Olanda del -2,1%, mentre la Francia mostra una crescita dello 0,3%, la Germania dello 1,1% la G.Bretagna del 2,1%, la Polonia del 3,5%.
Tra le cause della mancata crescita si è aggiunta, negli ultimi anni, la caduta della domanda interna anche per le politiche di risanamento imposte dagli accordi europei e la conseguente crescita della pressione fiscale. Vi sono certamente molti problemi dal lato dell’offerta nel nostro paese e per questo sono necessarie profonde riforme, ma è altrettanto necessario rilanciare la domanda attraverso un aumento della spesa pubblica in investimenti e ricerca, una diminuzione della pressione fiscale, un’iniezione di liquidità per le aziende. Sono questi i punti su cui gli ultimi governi hanno fatto poco o nulla ed è su questi che andrà giudicato in primo luogo il nuovo Governo.
Le “intenzioni” annunciate appaiono buone. Il pagamento totale dei debiti della P.A. può restituire liquidità alle imprese assieme all’aumento dei fondi di garanzia per le PMI, ottimo l’obiettivo indicato da Renzi del 3% del Pil in spese di ricerca, sufficiente per iniziare il taglio di dieci miliardi del cuneo fiscale. Su questo punto, mentre Taddei ha indicato un utilizzo prevalente delle risorse per una diminuzione dell’Irpef, Renzi sembra più orientato verso una diminuzione dell’Irap, convinto, sembra, che questo abbia un effetto più efficace di stimolo sulla ripresa. Ricordando l’esperienza dei 5 miliardi di Prodi/Padoa Schioppa usati per una riduzione dell’Irap ho molti dubbi sull’efficacia economica di una manovra di questo tipo. Se la domanda non riparte le imprese non investiranno. A meno che l’intenzione di Renzi, più che macroeconomica non sia politica: una manovra tutta sull’Irap costituirebbe certo un tentativo pesante di sfondamento nell’area elettorale berlusconiana, ma farebbe correre il rischio al PD di perdere parte del suo elettorato.
Se queste cose le avesse dette P.C. Padoan sarei più tranquillo sulla loro realizzabilità. In assenza, fino ad oggi, di dichiarazioni del ministro del Tesoro, l’interrogativo è d’obbligo. Il punto è come questi provvedimenti, così come quello annunciato sul patto di stabilità interno per consentire un intervento dei comuni sull’edilizia scolastica e come quello sull’introduzione di un sussidio generalizzato di disoccupazione, siano compatibili con gli obiettivi di finanza pubblica fissati dal fiscal compact in termini di disavanzo e di debito.
L’intervento della C.D.P. per i debiti della P.A. risolverebbe in parte il problema, ma è lecito chiedersi perché questo non sia stato fatto dai precedenti governi, solo colpa della solita Ragioneria Generale dello Stato? Staremo a vedere. Taddei indica nella spending review di Cottarelli la fonte principale di risorse per la riduzione del cuneo fiscale sul lavoro. L’obiezione immediata è che almeno 2/3 delle risorse ipotizzate con la spending review sono già impegnate per il raggiungimento degli obiettivi di bilancio, non sono quindi disponibili per il cuneo. Cambiano gli obiettivi di bilancio? Anche qui aspettiamo Padoan e il prossimo aggiornamento del Def e vedremo se vi è sintonia tra Palazzo Chigi e Tesoro, se prevarrà il Tesoro o se andremo a uno scontro frontale.
Il rispetto degli obiettivi di bilancio è il problema principe dei nostri governi così come dei critici di sinistra delle regole europee (per Grillo sappiamo che dobbiamo uscire dall’euro). Se si rispettano è difficile uscire da una prolungata stagnazione o, nell’ipotesi più ottimistica, da una minicrescita. E’ necessario quindi cambiare le regole europee. Da Letta a Fassina, sia pure con accenti diversi, s’insiste sulla necessità di questo cambiamento, ma se le regole non cambiano cosa si deve fare? Abbiamo atteso le elezioni tedesche, ora attendiamo quelle europee, quanto si può aspettare? Manca il piano B, piano invece che esiste a livello europeo e che un governo di destra, dopo un fallimento renziano, potrebbe adottare partendo da un drastico taglio della spesa sociale e dall’abolizione dei contratti nazionali con quello che ne discende.
