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Coraggio fondi, investite in Italia

Ringrazio tutti gli intervenuti, in particolare il Ministro ed i relatori e chi ci ha aiutato a preparare e realizzare questa iniziativa, che avviene in un contesto economico interessante perché segnato da confortanti elementi di ripresa economica e sociale che con i provvedimenti adottati, in questi giorni con la legge di stabilità, intendiamo irrobustire. 

Uno dei punti fondamentali della strategia a favore della crescita è favorire la iniziativa economica. In questo contesto avvertiamo la necessità di rafforzare e diversificare le fonti di finanziamento degli investimenti, innanzi tutto attraverso la moltiplicazione degli strumenti finanziari, facendo crescere nuove assett class (fondi di real estate, fondo per le PMI, titoli e azioni private,…), allo scopo di dare maggiore solidità e trasparenza finanziaria alle imprese italiane. 

Per raggiungere questi obiettivi è importante finanziare gli investimenti di lungo termine finalizzati a sostenere e realizzare grandi progetti infrastrutturali sui vari campi della nostra economia, per valorizzare sia gli assi di sviluppo che il capitale umano.

In quest’ottica non è secondaria la qualità dell’intervento finanziario, per consentire uno sviluppo diffuso, ma sostenibile, rispettoso del patrimonio storico e culturale e dell’ambiente italiano.

È a questa idea di qualità della crescita, sostenuta da una pluralità di soggetti, essi stessi garanti di questa qualità, che risponde la chiamata in causa degli investitori istituzionali. In particolare i fondi pensione e le casse di Previdenza. 

A loro spetta una particolare responsabilità; debbono, infatti, In primo luogo garantire una vecchiaia serena, o almeno sostenibile, ai loro soci, rafforzando la equità generazionale. 

Ma, col crescere del loro peso economico e sociale si sono arricchiti di nuovi compiti: a cominciare dalla possibilità di accrescere l’educazione finanziaria degli italiani facendo e la cultura partecipativa anche in campo economico.

 

Fondi e casse: una realtà’ viva 

Sulla loro importanza parlano i numeri. Al 31.12.2014 risultano (dati COVIP) essere attive 496 forme pensionistiche complementari, ricomprendendo sotto questa dizione i Fondi negoziali, quelli preesistenti, quelli aperti, i PIP. Questo dato segnala una notevole riduzione del numero, rispetto alle 719 forme presenti nel 2000; in particolare decrescono i Fondi preesistenti e quelli aperti. Le Casse professionali di previdenza risultano (a fine 2013) essere 23.

Gli iscritti ai fondi risultano 6.760.321 (marzo 2015). Il tasso di adesione medio è del 29,4%. Tuttavia questo dato va letto in maniera articolata, infatti esso è del 33.6% tra i dipendenti del settore privato, del 33,5% tra i lavoratori autonomi e solo del 5,2% tra i dipendenti del settore pubblico. Le Casse contano 1.695.447 iscritti.

Questi dati ci dicono che molta strada è stata percorsa, ma anche che, a fronte delle nuove sfide e dei nuovi compiti che attendo i fondi e le casse, si rende necessario un ulteriore salto di qualità nel già buon livello professionale della loro gestione finanziaria. In particolare auspichiamo che si avvii un processo di concentrazione di Fondi e Casse (innalzando, ad esempio, la soglia minima di aderenti per essere autorizzati) e che si promuova, anche col contributo del governo, una nuova campagna istituzionale per far crescere le adesioni ancora troppo limitate.

 

Il ruolo dei fondi pensione e delle casse di previdenza nell economia reale.

Dicevamo che per sostenere una crescita duratura sono necessari investimenti di lungo periodo. In Europa il finanziamento delle infrastrutture e delle PMI si è realizzato prevalentemente attraverso il credito bancario. Oggi questo canale è diventato più selettivo e quindi meno disponibile.

Ecco che l’investimento diretto degli investitori istituzionali a sostegno della economia reale assume un ruolo davvero strategico per il Paese.  

I dati ci dimostrano che si tratta di una strada praticabile. La raccolta di risorse destinate alle prestazioni (totale della raccolta meno i costi di gestione), ammontava, per i Fondi pensione, a marzo 2015, a 135.586 milioni di euro; mentre per le Casse si stimano 65.720 milioni di euro. Un patrimonio, dunque, di tutto rispetto, che cresce costantemente.

