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Una manovra diversa dal passato, in salsa trionfalistica

I conti economici delle leggi di stabilità “sforano” sempre in conti politici. Inoltre, per un Paese come l’Italia, non si chiudono mai entro i confini domestici e tra le mura parlamentari. Mettono bocca le pressioni sociali, i mercati finanziari, l’Unione Europea. Anche quella di quest’anno è ancora alle prese con gli umori, le sensazioni e i giudizi – alcuni rimasti sospesi – di significativi interlocutori. 

Tra tutti, decisamente più insidioso è l’atteggiamento dell’Unione europea che, a seguito della piena utilizzazione delle flessibilità da parte del Governo italiano , ha approvato con riserva il documento uscito dalla discussione parlamentare. La Commissione europea, forse anche per le prese di posizione del Governo italiano su molti altri fronti, fa la faccia arcigna. Questo braccio di ferro, per ora, non influenza negativamente né  le forze sociali, né i mercati finanziari. Ma, se non si sminano in tempo i campi di discussione, la vicenda può diventare politicamente sensibile.

Con conseguenze non irrilevanti. Tutta la manovra è caratterizzata dalla sua triennalità. C’è un filo conduttore che lega quella di quest’anno con le prossime due, in una logica riformista tanto sul piano della qualità dello sviluppo economico  ed occupazionale, che su quello della ridistribuzione della ricchezza. Non siamo abituati a questa visione poliennale del disegno governativo. Finora i Governi hanno avuto sempre scarsa probabilità di lunga vita e quindi nessuno avrebbe preso in seria considerazione visioni lunghe. Il Governo Renzi è realisticamente proiettato verso il traguardo del 2018, scadenza naturale della legislatura, per cui la triennalità acquista senso e visibilità.

Ma se la Commissione europea  dovesse calcare la mano ad aprile, scadenza della verifica, tutto l’impianto rischia di cedere di schianto. Con conseguenze di difficile previsione allo stato attuale delle cose. Ma non per questo va compreso il significato della strategia che l’Italia ha scelto di perseguire. 

Certamente è una strategia di tipo espansivo. Insoddisfacente, parziale, finanche discutibile in alcune delle sue qualificazioni settoriali. Certamente non giustificabile nessun tipo di ottimismo sulla crescita economica.  Ma, anche alla luce delle revisioni di previsioni che si stanno facendo sull’andamento della congiuntura mondiale – più pessimistiche di quelle presenti al momento dell’impostazione e del varo della legge di stabilità – aver cercato di stimolare, con varie misure, la domanda interna di investimenti e consumi si è dimostrata una scelta opportuna e che potrà avere effetti positivi anche sul piano occupazionale.

Ha anche un’altra caratteristica, meno marcata della precedente ma abbastanza innovativa. Prefigura un processo di rimodellamento della spesa per welfare, tendente a tutelare le fasce più deboli della società e che potrà essere rafforzato dalle modifiche fiscali previste per gli altri due anni successivi e dal prosieguo della spending review, che – com’era prevedibile – potrà veramente funzionare quando saranno a regime i costi standard e le misure di intervento sul funzionamento della Pubblica Amministrazione.

Alla luce di queste considerazioni,  tra le tante critiche, quella meno significativa riguarda la sua caratura elettoralistica. Anzi, è ovvio che un qualsiasi Governo miri a fare una politica economica e sociale che sia apprezzata dall’elettorato. E siccome da tutte le parti, è stato unanime il coro contro la prosecuzione della strategia dell’austerità, è chiaro che la strada prescelta porta direttamente al vaglio elettorale. 

Semmai, meno diffusa è stata la critica al tono troppo basso che la legge di stabilità ha posto e pone per gli anni successivi, alla lotta all’evasione fiscale. Si è dato molto risalto all’elevazione del contante usabile per i pagamenti e meno rilievo a proposte come quella della tracciabilità contabile della filiera dell’IVA, che pure erano nel dibattito parlamentare ma che non ha trovato riscontro nella legge di stabilità. Eppure, senza una tenace e coerente organizzazione della legalità, continueremo a rimanere il Paese europeo maggiormente caratterizzato dall’evasione fiscale. Un record che  non ci fa certamente onore. Ma soprattutto non consentirà mai di porre al centro della discussione politica la riduzione delle diseguaglianze sociali.

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