Proprio mentre scrivo, la Commissione Europea ci ha messo sotto osservazione per “squilibri macroeconomici eccessivi” e ha affermato che l’Italia ha bisogno di aumentare la produttività del lavoro e di surplus primari molti alti, indicazioni che corrispondono in pieno a un piano B di marca europea. Mantenere per anni un elevato surplus primario significa condannarci ad una lunga stagnazione, a meno di adottare un modello di sviluppo tutto basato sulle esportazioni, sul taglio della spesa sociale e del costo del lavoro. Vedremo in concreto come il governo risponderà alla Commissione, cosa conterrà il DEF, come si muoverà sul piano fiscale e sul piano delle riforme.
Nella difesa convinta dell’ideale europeo, Renzi ci ha richiamati alle nostre responsabilità e alla necessità di essere credibili attraverso profonde riforme politico-istituzionali e del lavoro come premessa necessaria a ottenere politiche europee diverse, ma in questo non si è molto differenziato dallo schema Letta. La differenza starebbe nell’effettiva capacità di farle in tempi rapidi. Anche qui bisognerà vedere. La situazione parlamentare non appare molto tranquilla e la battaglia annunziata da Renzi contro la burocrazia sarà fondamentale ma non facile.
Vi è poi lo Jobs act sul quale è difficile entrare nel merito perché ancora non si conosce nei dettagli e questi sono decisivi per giudicarlo. E’ evidente che la legislazione del mercato del lavoro italiana va profondamente rivista. Da un lato va semplificata, dall’altro va affrontato il pesante dualismo che connota da anni il mondo del lavoro. Ma superate le resistenze di chi non vuole toccare nulla, credo ci sia un nodo di fondo che va chiarito ed affrontato. Per semplificare, si vuole andare verso un modello di tipo americano di totale flessibilità e molte limitate tutele o verso un modello di stampo europeo-continentale con forte sostegno al reddito in caso di disoccupazione? In questo secondo caso occorrono molte risorse.
In attesa di indicazioni su questo punto è importante usare al meglio tutte le risorse già disponibili, ad esempio quello europee del “Piano garanzia giovani”, per incentivare le assunzioni. Così come è comunque necessario migliorare i rapporti tra domanda e offerta nei singoli segmenti di mercato e costruire un rapporto più forte tra mercato del lavoro e sistema educativo e formativo.
Un’altra fonte di risorse per il taglio del cuneo è stata indicata da Taddei nella revisione della tassazione delle rendite. Dopo l’improvvida, o male interpretata, uscita di Del Rio sui bot, Taddei ha correttamente posto il problema. Bisogna ridurre l’Irpef sul lavoro, una parte delle risorse si può trovare in una modifica della tassazione delle rendite. Scontate le reazioni negative, su Del Rio, a destra, stupefacenti quella della Camusso a testimonianza della confusione imperante nel sindacato. In un volantino distribuito da Cgil-Cisl-Uil durante la discussione sulla finanziaria, si chiedeva l’armonizzazione della tassazione sulle rendite, che notoriamente in Italia sono tassate meno che negli altri paesi europei. In nessun paese esiste poi una diversità di tassazione tra titoli di stato e altri strumenti finanziari. Un aumento e un riallineamento delle aliquote sarebbero quindi giusti e necessari a fronte di una diminuzione dell’Irpef. Semmai i problemi da ricordare nel prendere un provvedimento di questo tipo sono la necessità di non intervenire “solo” sugli strumenti finanziari più semplici, titoli di stato-conti correnti e postali-conti di deposito, e di non agire solo sui nettisti. Questo sono capaci di farlo tutti, da un governo innovativo è lecito attendersi di più.
In definitiva che giudizio dare?
Bersani ha detto che gli italiani vorranno misurare lo spread tra parole e fatti, si può aggiungere che vedremo se il nuovo Governo proseguirà sulla strada di Monti-Letta o se riuscirà di modificarla. Se lo farà, giustificherà ampiamente il cambio di governo. Se non lo farà potremo dire tanto rumore per nulla e prepararci al peggio.