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Fondi comunitari 2014-2020: a che punto siamo?

Stando alle date, a metà 2016 la nuova programmazione del FESR e del FSE dovrebbe essere a regime. In realtà Il 2015 è stato l’anno in cui la maggior parte dei programmi sono stati approvati, e solo a dicembre si è concluso per tutti l’iter dei negoziati con la Commissione europea.

Ad oggi abbiamo quindi un quadro completo che consente di fare una prima analisi dell’attuazione di quanto previsto dall’Accordo di partenariato, documento “cornice” nazionale, approvato dalla Commissione nell’autunno 2014.

I programmi operativi regionali due (quindi uno per il FESR e uno per il FSE) nella maggior parte delle Regioni. Molise, Puglia e Calabria hanno optato per un unico Programma operativo plurifondo. Oltre ai Programmi operativi regionali (POR), vi sono 12 programmi operativi nazionali (PON), di cui 5 plurifondo, 3 monofondo FSE e 3 monofondo FESR. 

In un momento successivo è stato aggiunto un ulteriore PON FESR, scorporando le risorse dal PON Imprese e competitività. La strategia dei PON è concordata con le Regioni che beneficiano delle ricadute delle azioni attuate a livello nazionale in modo da valorizzare le sinergie con i programmi regionali:

PON FESR e FSE che coprono tutte le Regioni:

  • PON “Per la scuola – competenze e ambienti per l’apprendimento” (Fesr e Fse, plurifondo)
  • PON “Governance e capacità istituzionale” (Fesr e Fse, plurifondo) 
  • PON “Città metropolitane” in attuazione agenda urbana, per 14 città metropolitane (Fesr e Fse, plurifondo) 
  • PON “Sistemi di politiche attive per l’occupazione” (Fse) 
  • PON “Inclusione” (Fse) 
  • PON “Iniziativa occupazione giovani” (Fse)

PON FESR e FSE che operano nelle Regioni in transizione e in quelle meno sviluppate:

  • PON “Ricerca e innovazione” (Fesr e Fse, plurifondo )
  • PON “Imprese e competitività (Fesr)
  • PON “Iniziativa PMI” (FESR)

 

Per le sole regioni meno sviluppate:

  • PON “Infrastrutture e reti” (Fesr) 
  • PON “Cultura e sviluppo” (Fesr) 
  • PON “Legalità (Fesr e Fse, plurifondo)

 

La ripartizione delle risorse tra Regioni evidenzia notevoli cambiamenti nella dotazione delle diverse regioni, ma anche nel rapporto tra FESR e FSE. E’ evidente la penalizzazione delle tre regioni cosiddette in transizione (Abruzzo, Molise e Sardegna), mentre la diminuzione delle risorse di Campania, Calabria e Sicilia è dovuta al dimezzamento del cofinanziamento nazionale. Consistente è invece l’aumento di risorse per la Puglia, nel Centro – nord le regioni che vedono un aumento significativo delle risorse sono Lombardia, Lazio e Veneto.

Per quanto riguarda il rapporto tra i due Fondi, si nota un aumento a favore del FSE in sette regioni: Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Toscana, Umbria, Sardegna, Campania e Puglia (ma solo in Umbria e Puglia c’è anche un aumento della dotazione complessiva). Nelle altre regioni vi è un calo della % del FSE a favore del FESR.

 

Confronto tra risorse complessive FESR + FSE programmazione 2007-2013 e 2014-2020

 

 

 

 

Questa programmazione ha valorizzato, per la sua impostazione, i processi di integrazione tra Fondi. Mai vi sono stati nei programmi operativi riferimenti così numerosi e così precisi al ruolo convergente di FESR e FSE, soprattutto laddove si sono individuate strategie molto ancorate alla dimensione dello sviluppo locale e territoriale. Emerge una logica nuova, in cui i due Fondi convergono verso comuni obiettivi di sviluppo e coesione, e il FSE diventa più funzionale alle politiche di sviluppo settoriale. 

Un altro elemento del tutto nuovo è il mutato rapporto tra PON e POR All’accresciuto numero di programmi nazionali e quindi anche alla maggior quota di risorse gestite a livello centrale, è corrisposta una diversa concezione degli interventi, improntata ad una logica di complementarità. Lo dimostra il fatto che nei programmi regionali è indicato il riferimento e precisata la distinzione, talvolta anche in maniera dettagliata, tra ciò che viene fatto sul territorio ad opera dei programmi nazionali e ciò che viene realizzato con il POR in un determinato ambito.