Ma ciò che al fine del nostro ragionamento appare ancora più significativo è l’asset allocation. Sul fratello nate interno, il 93,3% dei Fondi contrattuali ha investito il proprio patrimonio In “debito”. Le Obbligazioni governative (titoli di Stato)  riguardano anche l’89,9% dei fondi preesistenti. Quel che resta risulta così distribuito: le obbligazioni corporate tra l’8,5% dei PIP e il 4,2% dei Fondi aperti; le azioni tra il 5,7% dei fondi aperti e l’1% dei PIP, in particolare le azioni dei Fondi contrattuali sono pari al 2,3% dell’intero ammontare investito.

A livello internazionale l’asset allocation dei Fondi Pensione risulta profondamente diversa: sempre con riferimento al 2014, il loro portafoglio è composto per il 42% di titoli di stato, per il 31% di azioni, per il 25% di strumenti alternativi e per il 2% di liquidità. 

Come si vede c’è uno spazio considerevole di riallocazione delle risorse, all’interno di una visione Paese e di un piano di lavoro condiviso. Il governo guarda con molta attenzione a questa prospettiva.

La presenza degli investitori istituzionali, in qualità di azionisti nelle assemblee delle società che operano in infrastrutture, contribuisce a migliorare la governance societaria grazie ad un controllo più stringente sulle scelte strategiche e gestionali del management, esaltandone le qualità, ma, anche, mitigando rischi di atteggiamenti impropri a danno degli azionisti.

Per quanto riguarda l’investimento in infrastrutture e nelle PMI non quotate, l’investimento diretto non sembra invece praticabile a causa della scarsa capacità di controllo e monitoraggio che gli investitori istituzionali potrebbero avere su grandi progetti infrastrutturali o sul reale andamento di società non quotate. Bisogna creare forme di investimento indiretto attraverso la loro partecipazione in fondi specializzati e dedicati. 

Su questo vi è una notevole attenzione della Commissione Europea che sta procedendo ad emanare nuove normative in materia. Si prevede l’istituzione di fondi comuni specializzati nell’investimento di lungo termine dotati di passaporto europeo, in modo da poter operare in tutto il territorio dell’Unione. 

Prevedere la possibilità che Fondi e Casse investano in tali strutture consentirebbe sia l’apertura del risparmio previdenziale al finanziamento di particolari settori dell’economia reale, che una maggior tutela degli aderenti attraverso una maggiore diversificazione degli investimenti e la presenza di operatori specializzati. 

È opportuno evidenziare che meno del 10% della capitalizzazione delle società italiane quotate è riferibile agli investitori istituzionali. 

 

Il contesto legislativo italiano e il decreto MEF del 19 giugno 2015.

In questo contesto, il legislatore italiano ha posto in essere diverse misure volte a favorire il finanziamento dell’economia reale, agevolando l’utilizzo di strumenti finanziari sia di debito che di capitale. Il “decreto crescita” ha consentito alle start-up innovative la raccolta di capitali attraverso portali online; si è dato impulso alla cosiddetta “finanza inclusiva” attraverso il microcredito e gli investimenti ad impatto sociale, che si sono rilevati, nell’attuale fase congiunturale, strumenti di estrema rilevanza; con il “decreto sviluppo 2012” e il “decreto destinazione Italia” si è agevolato l’accesso a strumenti di debito alternativi ai finanziamenti bancari.

Infine con la Legge 190 del 2014 (legge di Stabilità) si è deciso di incentivare fiscalmente gli investimenti in economia reale dei Fondi Pensione e delle Casse di Previdenza a cui ha fatto seguito il decreto applicativo.

Con questo Decreto, il Ministro dell’Economia e Finanze ha inteso dare concreta applicazione a quanto previsto dall’art.1, commi da 91 a 94 della suddetta Legge 190 del 2014, definendo i criteri per la fruizione del credito d’imposta di 80 milioni di euro a decorrere dall’anno 2016, stabilito nella Legge di Stabilità.

Come sappiamo all’articolo 2 viene individuata una larga possibilità di investimenti di tipo settoriale (progetti infrastrutturali, turistici, culturali, ambientali, idrici, stradali, ferroviari, portuali, aeroportuali, sanitari, immobiliari pubblici non residenziali, delle telecomunicazioni compresi quelle digitali e della produzione e trasporto di energia). Unico assente, ma per una svista che bisognerà assolutamente recuperare, il settore agricolo ed agroalimentare. 

