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Partenza lanciata, ma ancora molte incognite

La banda ultralarga costituisce una infrastruttura fondamentale per realizzare la strategia europea dell’Agenda Digitale e abilitare i servizi digitali di nuova generazione da parte della Pubblica Amministrazione, delle imprese, delle famiglie. Servizi che parimenti richiederanno una grande attenzione al tema dello sviluppo della domanda, della alfabetizzazione digitale, della cultura digitale.

Se nelle statistiche l’Italia è al quart’ultimo posto nell’Europa a 25  nel cosiddetto indice DESI* che misura il livello di digitalizzazione di un paese, i due piani approvati dal Governo a marzo 2015, indicavano chiari obiettivi per recuperare questo ritardo. Uno dei due riguardava appunto la strategia per la banda ultralarga (l’altro i servizi digitali) con l’obiettivo di portare nel 2020 una velocità di connessione al 100% del territorio di 30M e almeno per il 50% di 100M. Il Piano Banda Ultralarga (BUL) divideva l’intero paese in quattro cluster cosiddetti A,B,C,D con i primi due suscettibili di ritorni di mercato e coperti dagli investimenti degli operatori privati delle telecomunicazioni e gli ultimi due cosiddetti a fallimento di mercato, cioè bisognosi di incentivi pubblici. L’intero piano del governo necessitava di circa 10 MLD di investimenti di cui 4,9 fondi pubblici nazionali ed europei.

Risulta chiaro quindi che il Piano BUL definiva obiettivi da raggiungere con un concorso tra pubblico e privato. In particolare, gli strumenti pubblici (intervento diretto, contributi in conto capitale,voucher di sostegno alla domanda) dovevano intervenire per le aree cosiddette a fallimento di mercato (cluster C,D) ed essere coerenti con la normativa sugli aiuti di stato europea. I privati avrebbero investito nelle aree più forti (A,B). Il quadro si completa con l’avvertimento che il Piano si applicava con piani nazionali (PON) e regionali (POR) in merito all’utilizzo delle risorse pubbliche. 

Cosa è successo dai Piani del governo fino ad ora?

Alcune cose che proviamo a mettere in fila:

  • -il 6  agosto 2015 il CIPE sblocca 2,2 MLD dei 4,9 complessivi;
  • -nel mese di Ottobre viene realizzata l’intesa Stato Regioni;
  • -la società pubblica Infratel in autunno definisce tutto quanto è necessario per effettuare le gare nei cluster C,D il cui svolgimento è previsto per fine aprile 2016;
  • -gli operatori privati, a partire da Telecom hanno adeguato i propri piani industriali con gli obiettivi di collegamento delle varie città nei cluster A,B con architetture di rete che comunque portano fibra agli armadi e con la sola Telecom che conta di raggiungere 40 città con fibra sino alle case (Telecom in realtà compie anche un’altra operazione, aumentando gli investimenti nel cluster C che comporta sottrarre una parte di queste aree alla possibilità dell’intervento pubblico);
  • -non si arriva a definire l’intesa Telecom Metroweb, società di Cassa Depositi e Prestiti che ha cablato Milano e dispone di un piano ambizioso a livello nazionale per numero di città raggiungibili e architettura di rete con collegamento fino a casa del cliente (cd FTTH);
  • -Enel Open Fiber lancia una sua proposta di utilizzo degli investimenti previsti per cambiare il contatore elettronico a casa dei clienti al fine di cablare con la fibra ottica fino a casa in tre anni 224  città (45%  del PIL dell’intero paese cluster A,B) con 2,5 MLD di investimenti oltre alla partecipazione alle gare nei cluster C,D (24%del PIL);
  • -con il cambiamento degli assetti proprietari di Telecom Italia e l’ingresso di Vivendi come socio di riferimento con il 15% del capitale ed il cambio di Amministratore Delegato è probabile che i principali dossier in capo alla azienda abbiano una rivisitazione e riconsiderazione e tra questi quelli legati a Metroweb e agli investimenti. In che direzione? Questo è da vedere. Di certo si tratta di qualcosa che influisce sul raggiungimento degli obiettivi indicati dai piani del governo.

 

Raccolti questi elementi si può quindi arrivare ad una prima sintesi per poi interrogarsi sugli scenari che avremo di fronte. 

Il primo elemento è costituito dal fatto che, stante il ritardo infrastrutturale italiano nel digitale, gli obiettivi posti a base del Piano del governo di marzo 2015 sono effettivamente sfidanti e coerenti con le strategie europee sul digitale e rispetto alle necessità di modernizzazione tecnologica dell’Italia.

