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Rapporto AlmaLaurea: L’intervento di placement premia i giovani laureati

Il XVIII Rapporto AlmaLaurea sulla condizione occupazionale dei laureati, presentato il 27 aprile scorso al convegno “Formazione universitaria e posti di lavoro: proiezioni spaziali e temporali” tenutosi all’Università di Napoli Federico II ha coinvolto oltre 570.000 laureati di 71 atenei aderenti al Consorzio, fornendo una fotografica delle performance occupazionali che i laureati triennali, magistrali e magistrali a ciclo unico hanno sul mercato del lavoro nazionale, sia nel breve che nel medio periodo.

La lettura dei principali indicatori esaminati, offerta dall’analisi comparata delle ultime otto generazioni di laureati, conferma le difficoltà riscontrate sul mercato del lavoro nel corso di questi anni, ma mostra il timido emergere nel corso 2015 di alcuni segnali di ripresa del mercato del lavoro, in parte già intravisti nel 2014, segnali che si affacciano dopo 5 anni consecutivi di deterioramento degli indicatori: in particolare, tra i neolaureati cala la disoccupazione e aumentano stabilità lavorativa, retribuzioni ed efficacia.

Il tasso di occupazione dei laureati di primo livello dopo un anno dall’ottenimento del titolo di studio, infatti, è pari al 67% per i laureati del 2014, mentre quello di disoccupazione (calcolato sulle forze di lavoro, cioè su coloro che si sono già inseriti o intendono inserirsi nel mercato del lavoro) è del 23,4%, come mostra la successiva figura. Rispetto alla rilevazione sui laureati del 2013, l’aumento è di circa 1 punto percentuale del tasso di occupazione e c’è una contrazione del tasso di disoccupazione di quasi tre punti. 

 

Interessante notare, inoltre, che gli indicatori su occupazione e disoccupazione migliorano sensibilmente per chi decide di proseguire il percorso formativo con la magistrale (parliamo del 55% di tutti i laureati), rimandando così l’ingresso nel mercato del lavoro al conseguimento del titolo di studio più elevato. Al contrario, diminuiscono gli occupati tra i magistrali a ciclo unico (medicina, ingegneria, architettura, ecc.), probabilmente perché buona parte di essi ad un anno dalla laurea sono ancora impegnati in corsi ulteriori di specializzazione.

 

Il Rapporto testimonia, d’altra parte, qualche difficoltà in più per coloro che si sono laureati a cavallo della crisi e che quest’anno sono stati intervistati a cinque anni di distanza dall’ottenimento del titolo di studio: cala l’occupazione e aumenta, seppure lievemente la disoccupazione. Migliorano però le caratteristiche del lavoro svolto: stabilità e retribuzioni. La sensazione è che per queste generazioni sarà necessario più tempo, rispetto ai neo-laureati, per superare le difficoltà vissute in questi anni.

Tra uno e cinque anni dal titolo si registra comunque un miglioramento del tasso di occupazione e disoccupazione per tutti i gruppi disciplinari indagati. Focalizzando l’attenzione sui soli laureati magistrali biennali, emerge che il tasso di disoccupazione è significativamente superiore alla media, a cinque anni dalla laurea, per i laureati delle professioni letterarie, giuridiche, geo-biologiche e di insegnamento, mentre bassi tassi di disoccupazione si registrano per i laureati in discipline economico-statistiche, scientifiche e di ingegneria, ma soprattutto per i medici (professioni sanitarie), che registrano un tasso di disoccupazione a 5 anni dalla laurea del tutto frizionale (1,8%). 

 

Un’importante novità segnalata dal Rapporto AlmaLaurea sul profilo dei laureati 2016 è che nel nostro Paese cresce il numero di stranieri che completano un ciclo di studi universitario. Nel 2010 i cittadini esteri che avevano conseguito un titolo in un ateneo italiano rappresentavano il 2,9 per cento del totale dei laureati, mentre nel 2015 questa quota è salita al 3,4 per cento. Questo è un segnale positivo in una prospettiva di integrazione ed arricchimento del patrimonio culturale della popolazione straniera, anche se il nostro Paese continua a scontare un deficit di attrattività rispetto ad altre nazioni: nel complesso dei Paesi OCSE, infatti, la quota di stranieri è il 9 per cento, mentre da noi il totale degli studenti non italiani si ferma al 4. Tra i laureati provenienti dall’estero, il 55 per cento viene da altri stati membri dell’UE, il 22 per cento dall’Asia e dall’Oceania, il 14 per cento dall’Africa e il 9 dalle Americhe.

L’identikit del laureato 2015 fornito dal Rapporto AlmaLaurea mostra poi che il 56 per cento dei laureati ha svolto uno più tirocini o stage durante gli studi e il 10 per cento (dato in crescita rispetto al 9 per cento del 2010) ha trascorso un periodo di formazione all’estero, tutti fattori che incidono positivamente sull’occupabilità dei neo-laureati. Scende sensibilmente, invece, il numero di coloro che hanno svolto un lavoro durante gli anni dell’università: erano il 74 per cento nel 2010, oggi sono solo il 65. Quest’ultimo dato non è molto confortante, in quanto il rapporto mostra come l’aver lavorato già prima della laurea sia uno dei fattori che incidono maggiormente sulla probabilità di trovare lavoro ad un anno dalla laurea. 

Le retribuzioni ad un anno risultano in aumento e raggiungono i 1.079 euro netti mensili per i laureati di primo livello (contro i 1.012 euro dell’indagine precedente) e 1.132 euro per i laureati magistrali (erano 1.064 per i laureati nel 2013). L’incremento evidenziato non è però ancora in grado di colmare la significativa perdita retributiva registrata nel quinquennio 2008-2013: il guadagno era circa di 1.300 euro tra i laureati del 2007 intervistati a un anno.

Il miglioramento si registra anche a livello retributivo, e per tutti i gruppi disciplinari indagati: considerando solo i laureati magistrali a 5 anni dal titolo, si posizionano in testa i laureati in ingegneria (1.705) e dei gruppi scientifico (1.614), chimico-farmaceutico (1.562), professioni sanitarie (1.552) ed economico-statistico (1.496). Per i laureati dei gruppi psicologico, educazione fisica, insegnamento e letterario, i guadagni sono significativamente inferiori alla media (rispettivamente, 980, 1.059, 1.093 e 1.117 euro).

  

L’indice di efficacia, infine, combina la richiesta della laurea per l’esercizio del lavoro svolto e l’utilizzo -nel lavoro- delle competenze apprese all’università. L’ìndice risulta in generale sensibilmente più elevato per le lauree magistrali a ciclo unico piuttosto che per gli altri corsi. 

Restringendo il campo di analisi alle sole lauree magistrali, risulta che ad un anno dal conseguimento del titolo il 47,1 per cento dei laureati considerano il titolo molto efficace o efficace per il lavoro che svolgono. Rispetto alla precedente rilevazione si registra un leggero aumento dell’efficacia del titolo (era il 46% per i laureati 2013); tuttavia, tra il 2008 e il 2015 l’efficacia del titolo è tendenzialmente diminuita. I laureati in ingegneria, educazione fisica, architettura, agraria-veterinaria e quelli del chimico-farmaceutico presentano un grado di efficacia maggiore, che invece riporta valori più bassi per le discipline psicologiche, politico-sociali e letterarie.

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