 

Per quanto riguarda il FESR, la maggior parte delle Regioni ha deciso complessivamente di investire sulla crescita e competitività dei sistemi produttivi, sia attraverso il sostegno a ricerca e innovazione, sia attraverso l’investimento diretto sulle imprese. La smart specialisation costituisce il principale riferimento per gli ambiti settoriali sui quali prioritariamente appoggiare questi investimenti.

La scelta di concentrazione su ricerca e innovazione è particolarmente significativa (supera il 30% delle risorse del POR in Piemonte, Lombardia, Trento (dove supera il 50%), Friuli VG, Toscana e Marche. 

Il sostegno dell’innovazione e competitività di imprese e sistemi produttivi supera il 30% delle risorse in Lombardia, Friuli VG, Liguria e Lazio.

Sullo sviluppo di un’economia a basse emissioni di carbonio investono in particolare Bolzano, il Friuli V.G., la Toscana, la Calabria e la Sicilia.

L’adattamento al cambiamento climatico vede interventi da parte di 11 regioni (Bolzano, Veneto, Liguria, Marche, Lazio, Abruzzo, Campania, Calabria, Puglia, Sicilia e Sardegna), con un peso maggiore di Bolzano, dell’Abruzzo e della Liguria, mentre sull’ambiente e uso efficiente delle risorse c’è un investimento forte della Puglia, della Basilicata e della Valle D’Aosta.  L’investimento sui trasporti è stato scelto dalle 5 regioni meno sviluppate (Puglia, Basilicata, Campania, Calabria e Sicilia). Di queste, l’investimento maggiore è stato operato dalla Sicilia.

Ben nove Regioni hanno deciso di operare una forte integrazione col Fondo sociale europeo in materia di inclusione sociale, mentre le 5 regioni meno sviluppate investono sul sistema dell’istruzione anche a livello infrastrutturale, in sinergia con il PON nazionale.

 

Per quanto riguarda il FSE la maggior parte delle Regioni punta sulle politiche occupazionali e su specifici target, come giovani, disoccupati, donne. Solo Trento, Bolzano e la Puglia investono maggiormente sulle politiche di istruzione e formazione.  In Liguria, Emilia-Romagna e Toscana l’investimento sulle politiche occupazionali supera il 50% delle risorse (arrivando al 62,4% in Emilia-Romagna e al 64,79% nelle Marche) e sfiora il 50% in Molise e Calabria. Le politiche per l’inclusione sociale vedono la maggior parte delle Regioni allineata sul 20% imposto dal regolamento. Sei Regioni vi investono oltre il 22% (Lombardia, Umbria, Abruzzo, Molise, Basilicata, Puglia). 

Almeno il 3% delle risorse è dedicato da 13 Regioni, al miglioramento della capacità istituzionale percentuale che arriva al 4 e oltre in Basilicata, Calabria e Sicilia.

Letto in chiave di politiche nazionali, questo quadro evidenzia che:

  • – vi è una prioritaria attenzione al ruolo che il FSE può svolgere nel sostenere le politiche per l’occupazione, in particolare per i giovani, i disoccupati e le donne, ma anche per la formazione dei lavoratori. Il vincolo della concentrazione e, per molte Regioni, le ridotte risorse hanno portato a trascurare priorità più specifiche, come quelle riferite all’invecchiamento attivo e allo sviluppo dell’imprenditorialità.
  • -le politiche per l’inclusione attiva e di sostegno ai servizi e alla loro qualità, peraltro fortemente connesse (in molti casi anche in maniera esplicita) hanno visto l’impegno di tutte le Regioni. Più limitate scelte specifiche come il sostegno all’economia sociale, peraltro facilmente riconducibili in termini di azioni ad altre priorità.
  • -le politiche per l’istruzione e formazione vedono, giustamente, un investimento forte soprattutto nelle regioni meridionali, soprattutto in relazione ai pesanti tassi di dispersione e alla qualità dell’offerta formativa. Stupisce che solo poco più di metà delle Regioni investano sulla formazione superiore e ancor meno sulla formazione permanente e la certificazione delle competenze, due temi che vedono il Paese ancora assai indietro rispetto all’Europa.
  • -lo sviluppo della capacità amministrativa e istituzionale vede un impegno di investimento soprattutto nelle Regioni meridionali, ma anche altre realtà del centro-nord vi investono in maniera significativa.

