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Contrattare la libertà d’orario nella nuova impresa

L’alzata di scudi sulle parole del Ministro Poletti sconta il peso di una narrazione sul lavoro e sul sindacato ferma al secolo scorso. Se ogni dieci minuti, secondo alcuni, per fare notizia, si assiste ad un attacco alla democrazia, alla Costituzione o al Contratto Nazionale, si perpetua una sensazione da “stato di assedio” al limite del ridicolo e si relativizzano solo eventuali attacchi reali. Certo un dibattito cosi importante non si può consegnare al battutificio ma solo chi gira al largo dalle fabbriche non sa che per molti lavoratori italiani la dimensione spazio temporale di quella che si chiamava la “prestazione lavorativa” è già radicalmente cambiata. Non bisogna fare i futurologi, basta guardarsi attorno, leggere alcuni accordi sindacali, che dai servizi si stanno diffondendo sempre più nel manifatturiero e dimostrano che il “lavoro agile” e lo smart working sono realtà proprio nelle imprese più innovative e competitive. Le imprese ( e i sindacalisti) che hanno un idea collimante di produttività che si riduce ai pezzi prodotti in un ora, sono per fortuna sempre meno. La realtà del lavoro e della produzione è un’altra e semmai è un problema quando il sindacato non incalza le aziende su questi temi e pur di non “sporcarsi le mani” preferisce le azioni unilaterali. 

Il lavoro del futuro sarà ad elevate competenze, occupiamoci semmai di colmare il gap che relega il nostro lavoro in fondo alla classifica europea, proprio sulle competenze. Per questo noi abbiamo chiesto nel prossimo Contratto Nazionale, il diritto soggettivo alla formazione. Diritto che deve diventare di serie A al pari se non superiore a quello sempre collegato agli incrementi salariali. Se poi analizziamo come cambierà, a breve con internet of things e industry 4.0 il lavoro. In quel caso la disciplina di orario rigida degli attuali contratti nazionali, rischia di essere più un vincolo negativo per il lavoratore, che un’opportunità. 

Già nel 1981, uno storico accordo Elsag si occupava di questi aspetti e da allora tutto è andato in quella direzione. Analizziamo la prossimità e l’autonomia con la macchina, vedi l’accordo Arneg di Padova si risolve in maggiore autorganizzazione del lavoratore. La gestione anche da remoto di processi produttivi, come per gli ingegneri di Gm Powertrain di Torino nella progettazione e test di nuovi propulsori diesel ma soprattutto la Endress Hauser a Milano, azienda tedesca di strumenti di precisione, dove si lavora su commessa e l’accordo consente una flessibilità attiva in favore del lavoratore molto elevata, quasi un bancomat del tempo. Ma anche in Almaviva, in Micron si stanno sviluppando accordi di questo tipo.

Gli accordi aziendali di Smart working, il lavoro “agile” e ”intelligente” sono costruiri attorno  alle nuove forme di organizzazione degli orari di lavoro, consentono ai dipendenti di una azienda di svolgere la loro opera dalla location che desiderano e più rispondente in relazione alle diverse situazioni, al fine di conciliare al meglio l’attività lavorativa con le proprie esigenze personali e familiari. I modelli di flessibilità sono spesso molto articolati e meno strutturati del tradizionale telelavoro, e sono studiati in funzione delle diverse necessità, con modalità e intensità attivate dagli stessi lavoratori sulla base delle proprie esigenze, e prevedono normalmente il mantenimento delle normative e dei diritti che riguardano tutti i lavoratori, pur con i necessari adattamenti. Un modello di prestazione che, partito per rispondere alle necessità di conciliazione familiare avanzate dalle donne, sta ora sempre più coinvolgendo il mondo maschile e complessivamente le realtà lavorative. Tali tipi di accordo sono il frutto del dialogo intenso tra le rappresentanze  sindacali e l’azienda e sono indicative di relazioni interne sempre più improntate al dialogo e alla partecipazione.

Tutte queste esperienze, tuttavia, ci descrivono ancora solo in parte, che spazio e che tempo di lavoro avrà lo smart working nelle Smart factory. Questo lavoro viene confuso erroneamente con il tele-lavoro che è solo un lontano antenato.

Nella manifattura 4.0 si integrano 9 tecnologie. Ogni macchina dialoga con l’altra e gestisce una mole enorme di Big Data generati dentro e fuori il lavoro. Il lavoratore sarà sempre più un progettista, analista, capace di settaggi intelligenti delle macchine. Oggi 4 miliardi di dispositivi sono collegati tra loro, nel 2020 saranno più di 40 miliardi. Siamo immersi in un mondo interconnesso di macchine e persone. C è solo di augurarsi che il contributo dell’uomo non sia parcellizzato nelle 8 ore, 40 o più ore la settimana come già disse il grande Ezio Tarantelli ne l’undicesimo comandamento nel 1984.

L’Italia è indietro, è considerata un tradizionalista esitante e il dibattito innescato fa mal presagire. Possiamo essere contrari ad un lavoro con più libertà, più autonomia, maggiore ingaggio cognitivo e responsabilità?  Per le sfide del futuro serve una svolta nel lavoro, nell’idea di Impresa, come giustamente richiamato dagli amici di Adapt (tra i pochi a dire cose serie sul tema) nelle relazioni Industriali.

I Contratti collettivi andranno cambiati per seguire le trasformazioni del lavoro, altrimenti diventeranno reperti di altri tempi e di una parte residua della lavoro. Insomma, bisogna aprire un dibattito serio, che non si affronta né con boutades e men che meno con la superficialità ideologica. Io chiederei al Ministro: se tutto ciò che dice è vero (come è vero), 

possiamo permetterci anche, che la visione sconfittista tenda a rappresentare questo che rappresenta senza dubbio un progresso, nel solito bicchiere mezzo vuoto per anche questa partita viene ridotta al maldestro tentativo di scaricare i rischi d’impresa sui lavoratori? 

Ma  allora, per sgombrare il campo, perché non accelerare sulla partecipazione strategica e organizzativa dei lavoratori? Se l’ingrediente del lavoro futuro sarà la partecipazione, allora sarà vera svolta, altrimenti perderemo altre occasioni decisive. 

La sfida per la produttività e il progresso una parte del sindacato l’ha colta da tempo. Leggete gli accordi Fiat-Fca e visitate Pomigliano. E’ una sfida che deve riguardare tutto il Paese. Non ci può essere una parte del Paese misurata su merito, produttività e competenze e  un’altra che continua a vivere di relazioni, frequentazioni e rendite. 

 

 (*) Segretario generale FIM CISL

 

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