Il secondo elemento è costituito da un punto con cui il Governo si è trovato a fare i conti e cioè che la parte privata del Piano in sinergia con la componente pubblica non era e non è in grado di concorrere a realizzare gli obiettivi del Piano stesso nel suo insieme. Ciò ha determinato prima la scesa in campo di Metroweb e del suo piano di investimenti più ambizioso di quello degli altri operatori, Telecom Italia inclusa, poi la “sponsorizzazione” da parte del Governo del Piano Enel, attraverso la società Enel Open Fiber. Nonostante tutti i chiarimenti normativi che diversi provvedimenti hanno apportato sul come dovranno svolgersi i lavori, sull’ assenza di duplicazioni e sull’obbligo di infrastrutture aperte ai concorrenti e a chiunque voglia entrare, non vi è dubbio che si è in presenza di un  quadro caotico caratterizzato da un modello competitivo che non funziona e seri rischi di sovrapposizioni tra pubblico e privato che potranno generare contenzioso e ricorso alla Commissione Europea.

Il terzo elemento è costituito dal Piano Enel Open Fiber. Si tratta di un Piano, non ancora formalizzato nei suoi dettagli che, stante alle informazioni di cui si dispone, ha alcune caratteristiche e segnatamente risulta più efficiente in quanto costa meno in virtù della maggiore capillarità della rete ENEL e sinergia nei costi di gestione/manutenzione; più veloce e tale da farci rientrare negli obiettivi europei entro tre anni nel 2019. EOF si configurerebbe come un operatore wholesale che opera all’ingrosso (oggi solo Telecom ha questa caratteristica in quanto ex monopolista), non attiverà connessioni come fanno e faranno gli operatori di TLC,venderà non solo fibra spenta ma anche fibra accesa con diversa ampiezza di banda e quindi servizi di rete. 

 

Sulla base di questi elementi quali scenari ci attendono? Ribadendo che il raggiungimento o meno degli obiettivi di infrastrutturazione digitale rimane il punto primario per il nostro paese, non è una forzatura affermare che alcuni cambiamenti sono già in atto ed essenzialmente essi sono che un modello di infrastrutturazione con un maggiore ruolo del settore pubblico è già avviato e questo deriva dal combinato disposto del Piano del Governo, del Piano Metroweb, del Piano EOF. Non a caso EOF è stata definita una super Metroweb e la prossima tappa sarà capire come andranno a definirsi le alleanze tra le imprese, per la verità, già abbastanza avviate, pena smentite, in una direzione che vede assieme EOF,Vodafone,WIND fino a Metroweb.

In tutto questo l’operatore storico ex monopolista Telecom sembra ricondotto ad un ruolo sicuramente diverso e meno decisivo di quanto è stato fino ad ora. Attenzione però che la stessa EOF ha precisato che quando avranno portato la fibra ai loro 200mila e passa armadi, dovranno poi collegarli alla rete primaria (le centrali)di Telecom Italia e degli altri operatori che nel caso di Vodafone hanno già chiarito che passeranno i loro due milioni su rete fissa sulla nuova rete EOF. Lo stesso si immagina avverrà per Wind che ha tre milioni di clienti su rete fissa. 

Insomma si vanno a determinare nuovi rapporti di forza, ci sono nuovi soggetti che entrano in campo, ci vorrà un po’ di tempo per sistemare tutte queste complessità e non da ultimo, come con la fibra dagli armadi si arriverà ai palazzi e poi sino agli appartamenti. Infine, oggi lo scenario regolatorio è costruito sul modello dell’operatore verticalmente integrato, nei fatti gli sviluppi descritti spingono in altra  direzione  e quindi sollecitano anche un cambio e adeguamento delle stesse regole.

 

In tutto questo colpisce l’asimmetria tra l’attivismo del Governo descritto e il silenzio tombale dello stesso su Telecom Italia. Cambi di assetto proprietari, rimozioni di Amministratori Delegati, tutto nel silenzio del Governo.

Il problema su cui vogliamo attirare l’attenzione è costituito dal fatto che anche nel migliore scenario di raggiungimento degli obiettivi, che sicuramente determineranno nuovo valore per l’Italia, si potrebbe correre il rischio che contemporaneamente si distrugga valore da qualche altra parte e anche senza lanciare allarmismi o sparare cifre, forse bisognerebbe avere maggiore consapevolezza di questa tematica.

Infine bisognerebbe anche interrogarsi sugli scenari tecnologici e chiedersi come mai oggi con la tecnologia  digitale si può fare e accelerare la nuova infrastruttura  delle comunicazioni partendo dalla rete elettrica e  dalla tecnologia italiana del contatore digitale. L’altro silenzio del Governo è sulla politica industriale,sul ruolo che i grandi operatori infrastrutturali possono giocare nei processi di innovazione,su come questi processi possono connettersi al sistema industriale e alle nuove iniziative che creano valore come le start-up.

Si tratta di processi che, per importanza e ricadute produttive e occupazionali, andranno seguiti con  attenzione e puntualità. 

 

 

  (*)  CGIL Nazionale

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