Il decreto consente gli investimenti in tutti questi settori sia attraverso l’acquisto di diretto di azioni di società o enti che operano in tali contesti, che tramite l’acquisto di obbligazioni o altri titoli di debito, di azioni o quote di organismi di investimento collettivo del risparmio di durata non inferiore a cinque anni che operino nel finanziamento dei settori sopra individuati, che di organismi di investimento collettivo del risparmio che investono prevalentemente in strumenti finanziari emessi da società non quotate, con l’eccezione di quelle operanti in attività bancarie, finanziarie o assicurative.

Ai fini del riconoscimento del credito d’imposta, il decreto demanda all’Agenzia delle Entrate le modalità di richiesta, la determinazione della percentuale annuale di credito d’imposta spettante a ciascun soggetto, i controlli per la corretta fruizione del credito.

L’Agenzia ha già provveduto con propria circolare del  28 settembre. E, a questo proposito, voglio ringraziare Rossella Orlandi ed i suoi uffici per la disponibilità e la celerità; così come colgo la occasione per ringraziare il dipartimento Finanze del Mef, ed in particolare la Professoressa Lapecorella, per aver messo a punto, assieme agli uffici tecnici di collaborazione del Ministro, il meccanismo che ha dato vita al decreto. 

Nel provvedimento dell’Agenzia delle Entrate il credito viene determinato per i Fondi, a partire dal risultato di gestione maturato nel 2014 e dagli investimenti effettuati nel 2015, mentre per le Casse a partire dai redditi realizzati o maturati nel 2015 e dagli investimenti effettuati nel 2015. 

L’importo massimo agevolabile corrisponde al 9% per i Fondi e al 6% per le Casse, unicamente per il risultato di gestione derivante da azioni e obbligazioni non governative. 

Sono esclusi dall’agevolazione i risultati derivanti da investimenti obbligazionari governativi e dagli investimenti in titoli di Stato già assoggettati all’aliquota del 12,5%.

L’Agenzia ha inoltre specificato che l’ammontare massimo del credito d’imposta che può essere richiesto corrisponde al 9% per i Fondi e al 6% per le Casse, della quota del risultato di gestione investita in attività finanziarie di medio e lungo termine e non può eccedere il 9% per i Fondi e il 6% per le Casse, del risultato netto di gestione assoggettato effettivamente all’imposta sostitutiva nella misura del 20% per i Fondi e del 23% per le Casse. 

 

Quali obiettivi perseguiamo.

Il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 28 settembre 2015, è, dunque, l’ultimo adempimento di carattere attuativo che andava realizzato. Ora i Fondi Pensione e le Casse Professionali possano avviare gli investimenti ed effettivamente chiedere il riconoscimento del credito d’imposta previsto dalla Legge di Stabilità per il 2015. 

È il momento di passare, dunque, all’azione. 

Spetta adesso tagli investitori istituzionali, ai Fondi Pensione e alle Casse di Previdenza, riallocar, nella loro autonomia, le loro risorse verso quegli investimenti capaci da un lato di generare la crescita del nostro sistema produttivo e dall’altro di favorire i loro iscritti in quanto beneficiari di un bonus fiscale che abbassa in maniera consistente la tassazione sui risultati di gestione. 

Sappiamo che non si tratta di operazioni semplici ed immediate anche perché esistono contratti di gestione in essere, che devono essere rispettati; tuttavia segnali importanti in questa direzione possono essere dati già in questo scorcio di 2015, a partire dall’allocazione del risparmio corrente. Se l’obiettivo finale deve essere quello di allinearsi all’assett allocation  internazionale dei Fondi, un traguardo intermedio, da realizzare già nel 2016, può credibilmente essere quello di riallocare in questo tipo di investimenti, almeno il 10% delle risorse di Fondi e Casse.

Per realizzare questo percorso è assolutamente necessario che il “mercato” sia pronto, ricettivo e propositivo. I gestori professionali, devono rapidamente mettere in campo (alcuni come Valeur lo stanno già facendo) gli strumenti di investimento necessari a rispondere ai requisiti del Decreto del 19 giugno 2015, in modo da poter consentire agli investitori di poter esercitare la loro libera scelta. Governo, investitori istituzionali e gestori hanno, dunque, un nuovo e fertile terreno di collaborazione a favore della crescita economica del Paese. Cogliamo fino in fondo questa opportunità!

 

*Sottosegretario al Ministerio dell’Economia, Relazione al Covegno Ares-Prometeia “Dalla previdenza all’economia reale” Roma 19/10/2015

 

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