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Senza incentivi ai fondi, l’intero sistema non regge

Potremmo iniziare così il nostro commento: 

Caro Governo, caro Renzi

senza incentivi alla previdenza complementare e senza informazione sulla situazione pensionistica dei giovani che sono entrati nel mondo del lavoro dopo il 1996, temiamo che l’intero sistema del welfare nazionale sia a rischio nei prossimi anni. 

Per incentivi intendiamo almeno il ripristino della tassazione sui rendimenti dei fondi all’11% portando però la stessa sul “maturato” al momento del riscatto del montante finale, come avviene per tutto il risparmio gestito. 

Solo dei geni delle finanze come Visco e Tremonti potevano immaginare di tassare i rendimenti annualmente, creando peraltro anche grandi problemi di contabilità e fiscali. E infatti, dopo qualche tempo si è ritornati alle prassi internazionali tassando le plusvalenze del risparmio gestito solo al momento del riscatto finale, lasciando solo i fondi pensioni con tassazione annua come se il risparmio previdenziale fosse meno importante di quello meramente finanziario. 

Purtroppo nulla di nuovo sotto il cielo del welfare italiano perché anche Bossi e Tremonti avevano proposto di mettere il TFR in busta paga mentre Visco, dopo le mirabolanti introduzioni di IRAP e equalizzatore (autentici sconquassi sociali) ritenne che se il lavoratore desiderava lasciare il TFR in azienda ma la stessa occupava (ahimè) più di 50 dipendenti, il TFR passava all’Inps ma non nelle passività (come accade per le imprese) ma nelle entrate; potenza della politica! Purtroppo i suoi (di Visco) fanno ancora danno in parlamento come accaduto per l’aumento dall’11 all’11,5% nella tassazione dei fondi complementari. 

Per informazione intendiamo un’azione del Governo che dica la verità sui futuri tassi di sostituzione cioè sulle pensioni future dei giovani; una busta arancione che serva per prevedere i redditi da pensionato.

Secondo i dati governativi forniti dalla RGS, le future pensioni in rapporto all’ultima retribuzione, cioè i tassi di sostituzione sono quelli indicati nel grafico 1 e paiono più che buoni; si va dal 73 al 79% per i dipendenti e dal 64 al 71% per i lavoratori autonomi. Ma le proiezioni considerano uno sviluppo del PIL reale dell’1,57%, un’inflazione del 2% e una crescita delle retribuzioni individuali reali dell’1,51% (con produttività pari al +1,53% annuo). Ma cosa è successo veramente negli ultimi anni? Tutti i parametri sono cresciuti molto meno delle previsioni e la produttività è stata addirittura negativa.Dal 2009 alla fine del 2014 avremmo dovuto avere (sulla base della legge Dini che prevede nella formula di calcolo della pensione un PIL reale di periodo pari all’1,5%) una crescita del +9,344% (1,5% capitalizzato per 6 anni e ancor più alto se avessimo adottato le ipotesi RGS sopra indicate). Invece, anche a seguito della grande crisi economica, la rivalutazione in termini reali dei montanti contributivi è stata addirittura negativa e pari al –4,41% e quindi la rivalutazione dei contributi versati è stata pari in realtà, rispetto alla proiezione della RGS, al -13,75%. 

 

Le cose non vanno meglio sul versante delle retribuzioni individuali che da tempo crescono poco (meno dell’1,51% previsto e a volte si riducono addirittura) e con modestissime prospettive di crescita nei prossimi anni. Sicché il combinato disposto di bassa se non inesistente crescita dei redditi e salari e l’insufficiente crescita del PIL, addirittura di 16 punti sotto il tasso di rivalutazione previsto per legge, determinano due enormi punti di debolezza: 

a) i veri tassi di sostituzione dovranno essere rivisti al ribasso di almeno 10 punti percentuali cioè sotto il 70% per i lavoratori dipendenti e sotto il 60% per gli autonomi; 

b) i redditi e salari su cui calcolare queste prestazioni saranno bassi ed in media, per il grosso dei lavoratori, (secondo i dati 2012 dell’Agenzia delle Entrate) non oltre i 1.100 € netti al mese. Il 60% di 1.100 € fa 660 € cioè poco sopra la pensione minima. Non è propriamente una gran rendita nonostante gli entusiastici commenti di Cofferati e Patriarca. 

Per di più, come dovrebbe essere noto e come dovrebbe comunicare correttamente il Governo, per coloro che hanno iniziato a lavorare dal gennaio del 1996 non sono più previste né le integrazioni al minimo né le maggiorazioni sociali di cui oggi usufruiscono circa 6 milioni di pensionati su 16,5 milioni (oltre il 36%!!) non contando le pensioni e gli assegni sociali (che restano per il futuro nella forma di “assegno sociale”) e le pensioni di guerra. Non è certo una bella prospettiva per i nostri futuri pensionati. 

Non voglio evocare “la bomba sociale” che tuttavia potrebbe scoppiare in un momento in cui le finanze pubbliche saranno sotto pressione, i soldi a disposizione saranno pochi e vivremo un pesante invecchiamento della popolazione, ma forse a pensarci prima e favorire le forme complementari non sarebbe male. L’aumento della tassazione dei rendimenti dei fondi pensione (che non sono rendite finanziarie come qualche impreparato membro del Governo ha affermato), produrrà non solo una riduzione significativa (circa l’8%) delle pensioni complementari ma ingenererà una pesante sfiducia tra i lavoratori e questo, purtroppo, rappresenta, solo l’inizio della crisi di sistema.

 

 

 

 (*) Già sottosegretario al ministero del Welfare con delega alla previdenza sociale e docente all’Università Cattolica di Milano

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