I fondi pensione negoziali (FPN) sono stati, fin dalla loro costituzione, uno strumento per avvicinare al mondo della finanza fasce di popolazione che altrimenti sarebbero state del tutto estranee a quella esperienza e possono essere considerati, senza dubbio, una delle espressioni più importanti di un modello di sviluppo economico che interviene nei mercati finanziari.
La spinta alla nascita dei FPN, è venuta dalla convinzione secondo la quale far transitare il risparmio pensionistico per i mercati finanziari avrebbe da un lato rafforzato il ruolo di questi mercati, e quindi avrebbe reso più moderno ed efficiente nel suo insieme il sistema economico del nostro paese, e, dall’altro, avrebbe potuto garantire un migliore uso delle risorse destinate al sistema pensionistico.
La crisi economica ha messo in evidenza tutti i limiti del sistema finanziario di allocare in maniera razionale delle risorse e dunque ha messo in discussione la superiorità della intermediazione privata, libera da qualsiasi vincolo, rispetto a quella pubblica.
La specifica debolezza dell’Italia all’interno di questa crisi, ha reso chiara, in secondo luogo, una contraddizione di fondo per i gestori dei FPN. L’obiettivo di un FPN non può che essere quello di garantire il massimo rendimento possibile, all’interno di un certo profilo di rischio, ai sottoscrittori del fondo. Ma questo tipo di scelta, limitata alla sola analisi del rendimento finanziario, potrebbe finire col penalizzare le imprese italiane e, più in generale, l’intero sistema paese (e di conseguenza i suoi lavoratori), proprio a causa della sua debolezza. Al tempo stesso, i tassi di interesse odierni particolarmente bassi, rendono ineludibile una maggiore diversificazione di portafoglio.
Il rischio concreto che va evitato in questa situazione è che i mancati investimenti dei FPN italiani, possano costituire un fattore di indebolimento del nostro sistema economico. Occorre evitare che, in un’ottica di ricerca di mero rendimento finanziario, i FPN continuino ad assorbire risorse dal nostro sistema produttivo per investire in imprese o sistemi paese nostri concorrenti. .
Non può dunque ritenersi accettabile che le risorse siano investite, indifferenziatamente, su scala internazionale in un momento in cui si pone un evidente problema di insufficiente disponibilità di attività finanziarie per sostenere e far ripartire il sistema produttivo del nostro paese.
I FPN sono ormai istituzioni finanziarie consolidate che amministrano nel loro insieme masse finanziarie importanti, soprattutto se si tiene conto della situazione di sostanziale illiquidità del sistema bancario italiano. Un ammontare di risorse che tuttavia, stando alle regole attuali, viene, per lo più, gestita in una logica di rendimenti fondamentalmente di breve periodo.
Il problema che si ha di fronte è quello di ripensare il ruolo dei FPN in modo da garantire da un lato un basso profilo di rischio coerente con gli interessi dei sottoscrittori e, dall’altro, una capacità di supportare in una qualche misura il sistema produttivo e sociale del nostro paese e potendosi muovere con un orizzonte temporale più lungo rispetto a quello dei normali operatori presenti sul mercato, svolgere un ruolo positivo dal punto di vista sistemico.
Va svolta, insomma, una riflessione complessiva, al di là di quelli che sono oggi gli investimenti utilizzati dai Fondi pensione che hanno prodotto rendimenti, difeso il risparmio dei lavoratori ed hanno costruito le basi di tranquillità per la difesa del risparmio previdenziale. Essa deve riguardare come continuare questo percorso virtuoso adeguandolo alle mutate condizioni economiche e finanziarie. Occorre, anche, riflettere se il rendimento si debba misurare semplicemente in termini numerici finanziari o non si possa misurare anche in termini di ricadute positive sociali, affrontando in modo partecipativo la tematica della crescita sostenibile e di conseguenza l’investimento nell’economia reale.
