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Dalla crisi alla ripresa. Cosa dicono i numeri dell’Istat

Sono passati ormai otto lunghi anni da quel 15 settembre 2008, data del fallimento di Lehman Brothers; ne seguì il crollo dell’indice Dow Jones alla Borsa di New York, che perse più di 504 punti. Lehman Brothers divenne l’icona della crisi economica che ne seguì, anche se i segni della crisi erano già stati intravisti e denunciati da molti fin dal 2007 (sistema bancario, bolla immobiliare e mutui subprime). 

Non ci interessa in questa sede esaminare le cause della crisi o denunciare, per l’ennesima volta, le responsabilità di una economia e di una finanza virtuali, a scapito dell’economia vera, quella fatta con la produzione di beni e servizi. 

Vogliamo invece iniziare a vedere gli effetti, le conseguenze di questa crisi nel nostro paese, sul tessuto sociale e produttivo. Ci interessano i cambiamenti e le trasformazioni, i diversi modi di rispondere alla crisi. Per far questo ricorriamo, principalmente, ai dati dei vari studi, report e pubblicazioni dell’Istat. 

La prima tabella, con dati estratti dalle rilevazioni sulle forze di lavoro da I.Stat, (è la banca dati  delle statistiche prodotte dall’Istituto) ci consente di esaminare il numero degli occupati a settembre di ogni anno per sesso e totali:

 

 

Occupati, dati mensili destagionalizzati, dai 15 anni e più (x 1.000)

 

Dati estratti il 09 nov.2015 da I.Stat

La tabella che segue ci permette di vedere questi numeri di occupati in diagramma, da gennaio 2008 a settembre 2015, ed in particolare che il punto più basso di occupati si è registrato nel gennaio 2014 (- 927.000 su settembre 2008), a partire dal quale è ripreso l’aumento dell’occupazione.

 

Un confronto tra i dati 2015 – 2009 è possibile; partiamo prima però dalle tabelle Istat diffuse a fine ottobre e relative ai dati di settembre 2015:

  

Da una lettura congiunta sia del Prospetto 1 che del seguente Prospetto 2 si rileva:

–  a settembre 2015 diminuiscono gli occupati (- 0,2%, – 36mila), mentre tra giugno e agosto erano aumentati (+ 0,7%, + 166mila); su base annua l’occupazione è a + 0,9%, + 192.000 occupati;

–  il tasso di disoccupazione a settembre è a – 0,1% pari all’11,8%; nei 12 mesi la disoccupazione diminuisce dell’8,1% (- 264mila persone in cerca di lavoro);

– il tasso di inattività è al 35,8% (+ 0,2%) e a settembre gli inattivi (15-64 anni) aumentano di 53mila persone (+0,4%);

– nel periodo luglio-settembre su aprile-giugno 2015 il tasso di disoccupazione scende del – 0,2%, mentre il tasso di occupazione sale del + 0,2%.

 

I valori assoluti della popolazione per condizione nel Prospetto 2 (settembre 2015) sono comparabili con quelli del 2009 (ottobre 2015):

Occupati                                       2009    23,099 milioni                        2015    22,545 milioni

Disoccupati                                   2009      2,004 milioni                        2015      3,016 milioni

Inattivi 15-64 anni                        2009     14,741milioni                         2015    13,956 milioni

 

Analogamente si può confrontare il Prospetto1 con i dati del 2009:

Tasso occupazione15-64 anni     2009          57,6%                               2015          56,5%

Tasso disoccupazione                2009            8,0%                              2015           11,8%

Tasso disoccupaz. 15-24 anni     2009          26,9%                              2015           40,5%

Tasso inattività     15-64 anni    2009           37,4%                              2015           35,8%

E’ interessante esaminare gli occupati per posizione professionale e per caratteristiche dell’occupazione. Gli occupati sono 22,545milioni (variazione tendenziale 2015 su 2014 +0,9%, pari a +192.000). I dipendenti sono 17,079milioni (idem + 1,3%, pari a +220.000), di cui i permanenti sono 14,627milioni (+0,8%, pari a + 113.000), mentre a termine sono 2,452milioni (+4,6%, pari a + 107.000). Gli indipendenti sono 5,466milioni (- 0,5%, pari a – 28.000).