 

Questo, in estrema sintesi, è il quadro programmatico, puntualmente descritto nel volume pubblicato da Edizioni Lavoro “Guida ai Fondi strutturali e di investimento europei 2014-2020”, di Olga Turrini, Alda Salomone e Michele Uliano. 

Una programmazione partita con forte ritardo e con forte sovrapposizione con la fase conclusiva della programmazione precedente, ma soprattutto molto più vincolata alle politiche ordinarie. Come andrà questa volta? La partita vera si gioca ora, nella fase attuativa. La programmazione operativa può essere annuale (quindi basarsi su documenti di programmazione esecutiva annuali), ma può anche basarsi su bandi o avvisi di durata pluriennale. Qui si gioca la capacità delle amministrazioni di “cantierare” i progetti in modo da renderli compatibili con la necessaria capacità di spendere le risorse nei tempi previsti e secondo i vincoli regolamentari. Ma nei bandi o negli avvisi, si gioca anche l’effettiva volontà o la capacità delle amministrazioni di veicolare i cambiamenti più sostanziali che si intende promuovere. Gran parte dell’innovazione in materia di formazione è stata introdotta in Italia attraverso vincoli posti negli avvisi per i corsi di formazione, che richiedevano, ad esempio moduli obbligatori di informatica negli anni in cui l’alfabetizzazione digitale era una competenza ancora scarsamente diffusa. Così un’azione condivisa con tutte le regioni e promossa a livello nazionale portò ad introdurre la cultura delle pari opportunità e il “mainstreaming di genere” in tutti i programmi, introducendovi vincoli relativi alla parità di genere in anni in cui la cultura della parità andava diffusa e consolidata, e molti altri esempi si potrebbero fare.

Così nel campo della formazione potrebbe essere promossa la logica dell’apprendimento permanente centrato sul soggetto, introducendo vincoli a forme diverse di progettazione didattica o studiando forme nuove di definizione dei preventivi e di rendicontazione delle spese, oggi ancora basate su una obsoleta ripartizione per ora di docenza, che poco tiene conto delle forme nuove in cui si promuove l’apprendimento. Si potrebbero fare molti esempi, ma l’obiettivo è far comprendere come attraverso la programmazione attuativa, in sostanza bandi e avvisi, si gioca la vera partita sui Fondi strutturali, la loro efficacia e la qualità della spesa. 

Altro esempio: la sostenibilità ambientale. Può essere letta in due modi. Il primo, ovviamente, è quello delle politiche dedicate, che ritroviamo nell’Accordo di partenariato e nei programmi operativi: energia, rifiuti, ecc., le politiche che a livello mondiale devono più rapidamente possibile impedire il tracollo del pianeta a causa del riscaldamento globale e del cambiamento climatico. Ma accanto a queste occorre anche adottare logiche più pervasive, volte a promuovere in tutti gli investimenti, sia infrastrutturali che sulle persone, la cultura della salvaguardia del pianeta. Nelle passate programmazioni un’operazione simile si era fatta per promuovere la cultura della parità tra uomini e donne, introducendo azioni positive e vincoli nei programmi operativi, volti a promuovere la cultura della parità in tutte le azioni, dalla programmazione, all’attuazione, alla valutazione. Si parlava di “mainstreaming di genere” e questo veniva perseguito in maniera esplicita. Oggi è tempo di promuovere la sostenibilità ambientale con metodo analogo, ma dovrebbe essere un’azione promossa, condivisa e organizzata a livello nazionale (con linee guida, indicazioni operative, monitoraggio e verifica dei risultati). Il tema sulla carta c’è, ciò che manca è la scelta e l’identificazione di chi se ne occupa in questi termini, diventando il punto di riferimento autorevole e riconosciuto. Altrimenti le politiche trasversali restano solo belle parole.

 

 (*) Gia’ Responsabile Mercato del lavoro e politiche sociali dell’Isfol

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