Occorre porsi la domanda se i due obiettivi del mantenimento delle promesse pensionistiche, da un lato, e del contributo alla ripresa del Paese, dall’altro, siano effettivamente coerenti. La risposta, che può essere positiva, dipende dall’individuazione di strumenti idonei che consentano di finanziare lo sviluppo economico del Paese in condizioni di sicurezza per gli iscritti alla previdenza complementare.
I fondi pensione possono svolgere un ruolo in termini di salvaguardia di interessi collettivi
di lungo periodo. Ne conseguirebbe un vantaggio significativo per il Paese, in particolare se gli interventi fossero coordinati all’interno di un piano nazionale che veda Governo e Parti sociali impegnati in un confronto finalizzato alla condivisione di tale piano.
Il Governo, attraverso il MEF, ha il dovere di delineare le linee strategiche di un progetto di sviluppo necessario per il Paese nei prossimi 10/20 anni, definendo i settori strategici, in accordo con le Parti Sociali e valorizzando le specificità territoriali stimolando altresì forme di coinvestimento pubblico-privato.
Un primo passo è presente nelle recenti iniziative del Governo (decreto MEF 5 giugno 2015 su credito di imposta) che prevedono benefici fiscali per i fondi pensione e casse di previdenza che investono nell’economia reale. Il rilancio della previdenza complementare deve essere però inteso dal legislatore e dall’opinione pubblica come un investimento sul futuro sia del singolo, che del sistema Paese.
Un’iniziativa auspicabile è la creazione di un fondo specifico per gli investimenti nell’economia italiana gestito dai fondi pensione e dalle casse di previdenza, ma aperto anche ad altri investitori istituzionali pubblici e privati.
Un progetto opportunamente delineato a livello governativo può favorire in generale la crescita dell’offerta di fondi di investimento da parte di soggetti professionali di mercato che garantiscono le professionalità, le competenze e l’esperienza necessarie a raccogliere e a gestire le risorse in questione.
Appare altresì opportuno che tale progetto veda il coinvolgimento congiunto degli investitori previdenziali (Casse private e Fondi pensione). In tale ambito, le forme di previdenza privata possono svolgere un ruolo fondamentale, attraverso l’investimento in uno o più strumenti specifici, volontariamente, da loro costituiti e a loro dedicati, condividendo anche la visione comune di obiettivi che, proprio per la natura non speculativa di tali forme, per il loro orizzonte temporale e per il comune interesse al benessere del Paese in cui operano, divengono naturali “alleati” del progetto stesso.
La governance da parte degli investitori previdenziali potrà garantire un corretto approccio a tali investimenti che garantisca l’assenza di conflitti di interesse e la ricerca di quelle condizioni di prudenza e garanzia necessarie ad ogni investimento previdenziale.
Anche l’introduzione di tematiche di investimento responsabile SRI, nella selezione degli investimenti nell’economia reale può ricoprire un ruolo fondamentale, supportando le imprese ad accrescere la propria capacità di innovazione e l’attenzione agli aspetti ambientali, sociali e di buon governo (ESG) e fornire una migliore valutazione dei rischi e delle opportunità, assicurando così un’analisi più completa e una maggior efficacia delle azioni dei gestori (due diligence, gestione della partecipazione, rendicontazione ed exit).
L’investimento offerto non potrà modificare l’obiettivo primario delle forme previdenziali che è realizzare pensione per i propri aderenti, ma dovrà consentire di cogliere ricadute positive sia individuali che collettive ed in questo senso rigorosa ed equilibrata dovrà essere la selezione degli strumenti e degli ambiti di investimento.
Dal private equity, ai fondi immobiliari e infrastrutturali, i canali alternativi possono avere importanti ricadute sul sistema produttivo e occupazionale e, al tempo stesso, offrire rendimenti utili a costruire pensione.
Gli obiettivi che ci si può porre sono quelli di finanziare, con l’aiuto degli investitori previdenziali possono essere: il settore delle infrastrutture, il sistema delle PMI e dell’esportazione, i piani di sviluppo dell’ambiente e del territorio, la valorizzazione del patrimonio culturale, la filiera della salute ed anche, se con adeguata previsione di rendimento, gli investimenti a forte impatto sociale.
(*) Direttore Generale del Fondo Cometa