La tabella che segue, relativa al 2014, ci permette di leggere i dati delle forze di lavoro per condizione, sesso e area geografica:

 

Forze di lavoro: comprendono le persone occupate e quelle in cerca di occupazione

Occupati: comprendono le persone di 15 anni e più

Persone in cerca di occupazione: comprendono le persone non occupate tra 15 e 74 anni

Abbiamo poi forti cambiamenti nei settori di attività dell’occupazione. Tra il 2004 e il 2014 gli occupati (in %) nell’Agricoltura si sono ulteriormente ridotti dal 4,4% al 3,6%. Nello stesso periodo gli occupati dell’Industria sono scesi dal 30,6% al 26,9%, mentre nei Servizi gli occupati sono cresciuti dal 65,0% al 69,5%.

Sempre nel 2014 i 22,279milioni lavoratori totali erano occupati a tempo pieno in 18,188milioni, mentre 4,091milioni erano a tempo parziale. Se guardiamo anche alla posizione professionale dei 16,780milioni di lavoratori dipendenti, 13,526milioni erano a tempo pieno mentre 3,254 milioni erano a tempo parziale. Infine tra i 5,499milioni di lavoratori indipendenti, quelli a tempo pieno erano 4,662milioni e quelli a tempo parziale 837.000.

E’ importante analizzare i vari indicatori per sesso e per area geografica che riportano all’attenzione i temi centrali del lavoro nel Mezzogiorno e quello per le donne:

 

Può essere interessante confrontare la percentuale degli occupati a termine, sul totale dell’occupazione dipendente nel 2014, tra il nostro e alcuni altri paesi dell’U.E..

Sul totale dei lavoratori le percentuali sono: media U.E. a 28 14,0%, Italia 13,6%, 

Germania 13,1%, Spagna 24,0%, Francia 15,8%, 

Per quanto riguarda i giovani tra i 15-24 anni la percentuali degli occupati a termine sono: media U.E. a 28 43,3%, Italia 56,0%, Germania 53,4%, Spagna 69,1%, Francia 57,0%.

 

Infine va ricordato in questo lungo elenco il secondo Rapporto della Caritas sulle politiche contro la povertà in Italia.

Il Rapporto cita gli ultimi dati Istat, secondo i quali la povertà assoluta ha smesso di crescere, stabilizzandosi intorno al 7% della popolazione, ma confrontando il 2014 con il 2007, cioè con il periodo pre-crisi, il numero dei poveri in senso assoluto è più che raddoppiato, salendo da 1,8 milioni a 4,1 milioni. “L’Italia, sottolinea la Caritas, è l’unico paese europeo, insieme alla Grecia, privo di una misura nazionale contro la povertà. L’attuale sistema di interventi pubblici risulta del tutto inadeguato (i fondi nazionali sono passati da 3.169 milioni del 2008 a 1.233 milioni del 2015) e frantumato in una miriade di prestazioni non coordinate, la gran parte dei finanziamenti pubblici disponibili è dedicata a prestazioni monetarie nazionali”.

 

Non c‘è dubbio che questi dati ci portino a confermare timori e necessità. Il numero dei posti di lavoro è diminuito, come abbiamo visto, e diminuirà tendenzialmente ed inesorabilmente ancora nel tempo, nonostante che la ripresa ed il sostegno all’occupazione attuato dai provvedimenti del governo aumenteranno gli occupati, senza recuperare però tutti i lavoratori persi dal 2008. 

Le ragioni sono molte: la globalizzazione, i nuovi accordi commerciali mondiali, le nuove tecnologie e le varie innovazioni, la mancanza dell’Europa, il ritardo del paese a definire politiche industriali, un paese dove l’individualismo imperversa, assieme alla priorità per molti di arricchirsi comunque, anche violando principi, leggi e regole; anche evadendo, eludendo, corrompendo, esportando capitali.

Non cresce il lavoro se una gran parte degli imprenditori non rischia più e non investe, se la finanza del gioco e della speculazione si sovrappone all’economia reale, dei beni e dei servizi; se la concentrazione della ricchezza riduce il reddito disponibile per salari, stipendi e pensioni e impedisce la ripresa dei consumi e quindi di nuove opportunità produttive o della ripresa di quelle bloccate dalla crisi. 

Per la ripresa dell’economia e dello sviluppo del paese e per dare una risposta e un futuro alle giovani generazioni bisogna ripartire dal tema della redistribuzione del reddito e del lavoro disponibile. Questo è necessario per l’Italia e anche per tutta l’Europa, dove sono sempre più acute le diseguaglianze; più grave la mancanza di lavoro per i giovani; più forte la precarietà e il disagio di intere generazioni.

Bisogna pensare, dibattere, proporre, realizzare un progetto possibile di redistribuire il lavoro, a partire da quello esistente, affiancandolo con un livello accettabile di reddito e di futuro previdenziale.     

 

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